Il libro “Il mondo di Paolo Cendon” edito da Santelli nasce in virtù di una brillante idea narrativa, quella di ricostruire attraverso più voci narranti provenienti dallo stesso protagonista, dai suoi collaboratori più stretti, dagli amici, dalle testimonianze degli ex studenti di Diritto privato della Facoltà di Economia di Trieste e anche da qualche intervista, l’esperienza professionale, letteraria e umana di Cendon come giurista, scrittore, editore, ideatore di Convegni, di gruppi di lavoro e siti web.
Nelle prime pagine del libro lo stesso Cendon parla della formazione culturale che è all’origine della sua produzione; l’incontro con Rodolfo Sacco e quindi lo studio della comparazione giuridica costituisce la svolta decisiva: non più un diritto noioso, arido ed erudito … poteva esserci più verità in una sentenza disinibita, imperfetta sintatticamente che non in un articolo di legge scolpito nel marmo, con velleità definitorie; oppure nei sillogismi della tarda pandettistica. L’opzione, dunque, per un’ analisi ricostruttiva volta a far prevalere la realtà oggettiva della law in action sui cifrari e sulle etichette del diritto ufficiale, in definitiva sulla law in the books. Come vedremo, questo influenzerà anche le future scelte editoriali di Cendon e la collaborazione con Francesco Galgano e con la Scuola di Bologna (v. Diritto e rovescio). Si tratta di una visione della cultura giuridica che, uscita da una lunga stagione di concettualismo e formalismo, approda agli studi sull’interpretazione della giurisprudenza e sul valore del precedente giudiziario (Gorla, Diritto comparato e diritto comune europeo).
Ed ecco la prima monografia “Il dolo nella responsabilità extracontrattuale” che, attraverso l’analisi di regole diverse da quella che era la lettura dominante, attribuisce al dolo nell’illecito un’ autonoma rilevanza, ricostruendo l’operatività di una misura sanzionatoria che spinga in alto il risarcimento sino all’ammontare del danno.
La via intrapresa dal giurista Cendon nella ricerca di nuovi temi utilizza gli elementi e gli istituti del diritto civile per incrociarli e metterli a confronto con altre discipline. La prospettiva aperta dagli studi e dalla scienza psichiatrica che con la legge Basaglia ribalta l’approccio tradizionale sulla tutela della salute mentale suggerisce il tema della tutela risarcitoria della salute psichica. Questo periodo si delinea nel libro con chiarezza attraverso la narrazione di Venchiarutti: dopo la legge 180, la monografia “Il prezzo della follia: lesione della salute mentale e responsabilità civile ” non solo mostra l’ attenzione alla persona fragile, motivo che connota l’ intera opera di Cendon, ma fa intravedere il filo rosso che lega questa opera con le successive tappe e i traguardi raggiunti . Da un lato un concetto di salute evocato come realtà omnicomprensiva, la ricostruzione del danno psichico e la valutazione delle conseguenze non patrimoniali di tale infermità fa intravedere in nuce già l’ intuizione del danno esistenziale; dall’altro il rapporto tra la infermità di mente e il diritto privato conduce a mettere in discussione tutta una serie di istituti del codice civile (v. in particolare le belle pagine sul Convegno di Trieste del 1986 dal titolo “Un altro diritto per il malato di mente”, dove dal confronto tra discipline, saperi e professioni la protezione del fragile avviene nel pieno sviluppo della persona umana). Ed è il gruppo di ricerca triestino che, attraverso il ripensamento degli istituti di protezione del soggetto adulto incapace(interdizione, inabilitazione, incapacità naturale), redige quel progetto di riforma del sistema di protezione degli incapaci che porterà dopo 15 anni alla legge 9 gennaio 2004 n. 6, che istituisce l’ amministrazione di sostegno e mette al centro della nuova disciplina la persona da proteggere. Scrive Venchiarutti che il percorso di quel cammino non è stato agevole. Ed in ogni caso le questioni inerenti alla fragilità umana sono oramai l’argomento che ricorre nelle opere di Cendon: la protezione dall’infermo di mente si allarga sino a ricomprendere tutti i soggetti deboli della società, dunque i minori, gli anziani, i tossicodipenti, gli alcolisti sino agli handicappati, i carcerati, le minoranze e gli immigrati (cfr. Il settimo libro del codice civile, Il diritto dei soggetti deboli).Si tratta di un approccio alla condizione di disabilità completamente nuovo che, come vedremo, implicherà una riflessione unitaria e tutta una serie di misure e di strumenti di carattere operativo (cfr. il documento fondativo del gruppo “Diritti in movimento”, nonché il Progetto esistenziale di vita e il Progetto di rifioritura al par.27 del testo). Coglie nel segno Umberto Breccia, socio di quel Circolo Venezia che aveva raccolto giuristi perplessi sul loro stesso mestiere, descrivendo lo stile di Paolo Cendon : “egli non rinunciava a proporre, in termini puntuali, un diritto diverso che sapesse abbattere i soliti muri. E lo faceva con accenti di irrepetibile e vivacissima forza comunicativa…..Sappiamo tutti, inoltre, che i tentativi di cui parlava ai colleghi a Venezia contribuirono a far penetrare gli atti della vita quotidiana nel codice civile”. La costante attenzione per i diritti dei più fragili e la ricerca di una via di uscita che puntava su di “un vestito su misura” da cucire in tribunale per la persona fragile si coglie anche dalla lettura di quelle pagine scritte dai collaboratori di Cendon che descrivono la sua costante preoccupazione per il funzionamento pratico del nuovo istituto, i compiti del giudice tutelare, quello dei servizi sociali e soprattutto il rapporto del nuovo istituto con quello della interdizione non ancora abrogato. Ed ecco allora un nuovo progetto di riforma per l’abrogazione dell’interdizione (cfr. Rita Rossi sull’ istituzione presso il Ministero di Giustizia del “Tavolo nazionale sui diritti delle persone fragili” con l’obiettivo di sostenere il cammino parlamentare del progetto).
L’altro percorso cendoniano che dal danno psichico ha portato alla costruzione di un nuovo modello di riparazione del danno non patrimoniale, coniando la figura del danno esistenziale, viene illustrato da Patrizia Ziviz , collaboratrice di Cendon e autrice di vari contributi, monografie e case book sulla nuova figura di danno. ‘E dalla attenta analisi della giurisprudenza, che regista il profondo cambiamento innescato dalla scoperta del danno biologico, che nasce, secondo Ziviz, l’intuizione della necessità di riparare “voci pregiudizievoli di danno non riportabili alle categorie tradizionali”. Sono gli anni ’90 del secolo scorso e in un Convegno a Trieste viene proposta una “nuova categoria” di danno, il danno esistenziale inteso dai suoi ideatori come una lesione delle attività realizzatrici della persona. Da qui le alterne sorti di tale figura di danno, dovute alle continue oscillazioni della giurisprudenza della Corte di Cassazione sino alla nota decisione del 2018, nonché ad un dibattito della dottrina caratterizzato da momenti da forti contrasti tra esistenzialisti e anti esistenzialisti. Qualunque sia la posizione che si vuole assumere sarà sufficiente ricordare le parole di Cendon sul danno esistenziale quale “modo suggestivo ed intrigante per denominare unitariamente quelle ripercussioni che mostravano di discendere dallo spregio dell’onore, della riservatezza, del lavoro subordinato, della scuola, della giustizia, della famiglia”. E proprio la riflessione sulle problematiche esistenziali conduce a ricomprendervi una serie di danni radicati nel focolare domestico(cfr. la parte del libro dedicata da Infantino al racconto di leading cases sui danni endo ed eso familiari); nonché il danno da ferimento o da uccisione dell’animale di affezione riconosciuto risarcibile come danno esistenziale soprattutto da parte della giurisprudenza di merito.
Quando “la vita si prende il diritto’’ tracciandone i limiti i ruoli si possono invertire, la vita cerca di insinuarsi nel diritto, di penetrare in strutture dalle quali si voleva tenere lontana …di disvelare ogni attentato alla dignità della esistenza(Rodotà, La vita e le regole, tra diritto e non diritto). Non più un’idea astratta di soggetto, ma la realtà della condizione umana e i bisogni materiali delle persone (così La Carta dei diritti fondamentali della Unione europea parla di bambini, anziani, portatori di handicap ). Ecco che allora deve cambiare anche la trama espositiva: non più un’ esposizione e un commento degli articoli di legge o degli obiettivi da raggiungere, ma la concretezza del reale entra nella scena, dunque sono i casi pratici che contano e il diritto si deve adeguare. Si procede allora raccontando storie di vita vissuta (cfr. Rifiorire, Storia e pensieri del diritto alla felicità o v. anche I diritti dei più fragili. Storie per curare e riparare i danni esistenziali); per far entrare il lettore in un contatto empatico con i soggetti deboli che di volta in volta emergono dal libro, Cendon intreccia episodi diretti di rapporti umani con personaggi di letteratura o di cinema. Ma cosa potrà fare il diritto per tutelare le persone indifese intervenendo in ogni situazione? Ecco dunque nel saggio che conclude questo itinerario l’invito ad affrontare in modo unitario i nodi della umana fragilità: serve un Progetto esistenziale di vita per i disabili, un Patto di rifioritura(v. il Progetto di legge1440/2019) diretto a “abolire l’interdizione, rafforzare l’amministrazione di sostegno, chiamare davanti al giudice tutelare tutti coloro, siano persone o istituzioni, che possano aiutare il soggetto debole a ripristinare nel lungo periodo quello della sua esistenza che può essere ancora salvato (cfr.da ult. il saggio “Persone fragili, diritti civili).
Vi è una parte del libro che merita a nostro parere un’ attenzione speciale, quella dedicata alla ricerca delle parole e dello stile di Cendon. Condivisibile innanzi tutto la divisione delle opere in testi specialistici come l’Introduzione al “Trattato breve dei nuovi danni”, testi divulgativi , come “Rifiorire” o “I diritti dei più fragili”, e testi letterari, quali “L’Orco in canonica” e “Storia di Ina”; anche se va detto, come afferma Cappellini, che molti dei libri di Cendon si collocano al limitare di letteratura e saggistica, come gli stessi testi letterari menzionati. Del resto chiunque sfogli le monografie redatte per l’ Accademia e poi passi alla restante produzione prende visione della diversità di stile e di linguaggio: da un linguaggio ancora tecnico giuridico si passa ad un linguaggio essenziale che spesso tende ad elencare una serie di voci relative a quel “pedigree vario che è l’attività da promuovere e implementare nell’ ottica della tutela dei deboli”( cfr. il saggio, “Le Attività realizzatrici della persona”).
Se lo stile di uno scrittore è secondo Italo Calvino espressione della filosofia personale, della formazione culturale, dell’ esperienza vissuta, del talento e anche dei trucchi del mestiere, in Cendon lo stile viene a mutare man mano che “viene a prevalere su tutto il resto l’impegno a favorire la nascita di un linguaggio nuovo da utilizzarsi per la trattazione dei problemi dei soggetti deboli. Un impegno che comprende la rinuncia a locuzioni burocratiche, a termini stigmatizzanti, a formule invecchiate, a fraseggi pomposi ”. Man mano che si procede, come giustamente afferma Cappellini, la barriera tra testo letterario e testo non letterario si assottiglia sino a sconfinare nel poetico, nell’immaginifico e comunque in un territorio sconosciuto al giurista tradizionale. Non solo. Infatti il linguaggio utilizzato(v. il ricorso alle metafore, come quella della rifioritura dell’ esistenza, all’ossimoro, e soprattutto alla ellissi, frequente anche nei due romanzi) tende a liberare non solo il diritto, ma ogni disciplina sociale, come la medicina ,la stessa psichiatria da una terminologia scientifica poco comprensibile per il lettore comune. In tal modo rende la materia più comprensibile, la divulgazione facile e il pensiero dell’autore più preciso. Nelle pagine del libro a significare l’ importanza del linguaggio viene citato dalla stessa Cappellini “Parole all’indice”, testo pubblicato nella collana a cura di Galgano e Cendon “Diritto e rovescio”, dove, è bene ricordarlo, nella quarta di copertina si precisa “questa collana si occupa di diritto, ma poco o nulla a che vedere con i consueti generi della letteratura giuridica”. Ma cosa si propone l’autore con questo scritto? Si tratta certamente di un viaggio entro l’indice di un codice civile, di un commentario nell’ottica di vedere nell’insieme di lemmi ben ordinati una realtà letteraria autonoma, che svela al fruitore non distratto non solo i dettami del codice annotato ma l’insieme dell’ordinamento giusprivatistico nella sua complessità. Sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un gioco di parole, di esemplificazioni, di comunanze e sotto insiemi, di variazioni e indovinelli, un divertimento insomma che tuttavia viene finalizzato alle scelte da compiere avendo riguardo al profilo culturale ed editoriale del prodotto, all’ immagine della materia, al “target” di acquirenti cui fare capo.
La qualità letteraria del prodotto, il “target” di acquirenti ci porta diretti ad un’altra attività pienamente riuscita di Paolo Cendon: quella che è l’arte di pubblicare i libri. In realtà nell’ editoria giuridica non si può parlare di arte, o della creazione di qualcosa che nella critica letteraria costituisce un marchio unico; ma anche il compito che attende il curatore di trattati, commentari, collane, curatore che collabora con l’editore, implica la responsabilità nella scelta di scrittori di qualità, la sequenza dei titoli da pubblicare, per non menzionare il difficile compito di inventare qualcosa di attraente, o dato il tecnicismo giuridico della materia trattata , di interessante o di utile per il pubblico specialistico al quale i libri sono destinati. A descrivere il passaggio da autore di monografie per i concorsi universitari all’ editoria giuridica come curatore di trattati, commentari, collane, ma anche altro(Studi in onore di Sacco, Convegni) è lo stesso Cendon che nel prendere la direzione del Commentario al codice civile per la UTET scrive: “bisognava coordinare, non già scrivere, si trattava di far scrivere gli altri”. Trattandosi di editoria giuridica dove, come si diceva, il pubblico è costituito dai giuristi e dagli operatori pratici sin da subito viene adottato uno stile e una grafica caratterizzata dalla facilità e dalla scorrevolezza della lettura; e poiché l’imperativo di base è pubblicare libri che non rimangano invenduti negli scaffali, anche la grafica, i caratteri, la copertina devono essere al servizio di tale obiettivo commerciale. Di qui nel testo “un gioco serrato di contrappunto” tra “pezzi in corpo grande’’ scritti dall’autore e ‘’pezzi in corpo piccolo’’(estratti da sentenze o libri) che traducono e rendono “un costante dialogo tra teoria e prassi’’. Questo viene realizzato, tanto per fare qualche esempio, in “Diritto Privato Oggi” o nella “Enciclopedia” per la Cedam , o nelle collane come la serie “Il Diritto Privato nella Giurisprudenza” della UTET, o ancora in “Fatto e diritto”. Per poi passare in tempi recenti ad una serie di opere interdisciplinari: il “Trattato breve dei nuovi danni’’ e un’altra serie “Persona e danno”, edita da Giuffré, che costituirà l’occasione per la creazione del portale on line “Persona e danno”, come comunicazione e informazione liberamente fruibile sul web. Per la descrizione, si rimanda a Carol Comand e Giovanni Sollazzo, il Sito “Persona e danno”. Infine, la collana didattica “Lo studio del diritto”, come affrontare e superare l’esame di diritto privato (1000 esercizi ad uso degli studenti) della quale v. la terza edizione scritta da Cendon, Gaudino e Ziviz (Giuffré,1999).
Nell’ analisi de “L’orco in canonica”(Marsilio 2016), Sergio Chiarloni afferma che questo primo romanzo di esordio letterario non poteva che essere scritto da un giurista, anzi che il lettore avvertito avrebbe riconosciuto subito la mano dello stesso Cendon. Prendendo spunto da una storia forse vera che riguarda comunque un problema assai difficile e sgradevole da affrontare per la Chiesa cattolica, quello della pedofilia, viene narrata la vicenda umana e processuale della protagonista, che all’età di otto anni subisce la violenza fisica e morale da parte del suo insegnante di catechismo. L’abuso sessuale su di una bambina sconcerta non poco il lettore, confortato tuttavia dalla lenta rinascita di Anna e dalla lieta conclusione: il recupero della memoria persa a causa della violenza subita, la rivincita in appello nella battaglia giudiziaria contro il prete, la resilienza contro ogni tipo di attacco ed infine la nuova esistenza con il compagno e l’attesa di un bambino. Del tutto diversa la vicenda narrata nell’altro romanzo di Cendon: Storia di Ina(Aliberti). Non si tratta qui di una storia tragica con finale lieto, ma del racconto “giocato sulle tinte pastello” del rapporto che nasce tra una giovane ragazza e un anziano professore. Anche qui vi è una storia di fragilità e di recupero di una nuova prospettiva di vita da parte di entrambi.
Anche la produzione di Cendon più vicina al romanzo mostra la capacità dell’autore di utilizzare con abile disinvoltura gli strumenti narrativi per suscitare partecipazione ed emotività, tanto, come è stato scritto, da attivare nel lettore impressioni diverse e inattese spesso spente. Per descrivere l’estro letterario di Cendon viene spontaneo rifarsi a quanto scritto da Armano (par.23 del libro), il quale ricorda che esistono libri unici in cui un autore ha messo tutta la propria irripetibilità. Nella produzione letteraria di Cendon l’ irripetibilità sta certamente nella sintesi tra la sensibilità di voler partecipare ai problemi esistenziali degli altri ascoltando chi si trova in difficoltà e il talento narrativo che fissa nelle pagine le vicende umane. Ma questo altro non è che il compito del vero scrittore.