Lo scorso 18 luglio la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il DDL di riforma del codice della proprietà industriale (di seguito, “c.p.i.”) di cui al D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30. In esito all’approvazione, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 23 agosto 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-08-08&atto.codiceRedazionale=23G00104&elenco30giorni=true) la Legge 24 luglio 2023, n. 102, recante “Modifiche al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30”, che si inquadra all’interno della riforma del sistema della proprietà industriale prevista dalla Missione 1 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di competenza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Tra le novità della riforma, concernenti il rafforzamento della competitività del sistema Paese, la protezione della proprietà industriale, la semplificazione amministrativa e la digitalizzazione delle procedure, meritano di essere segnalate:
La riforma introduce anzitutto all’art. 1 il divieto di registrazione come marchi di segni evocativi, usurpativi o imitativi di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine protette, in base alla normativa statale o dell’Unione europea, inclusi gli accordi internazionali di cui l’Italia o l’Unione Europea sono parte.
In particolare, viene integrato il disposto dell’articolo 14, comma 1, lettera b), c.p.i. che vieta di registrare come marchi i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi, ovvero sulla tipologia di marchio. Per effetto delle modifiche in esame, il divieto viene esteso ai segni evocativi, usurpativi o imitativi di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine protette in base alla normativa statale o dell’Unione Europea, inclusi gli accordi internazionali di cui l’Italia o l’Unione Europea sono parte.
L’art. 2 della legge introduce poi nel c.p.i. un nuovo articolo 34-bis, che stabilisce una “protezione provvisoria” (più precisamente, una priorità per la registrazione che intervenga entro 6 mesi) dei disegni o modelli che “figurano in un’esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato estero che accordi reciprocità di trattamento”. Tale novità non pare tuttavia destinata ad avere un impatto significativo, giacché le “esposizioni internazionali ufficiali o ufficialmente riconosciute” sono solo quelle riconosciute come tali dal BIE-Bureau International des Expositions, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione di Parigi del 22novembre 1928, e cioè – sulla base del testo attualmente vigente di tale Convenzione, più volte modificato – le Esposizioni Universali (considerate “ufficiali”), di durata massima di 6 mesi e aventi cadenza quinquennale (come l’Expo) e quelle che si tengono tra due Esposizioni Universali, su temi specifici e di durata non superiore a 3 mesi (considerate “ufficialmente riconosciute”)
Particolarmente importante è, invece, la riforma della disciplina delle invenzioni dei dipendenti delle Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca (art. 3 della legge, che modifica l’art. 65 c.p.i.), che ribalta l’approccio in vigore relativamente alla titolarità delle invenzioni dei ricercatori delle Università (pubbliche e private) e degli enti pubblici di ricerca, e stabilisce che i diritti nascenti dall'invenzione spettino alla struttura di appartenenza dell'inventore, a meno che la stessa struttura non ne abbia interesse.
Come noto, ai sensi della vigente formulazione dell'articolo 65 c.p.i., quando il rapporto di lavoro intercorre con un'università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall'invenzione brevettabile di cui è autore.
L'articolo 3 L. 24 luglio 2023, n. 102, stabilisce, invece, che i diritti nascenti dall'invenzione “istituzionale” (laddove i risultati inventivi delle ricerche c.d. libere restano di titolarità del ricercatore) spettino alla struttura di appartenenza dell'inventore, a meno che la stessa struttura non ne abbia interesse, facendo comunque salvo il diritto del ricercatore di essere riconosciuto autore. Se l'invenzione è conseguita da più persone, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono a tutte le strutture interessate in parti uguali, salvo diversa pattuizione e fermo restando quanto previsto dall'articolo 6 c.p.i. in materia di comunione della proprietà industriale.
Va qui segnalato che nel corso delle audizioni dinanzi alla competente Commissione del Senato, che ha esaminato in prima lettura il DDL di riforma, era stata sottolineata la necessità di esplicitare nel testo della norma – mediante un richiamo ai primi due commi dell’art. 64 c.p.i. – che il nuovo regime fosse applicabile alle sole ricerche “istituzionali”, onde chiarire che i risultati inventivi delle ricerche c.d. libere, ossia svolte al di fuori del rapporto con la struttura di appartenenza, restano di titolarità del ricercatore, come previsto dall’art. 64, comma 3, c.p.i..
L’incipit dell’articolo inserito dal Senato (“In deroga all’art.64, …”), invece, omette tale (opportuno) distinguo, con la conseguenza che la norma sembrerebbe attribuire alle Università (pubbliche e private) e agli altri enti pubblici di ricerca il diritto a brevettare tutte le invenzioni realizzate dai loro dipendenti, comprese quelle conseguite al di fuori del rapporto di ricerca, per le quali la regola generale di cui all’art. 64, comma 3, c.p.i. riserva al datore di lavoro solo un’opzione per acquisirne a titolo oneroso la titolarità (o una licenza su di esse) e solo se l’invenzione rientra nel suo campo di attività. Tale formulazione – come detto già criticata in sede di audizione al Senato – finisce per creare una ingiustificata disparità di trattamento tra i dipendenti delle Università e degli enti pubblici di ricerca, da un lato, e la generalità dei dipendenti-inventori, dall’altro.
Altra potenziale criticità attiene alla disciplina delle premialità connesse con l'attività inventiva del ricercatore, la cui determinazione è rimessa all’autonomia della struttura di appartenenza, mentre come noto a tutti gli altri dipendenti-inventori spetta inderogabilmente un “equo premio” qualora l’attività inventiva non formi oggetto del rapporto di lavoro e non sia quindi a tal scopo retribuita. Anche su questo versante, l’espressa previsione dell’indefettibilità dell’equo premio avrebbe evidentemente messo la norma al riparo da censure di incostituzionalità.
In caso di ricerca finanziata, in tutto o in parte, da privati – fattispecie che nel sistema attualmente vigente comporta l’applicazione della disciplina generale ex art. 64 c.p.i. – la riforma prevede che i diritti derivanti dall'invenzione realizzata nell'esecuzione di attività di ricerca svolta dalle Università (pubbliche o private), dagli enti pubblici di ricerca e dagli IRCCS, finanziata, in tutto o in parte, da altro soggetto, siano disciplinati dagli accordi contrattuali tra le parti redatti sulla base di apposite Linee guida da adottarsi con decreto del Ministro delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame (sono comunque fatti salvi gli accordi stipulati tra le parti prima dell'emanazione delle predette Linee guida).
Sul piano procedurale, l'inventore è tenuto a comunicare tempestivamente alla struttura di appartenenza l'oggetto dell'invenzione, con onere a carico di entrambe le parti di salvaguardarne la novità. Con modifica inserita dal Senato, è stato specificato che, qualora l'inventore non effettui detta comunicazione non può depositare a proprio nome la domanda di brevetto, ai sensi del comma 3, ferma restando la possibilità di rivendica ai sensi dell'articolo 118 c.p.i. e con salvezza di quanto previsto dagli obblighi contrattuali.
Entro sei mesi dalla ricezione della comunicazione (prorogabili per un periodo massimo di ulteriori tre mesi ove necessario per completare le valutazioni tecniche sul trovato), la struttura di appartenenza del ricercatore-inventore deve depositare la domanda di brevetto o comunicare all'inventore l'assenza di interesse a procedervi. Qualora la struttura non provveda entro il termine, l'inventore può procedere autonomamente a depositare la domanda di brevetto a proprio nome. L’inventore può altresì procedere autonomamente al deposito qualora la struttura di appartenenza abbia comunicato, in pendenza del predetto termine, l’assenza di interesse a procedervi.
Resta da dire che la novella non ha modificato la norma transitoria dell’art. 243 c.p.i., la cui formulazione aperta fa sì che essa possa trovare applicazione anche alla nuova disciplina, dato che sottopone le invenzioni “universitarie” al regime giuridico “in vigore al momento in cui le invenzioni sono state conseguite, ancorché in dipendenza di ricerche cominciate anteriormente”.
Ulteriore significativa novità contenuta nella legge di riforma è la previsione della coesistenza tra brevetto europeo (tradizionale e con effetto unitario) e brevetto italiano aventi ad oggetto la medesima invenzione: l’art. 5 della legge modifica l’art. 59 c.p.i. al fine di sostituire l’attuale cedevolezza del brevetto italiano rispetto al corrispondente brevetto europeo, concessi allo stesso inventore o al suo avente causa, con l’attribuzione al titolo nazionale della stessa efficacia e protezione, coerentemente con quanto previsto dall’art. 139, comma 3, della Convenzione sul brevetto europeo, che riconosce agli Stati aderenti la facoltà di prevedere o meno la simultanea protezione europea o nazionale.
Oltre ad allineare la normativa brevettuale a quanto previsto in altri paesi europei, la modifica dell’attuale formulazione dell’art. 59 c.p.i. rende effettivo il principio dell’ alternatività di giurisdizione tra Tribunale Unificato dei Brevetti e Corti nazionali e consente alle imprese italiane – a prescindere dall’opt-out – di conservare efficacia al titolo nazionale e con esso la corrispondente competenza esclusiva delle Sezioni Specializzate, con evidente risparmio di costi rispetto alla litigation paneuropea.
Ancora in ambito brevettuale, la novella (art. 7) modifica e integra la disciplina delle condizioni di ricevibilità della domanda di brevetto di cui all’art. 148 c.p.i, disponendo che il pagamento dei diritti di deposito per la domanda di brevetto per invenzione o modello di utilità possa essere effettuato (improrogabilmente) entro un mese dalla data di presentazione della domanda stessa. In tal caso, ai fini del riconoscimento della priorità, è ritenuta valida la data di deposito (lettera e) che inserisce un nuovo comma 4-bis nell’articolo 148 c.p.i.).
Come evidenzia la relazione illustrativa, il pagamento dei diritti di deposito della domanda di brevetto non solo contestualmente al deposito, ma anche successivamente, entro un mese, è attualmente permesso da molti paesi europei, dall'Ufficio europeo dei brevetti (EPO) e dall'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale - World Intellectual Property Organisation (WIPO). La riforma intende dunque eliminare uno svantaggio competitivo per le aziende, in stragrande maggioranza italiane, che depositano in Italia, visto che la concorrenza sulla tutela brevettuale si basa sul principio del "first-to-file" (cioè prevale il diritto di chi ha la prima data di deposito della domanda di brevetto).
Sul piano dell’enforcement dei diritti di proprietà industriale, va segnalata la soppressione dell’art. 3 dell’art. 129 c.p.i. in tema di descrizione e sequestro di prodotti contraffattori: cade il divieto di effettuare il sequestro di prodotti contraffattori esposti in fiere, così da garantire all’azione repressiva maggior speditezza ed effettività anche nello spazio temporale limitato degli eventi fieristici.
Nella medesima prospettiva si colloca altresì la modifica dell’art. 177 comma 1, lettera d-bis) c.p.i, che attualmente consente di presentare opposizione alla registrazione dei marchi solo ai soggetti legittimati a tutelare i diritti conferiti da una DOP o IGP (dunque, ai Consorzi di tutela riconosciuti).
La riforma (art. 15) include, invece, esplicitamente tra i soggetti legittimati a proporre opposizione avverso una domanda di registrazione di marchio, il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), quale autorità nazionale competente per le DOP, le IGP e le IG agricole, alimentari, dei vini, dei vini aromatizzati e delle bevande spiritose, in assenza di un consorzio di tutela riconosciuto.
Secondo quanto riporta la relazione illustrativa, risultano riconosciuti solo 285 consorzi di tutela rispetto alle 875 Indicazioni geografiche italiane (DOP, IGP e IG). Per queste ultime, prive di consorzio, non vi sono, quindi, attualmente soggetti legittimati all’opposizione e la proposta di modifica in esame intende proprio colmare questo vuoto, riconoscendo al MASAF la legittimazione a proporre opposizione, dinnanzi all’UIBM, per marchi identici o simili a denominazioni di origine e indicazioni geografiche agricole, alimentari, dei vini, dei vini aromatizzati e delle bevande spiritose, prive di un consorzio di tutela riconosciuto.