Concetti complessi e distanti tra loro? Quale linea li congiunge? La psicologia che è una scienza umana che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale delle persone in che relazione si pone con pronunciamenti ideologici?
Leggo una notizia in rete riportata dal quotidiano Il Manifesto, quello fondato da Lucio Magri e Rossana Rossanda per intenderci, articolo a firma Rita Rapisardi che riporta una notizia, solo all’apparenza di scarsa importanza generale. Si tratta di una modifica al codice deontologico dell’ordine degli psicologi italiani. Come è notorio ogni ordine professionale adotta un codice deontologico a cui tutti gli iscritti debbono attenersi, salva la possibilità per i cittadini e per i colleghi di accedere al consiglio di disciplina per sottoporre al vaglio condotte considerate improprie o scorrette. Perché attrae la mia attenzione? Perché incide sulla libertà dei pazienti soprattutto se si tratta di minori e incapaci.
Essendo socio fondatore (non mi interessa “femminilizzare” il termine usato per la carica e per questo lo scrivo come di consuetudine al maschile ma tale osservazione sarà utile nel prosieguo) della SIPCP - Associazione culturale a carattere scientifico professionale che mette in primo piano lo psicologo di cure primarie, attraverso la valorizzazione e diffusione di questa figura sul territorio nazionale – ho chiesto a loro di commentare con me la notizia.
Ne ho ottenuto un pregevole lavoro a firma del dott. Lorenzo Scaglietti, psicoterapeuta e socio di SIPCP, che troverete nel contesto di questo mio commento. Preannuncio che condivido sia l’analisi che le preoccupazioni sollevate da Lorenzo.
Si andava dicendo come, dalla lettura dell’articolo, evidenzia la modifica apportata agli artt. 24 e 31 del Codice deontologico che riguardano il consenso informato degli incapaci e dei minori. La norma oggi si legge nei seguenti termini «Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria».
Qui è necessaria una prima digressione: ma se avessero scritto solo psicologo qualcuno avrebbe avuto dubbi sul fatto che la norma fosse diretta anche alle signore che esercitano tale nobile professione?
Seconda necessaria digressione: quale valore hanno le norme di un codice deontologico? Ovviamente sono valide e prescrittive per chi appartiene al medesimo ordine ma possono avere valore anche verso terzi? E se sì perché?
Le SS.UU della Cassazione dovettero pronunciarsi in tema di codice deontologico dell’ordine degli avvocati perché gli orientamenti opposti di due sezioni aveva creato un contrasto giurisprudenziale che andava sanato. La Suprema Corte così legge le norme deontologie definendole come un complesso di regole di cui gli organi di governo degli avvocati si sono dotati al fine di poter attuare i valori caratterizzanti la professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa”.[1]
E questa affermazione che conseguenze può avere? In sede giudiziaria non si può giudicare la condotta di un iscritto perché la non conformità di un comportamento ai canoni della dignità e del decoro professionale rientra nel potere di valutazione degli ordini stessi. Il giudice di legittimità, dunque, riconosce, e sancisce il rispetto dell’autonomia degli ordini così che una decisione del CNF non potrà essere sottoposta alla censura della violazione di legge in materia disciplinare qualora si risolva nella prospettazione di un contrasto di dette decisioni con le norme deontologiche.
Stiamo in ogni caso parlando di una professione per così dire speciale. L’attività forense, infatti, è fondamentale per l’esercizio di uno dei tre poteri dello Stato quello giudiziario appunto. Ben è possibile far discendere gli stessi principi per tutti i codici professionali.
Torniamo alle parole del titolo e cerchiamo di spiegare perché le ho unite strettamente e in sequenza.
Come giustamente si chiede Lorenzo che cosa è la psicologia? Quali limiti, quali competenze, quale ruolo?
Scherzosamente ai clienti che ho seguito in quarant’anni di professione e che spesso si affidavano nei momenti di crisi (perdita del lavoro o dell’attività, rottura di rapporti familiari) a psicologi e psicoterapeuti spiegavo che il nostro lavoro (avvocati-psicologi) era diventato estremamente oneroso perché non vi era più il bell’esercizio della confessione, centrale nella religione cattolica che un tempo era professata dall’87% degli italiani. Andare in un luogo destinato, nel segreto e nella penombra a raccontare le proprie emozioni, anche quelle, appunto, inconfessabili pur se la fede era labile e ballerina, portava il beneficio della “liberazione” dal peso difficile da sopportare senza quel racconto, talvolta edulcorato, forse lacunoso ma sempre profondamente desiderato.
Peraltro, riscontravo anche che, quasi sempre, i clienti raccontavano le preoccupazioni di carattere prettamente giuridico ed economico agli psicologi che se ne facevano carico mentre a me raccontavano sofferenze, ansie, speranze e aspettative. Il risultato? Gli atti di causa mancavano spesso di elementi essenziali o, perlomeno, utili a sostenere le ragioni del maldestro cliente.
Regna grande confusione sotto il Cielo.
Ma se i clienti possono essere giustificabili, indipendentemente dalla levatura culturale e classe sociale di appartenenza, sesso o religione, non possono esserlo altrettanto i professionisti.
Quale è il ruolo di uno psicologo o di uno psicoterapeuta? Ascoltare, lasciare che il flusso di pensieri e di parole avvolga il sig. Guidalberto portandolo nel suo mondo interiore alla scoperta del suo vero essere, o guidarlo alla ricerca novello Virgilio?
E la guida sarà cauta, non invasiva, per così dire un tenere per mano senza strattonare, senza portare in un sentiero piuttosto che all’altro del bivio? Oppure deciderà in quale landa deve condurre Guidalberto? E perché il sentiero destrorso dovrebbe essere disdicevole in quanto stretto e tortuoso e quello di sinistra ampio e lastricato dovrebbe essere quello più confacente ai bisogni veri di Guidy?
Ecco allora che le scelte del professionista possono incidere sulla volontà del paziente. Possono incidere perché egli si trova in un momento di fragilità e di debolezza, perché ha perso i punti di riferimento e non riesce a scegliere liberamente. E’ facilmente influenzabile, forse anche manipolabile. Se, per esempio, è affetto da narcisismo e chiede l’approvazione altrui per autoaffermarsi, e come tale privo di empatia quali potranno essere le conseguenze delle sue scelte se indotte sui familiari, cerchia di amici, conoscenti e colleghi di lavoro? E quali le responsabilità professionali del terapeuta?
Delicato il lavoro degli psicologi, delicato e pericoloso. Delicato, pericoloso e doverosamente sempre collegato alla libertà di scelta del paziente. E’ anche vero, e qui ancora dobbiamo riferirci alla religione, che il libero arbitrio – riconosciuto dalla giornalista del Manifesto come bene non negoziabile e messo probabilmente a rischio dalla novella del codice deontologico – è il principio fondante della religione cattolica. Libertà così importante e incoercibile persino dal volere divino che Maria fu libera di scegliere dicendo “fiat voluntas tua”, espressione che, solo all’apparenza, è un rinunziare alla propria volontà essendo, viceversa, un’adesione totale e totalizzante profondamente voluta e solo perché voluta gradita a Dio.
E la libertà di scegliere che rende l’uomo Uomo, è impossibile prescinderne.
Tanto è vero che il non scegliere, il decidere di seguire la massa e non fare né il bene né il male rende gli individui indegni persino dell’Inferno.
Dante fa dire a Virgilio (ritorna Virgilio)
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
Non così la religione protestante - luterana o calvinista - che crede profondamente nella predestinazione dividendo il mondo in buoni e cattivi, capaci di scegliere solo le quisquiglie e non ciò che è bene e ciò che è male.
Tale cultura si sta diffondendo in modo endemico, subdolamente. Non sono le 95 tesi affisse alle porte della chiesa del castello di Wittenberg, che possono essere condivise, discusse, accettate o rifiutate. Non vi è il coraggio della manifestazione del pensiero. Sono piccole sollecitazioni, frasi e pensieri pronunciati nel contesto di altri ragionamenti, sono sensazioni che vengono provocate. Così l’idea che non esista la libertà di scelta, che la libertà non è un valore assoluto ma limitato da interessi e valutazioni imposte da altri. Talvolta interessi economici, sempre interessi di potere e di dominio.
Pericoloso tale declivio, un piano inclinato che potrebbe portarci, novelli lemming, verso un barato irreversibile.[2]
Se addirittura, e giustamente, l’art. 353 bis c.p. punisce come reato la condotta che turba la libertà del procedimento di scelta del contraente,[3] nell'ipotesi di affidamento diretto da parte di un ente pubblico, si nega, per altri versi, la libertà in tema di scelte sanitarie.[4]
I diritti fondamentali sono inviolabili, sanciscono le libertà individuali di ogni singolo individuo. Per questo motivo sono naturali perché comuni a tutti gli uomini sin dalla nascita, universali in quanto uguali per tutti gli individui, poiché non possono esistere l’uno senza gli altro sono anche indivisibili e inalienabili escludendo così qualsivoglia limitazione ad opera anche dello stesso soggetto che li porta.
Questi diritti sono tutti diritti di libertà. Per chi crede si compendiano nella frase: la libertà dei figli di Dio; per chi credente non è nella frase: la libertà di autodeterminarsi compiendo scelte per sé.
Normalmente non si fa riferimento a un diritto preliminare a tutti gli altri il diritto alla verità. Provate a pensarci come è possibile compiere scelte senza essere consapevoli delle conseguenze e come essere consapevoli senza conoscere il vero?
Chiunque, insegnanti e scienziati, giornalisti e scrittori, filosofi o sociologi, che ostacolano la libera ricerca della verità con strumenti palesi o subdoli che impediscono, di fatto, l’esercizio della libertà di scelta.
E questa corrente sotterranea che scorre anche se non si palesa può essere decisamente pericolosa.
M taccio per il momento e passo la parola al dott. Lorenzo Scaglietti, psicoterapeuta e socio di SIPCP
"A mio avviso la recente riforma del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani presenta, a fianco dei numerosi aspetti innovativi, due criticità preoccupanti.
La prima di queste riguarda l’impostazione decisamente ideologica del documento in generale, con la ripetizione ossessiva della denominazione “le psicologhe e gli psicologi” (unico esempio nel panorama professionale italiano), e un articolo espressamente dedicato a precisare che gli psicologi non maltrattano gli animali. Si tratta di un cedimento al pensiero prevalente di questo periodo storico, del tutto acritico e che considero grave per due motivi:
Il secondo aspetto critico riguarda gli artt. 24 e 31, dedicati al tema del consenso informato rispettivamente su adulti e minori o incapaci.
Nel nostro Paese la Psicologia è stata definita professione sanitaria solo con la L. 3/18, risolvendo ambiguità che perduravano dalla sua stessa istituzione (L. 56/89). Trovo un atto dovuto che, coerentemente con tale definizione, il nuovo Codice Deontologico si esprima rispetto al tema del consenso informato, che rimanda ai diritti costituzionali ed è prassi comune in ambito clinico-sanitario.
La perplessità riguarda la formulazione degli articoli citati, specialmente per quello che riguarda i rapporti con l’Autorità Giudiziaria. Va detto, per contestualizzare il recente dibattito riguardo all’obbligatorietà del consenso informato, che l’ambito in cui si è avvertito maggiormente il bisogno di una definizione in tal senso è l’atteggiamento dell’AG nel conferire incarichi a professionisti e servizi nell’ambito della tutela dei minori, ossia nei casi in cui, ai sensi di Legge, i servizi sociali (cui viene associato lo psicologo come componente dell’équipe, assunto direttamente dall’Ente Locale o prestato dall’Asl competente) intervengono, nel perimetro dei poteri loro conferiti dall’AG e dall’art. 403 cc, a tutela del minore vittima di abuso o maltrattamento. Una sotto-casistica di questo ambito sono le separazioni conflittuali in cui sono coinvolti figli minori, fonte di notevole sofferenza, talvolta cronica, e di aspri scontri giudiziari tra i legali di ambo le parti, con il benessere psicologico dei figli al centro dell’attenzione (il loro “best interest”, che curiosamente nella nostra prassi giudiziaria diventa “supremo interesse”, trasformando il superlativo relativo in un superlativo assoluto angosciante). In entrambi questi ambiti, quello dei sospetti abusi e quello dei figli contesi, l’AG tende a prescrivere, con enorme variabilità tra Giudice e Giudice, interventi psicologici di varia natura, a volte purtroppo dovuti alla rappresentazione ingenua che ha quello specifico Giudice del lavoro psicologico (vedi punto 2 del paragrafo precedente). La letteratura conferma che l’ambito della tutela minori è particolarmente coinvolgente e che i vari operatori, sociali, psicologici e giudiziari, tendono spontaneamente a prendere posizioni nette, sulla base di inclinazioni e fantasmi personali. Mantenere in tali contesti “caldi” una scientifica indipendenza di giudizio è il requisito che ogni psicologo coinvolto in tali contenziosi dovrebbe possedere. Lo definirei un requisito deontologico: ma l’estensore dell’attuale Codice non sembra sapersi porre su questo livello.
Vengono quindi inserite due clausole che consentono di bypassare il consenso informato “nei casi previsti dalla legge” (art. 24) o che lo “rimette la decisione all’AG” (art. 31).
La seconda di queste clausole (art. 31), che riguarda minori o incapaci, può avere l’utilità di garantire trattamenti psicologici appropriati, ai quali genitori o tutori disturbati, conflittuali o problematici precludano il proprio consenso, ma può anche obbligare chi detiene la tutela a far sottoporre il figlio a interventi suggestivi e invasivi in situazioni in cui la presenza di fattori di pregiudizio non sia stata ancora dimostrata in giudizio. L’ambito della tutela minori ha una natura a mio avviso tragica: se ci si dà il tempo di accertare che sia avvenuto un fatto pregiudizievole, si rimandano le cure, con il rischio di prolungare e cronicizzare gravi stati di sofferenza che distorcono lo sviluppo. Se si interviene in urgenza, si corre il rischio di invadere la mente del minore di contenuti immaginari e privarlo delle figure genitoriali per lungo tempo senza giustificazione, e anche questo è fonte di sofferenze che possono cronicizzare. La soluzione per quest’ambito delicatissimo è a mio avviso (come peraltro conclude anche la Commissione d’Inchiesta della Regione Emilia-Romagna sui fatti di Bibbiano) la formazione continua degli operatori dei servizi e del personale giudiziario, e una definizione maggiormente chiara tra valutazione e intervento nel campo psicologico. Su quest’ultimo aspetto, molti colleghi fanno una terribile confusione. Lo psicologo della tutela minori non dovrebbe “prendere in carico”, ma delineare una precisa fotografia del funzionamento mentale dei membri della famiglia, delle loro relazioni, e fornire una valutazione obiettiva del danno psicologico subito dal minore. Il trattamento dovrebbe essere messo in campo da attori terzi.
La prima di queste clausole (art. 24), relativa agli adulti, è dovuta a mio avviso a una medicalizzazione pretestuosa del lavoro psicologico, che porta a conseguenze paradossali. L’intervento psicologico (da non confondersi, ribadisco, con la valutazione) per definizione richiede la collaborazione autentica del paziente. È l’unico, in campo sanitario, a presentare questa peculiarità, dal momento che le terapie psicologiche richiedono l’instaurarsi di una particolare relazione interpersonale, e non si basano sull’utilizzo di strumenti concreti. Se l’utilizzo di strumenti concreti (somministrazione di farmaci, contenzione fisica) può essere praticato in forma coatta, nei casi in cui un soggetto inconsapevole rischi di danneggiare sé stesso o gli altri, una psicoterapia non può concettualmente essere obbligatoria, diventa tempo perso. A meno di non risentire di un retroterra ideologico totalitario, in cui sia possibile pensare di far cambiare idea alle persone con la coercizione, ovviamente a fin di bene, senza il minimo sentore della disumanità di tale processo, per non dire della sua inutilità (le persone si adattano, e alla fine ti dicono quello che vuoi sentirti dire).
In conclusione, sembra che l’estensore del corrente CD Psicologi si muova nell’inconsapevolezza che i principi deontologici contribuiscono sempre a una definizione della professione, e abbiamo visto quanto il lavoro di autodefinizione sia centrale per gli psicologi. Il lavoro psicologico ha il suo valore aggiunto nell’esercizio del pensiero, che necessita di tempo. Non si attua in urgenza, non può avere carattere coercitivo e non possiede, come peraltro ogni altra professione sanitaria, capacità predittive certe come le hard sciences. Conferire alla Psicologia attributi di decisionismo muscolare, fosse anche per nobili scopi, in ultima analisi non è che un abuso della Psicologia stessa."
Come non essere d’accordo? Quanto scritto dal dott. Scaglietti dimostra che si possono giungere a medesime conclusioni pur partendo da presupposti, estrazione culturale e professionale differenti. Quando ciò accade? Quando si è sgombri da qualsiasi pregiudizio, quando si compie un’analisi serena dei fatti senza lasciarsi fuorviare cha “mode” o dal “political correct”, quando si crede veramente al valore dell’uomo in quanto tale, alla sua dignità, alla sua profonda essenza.
In altre parole, quando non si è affetti da ideologia ma si ama il confronto di idee.
E’ pur vero che gli estensori della riforma avranno avuto in mente i casi di disaccordo dei genitori sulla terapia e la necessità di intervenire senza il loro congiunto assenso ma una volta introdotta l’eccezione come porre limite?
La giornalista si chiedeva anche quale potesse essere il valore di una norma deontologica che incide addirittura sulla decisione di un giudice. Il tutto potrebbe essere complicato ma non molto. La segnalazione dello psicologo giunge al giudice che trasmette gli atti al PM che può (deve se ci sono i presupposti?) promuovere l’apertura di una AdS ex art. 404 c.c. Oppure la segnalazione viene presentata al G.T. che può nominare un curatore ad acta che si sostituirà alla volontà dei genitori o a quella del paziente maggiorenne e ritenuto incapace di scegliere. O il giudice della separazione potrà nomina un curatore speciale così come previsto dalla riforma Cartabia che prevede la nomina se vi è un conflitto di interessi tra i genitori ed il minore. [5]
E allora si comprende la ratio della norma deontologica: potrebbe essere il tres d’union tra la norma processuale della crisi familiare e l’attività dello psicologo. E’ una sorta di assist al giudice che deve valutare ma non ha gli strumenti per farlo. Sarò lo psicologo a dire che esiste un conflitto di interessi tra genitori e figlio.
Agire contro la volontà del paziente o assecondare scelte irreversibili del minore. In nome di che cosa? Questo è il vero problema. Si tratta di scelte ideologiche o solo di maldestra volontà di risolvere casi estremi e complessi? Si pensa che lo psicologo abbia la possibilità scientifica di sapere cosa sia bene e male per il paziente? O si apre la porta a un intervento dello psicologo diretto a indurre i pazienti in una direzione piuttosto che in un’altra per il bene pubblico o per soddisfare tendenze e mode? Qui prodest?
A cosa porta l’ideologia? Ultima parole del nostro titolo, L’ideologia porta a riconoscere che l’autodeterminazione è “sacra e inviolabile” solo se utile a consolidare “tendenze ideologiche”. Così si riconosce autodeterminazione ai bambini che chiedono di morire autorizzando l’eutanasia. Si riconosce che i bambini sono dotati di libertà di scelta e possono liberamente farsi uccidere oppure diventare oggetto predatorio di pedofili. Non stiamo esagerando lo si vede intorno a noi.
Certamente gli estensori non avranno pensato al rischio di simili casi estremi ma le norme sono generiche e generali.
L’ideologia è opposta all’etica non prevede valori universali e universalmente riconosciuti. Non crede al diritto naturale e all’esistenza di valori non negoziabili. L’ideologia è autoreferente e non ammette contestazioni. Non ama il dialogo e il confronto. Sei con me o contro di me. Non vi è possibilità di ripensamenti. Chi è ideologicamente orientato rimane rigidamente legato alla sua visione del mondo. L’unica vera e l’unica desiderabile.
Noi che crediamo nell’uomo siamo profondamente turbati ma continueremo a credere nell’uomo e a sostenere la libertà di scelta, libertà inscindibilmente legata alla verità e alla possibilità di ricerca della verità.
[1] Cass. SS.UU.29 settembre 2015, n. 19246.
[2] a tale proposito ovviamente vista la evidente analogia con le condotte umane più recenti è stata riscritta la storia anche di questi simpatici animaletti.
[3] da ultimo Cass. 16 febbraio 2022, n. 5536
[4] La Consulta, come è noto, ha dichiarato le disposizioni che imponevano il cd vaccino ai sanitari (d.l. 1° aprile 2021 n. 44 e d.l. 24 marzo2022 n. 24), non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario su u presunto diritto pubblico alla salute. Non vi chi non veda che la salute è individuale e un bene personalissimo. Peraltro la Corte si è basata su presupposti scientifici che non reggono alla verifica o come è corretto dire al principio epistemologico “Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato” (Albert Einstein, lettera a Max Born del 4 dicembre 1926) e neppure alla statistica come recentemente hanno dimostrato le ultime rilevazioni sulle conseguenze dell’epidemia.
[5] artt. 78 e 80 c.p.c.
Il Giudice debba provvedere in via obbligatoria alla nomina del curatore speciale del minore, a pena di nullità degli atti del procedimento e anche d’ufficio:
1) nei procedimenti aventi ad oggetto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro;
2) in caso di provvedimenti confermativo dell’allontanamento familiare ex art. 403 c.c. o di affidamento eterofamiliare;
3) nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di abbandono del minore;
4) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;
5) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.
La nomina del curatore è, invece, facoltativa quando il Giudice valuti che i genitori siano per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore; in questo caso, la nomina sarà fatta con provvedimento succintamente motivato.