-  Comand Carol  -  25/12/2016

Parte civile: qualificazione giuridica dei fatti ed interesse all'impugnazione - Cass. pen. 54138/16 - Carol Comand

I successori del danneggiato possono esperire impugnazione coltivando dei motivi inerenti alla diversa qualificazione del fatto ascritto solo in presenza di una possibile concreta incidenza sulla determinazione del danno.

Il soggetto al quale il reato ha recato danno o i suoi successori universali sono legittimati all'azione civile nel processo penale per le restituzioni e per il risarcimento del danno.

Appare naturale conseguenza di ciò che la parte civile possa esperire impugnazione contro i soli capi civili della condanna che si riferiscono all'azione civile ovvero, contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, ai soli effetti della responsabilità civile.

Nella sentenza che si riporta, si ribadisce in particolare che: i motivi di ricorso inerenti la corretta qualificazione del fatto ascritto non comportano, di per sé, un interesse all'impugnazione da parte della parte civile e che l'interesse di quest'ultima in merito a tali motivi è subordinato alla concreta incidenza che essa assume sulla determinazione del danno di cui si chiede il ristoro.

Nella pronuncia si precisa, inoltre, che è onere della parte civile indicare le ragioni per cui la diversa qualificazione incide concretamente sulla pretesa risarcitoria.



RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 17.2.2015 il Tribunale di -omissis- confermava la sentenza emessa dal locale Giudice di Pace di -omissis-, con la quale -omissis- era stato assolto dai reati di cui ai capi 3, 4, 5 e 8, di ingiurie e danneggiamenti nei confronti di -omissis- perché i fatti non sussistono.

2.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore -omissis-, figlia di -omissis-, nel frattempo deceduta, lamentando:

-con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata ex art 606, primo comma, lett. d) ed e) c.p.p., per manifesta illogicità di motivazione e per travisamento delle risultanze processuali, avendo il giudice di appello omesso di valutare prove decisive relativamente ai capi 3) e 5) di imputazione e per omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale al fine di acquisire copia dei documenti inservibili; in particolare, nel corso del giudizio di appello era emerso che i 3 supporti CD ROM, contenuti nel fascicolo del giudice di appello, non erano gli originali del processo di primo grado e, successivamente, all'udienza del 06.11.2014, si appurava che gli stessi CD/DVD non risultavano "visibili"; disposto il rinvio della causa al fine di consentire la reperibilità dei CD/DVD originali, all'udienza del 20.01.2015 veniva dato atto che i CD/DVD originali non erano stati reperiti e la difesa di parte civile chiedeva, pertanto, il rinnovo dell'istruttoria dibattimentale mediante acquisizione di copia di quelli nella disponibilità della parte civile, con relativo esame testimoniale della stessa in merito alla conformità delle nuove produzioni agli originali ed in subordine il licenziamento di perizia tecnica volta a stabilire l'effettiva impossibilità di visionare il contenuto dei supporti informatici presenti nel fascicolo del dibattimento; il Giudice di appello rigettava tali istanze, ritenendo che la sopravvenuta indisponibilità del supporto non inficiasse l'inquadramento del materiale probatorio raccolto dal primo giudice, avendone dato atto nella parte motivazionale della sentenza, in cui era stata fornita descrizione del contenuto; tale valutazione denota la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul presupposto della omissione, da parte del giudice di merito, della valutazione di decisivi elementi di prova; la presente fattispecie costituisce una sorta di simbiosi di due vizi: il travisamento e l'omessa considerazione di prove decisive; in particolare in merito al capo 3 dell'imputazione: la sentenza così esordisce in parte motiva: " Nel merito, con riferimento al capo 3) di imputazione, emerge dagli atti del processo di primo grado il ragionevole dubbio della non consapevolezza da parte dell'imputato della presenza di una telecamera posta nell'intercapedine..", ma tale affermazione integra sicuramente un'omissione di giudizio, essendo la motivazione proposta soltanto "apparente", perché basata su una prova non conosciuta direttamente dal giudicante ed implica travisamento, giacchè la sentenza primo grado traeva origine dalla valutazione di elementi di fatto che il secondo giudice non ha mai potuto conoscere e, pertanto, solo apparentemente nel corpo della motivazione il giudice dell'appello sostiene di valutare tali prove nel merito ai fini della propria decisione; per quanto concerne il danneggiamento, il Tribunale si esprime nel senso che non risulta supportata dalla necessaria prova della inservibilità strutturale o funzionale del bene conseguente alla condotta contestata, ma l'obiettivo rilievo del funzionamento della telecamera a immagini capovolte ne attesta invero il contrario; anche in tale caso l'affermazione implica travisamento della prova ed omissione di giudizio, per essersi utilizzata in sentenza e rappresentata in motivazione un'informazione probatoria non esistente nel processo e per essersi omessa la valutazione di una prova decisiva;

-con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale riguardante gli articoli 594 e 674 c.p., relativamente al punto della sentenza in cui i fatti di cui al capo 3) di imputazione vengono qualificati come reato di cui all'art. 594 c.p., anziché come quello di cui all'art. 674 c.p., nonché per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione su tale punto; invero, la motivazione della sentenza è inidonea a sostenere l'inquadramento, sia pure a fini assolutori, degli elementi della condotta nel reato di cui all'art. 594 c.p., alla luce delle risultanze probatorie agli atti processuali, poiché i comportamenti posti in essere dall'imputato andrebbero ricondotti nell'alveo della fattispecie di cui all'art 674 c.p., e non rileva la considerazione espressa da entrambi i giudici circa la consapevolezza o meno, in capo all'imputato, della presenza di una telecamera; secondo la giurisprudenza della S.C., può integrare il reato di cui all'art. 674 c.p. la condotta di chi versa o getta rifiuti di vario genere, allorquando sia accertata la loro capacità lesiva nei confronti delle persone che dal getto pericoloso di cose vengono imbrattate, offese nella loro integrità fisica ovvero molestate e turbate nella loro tranquillità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

1.Con il primo articolato motivo di ricorso la ricorrente si duole innanzitutto della mancata acquisizione da parte del giudice d'appello, attraverso la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale della copia nella disponibilità della parte civile dei CD/DVD non reperiti, laddove l'argomentazione posta a sostegno del diniego appare immune da censure.

Ed invero, non illogica si presenta la valutazione del giudice d'appello, secondo cui la sopravvenuta indisponibilità del supporto relativo alla riprese filmate delle telecamere, non inficia il materiale probatorio già raccolto dal primo Giudice, atteso che dell'avvenuta disamina delle stesse egli dà atto nella parte motivazionale della sentenza, in cui viene fornita descrizione dell'accaduto. Infatti, nella prima sentenza viene accuratamente descritto quanto emergente dai filmati, né tale descrizione risulta specificamente contestata. Peraltro il giudice d'appello non deve normalmente assumere nuovamente le prove, ma deve valutare in base alle prospettazioni effettuate dalle parti la ricorrenza dei presupposti per procedere alla rinnovazione ex art. 603 c.p.p.

1.1.Alla rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello, di cui all'art. 603, comma primo, cod. proc. pen., può ricorrersi, infatti, solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013). In ogni caso in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale sotto il versante della mancata acquisizione di una prova decisiva qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate, provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione dideterminate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014). Deve invero ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'art. 606, primo comma, lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, rv. 259323), tutti elementi questi che non si ravvisano nella fattispecie in esame.

1.2. Per quanto concerne, poi, la censura relativa al mancato esperimento della perizia, si osserva che la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione esclude che la perizia possa farsi rientrare nel concetto di prova decisiva fatto proprio dall'art. 606 lett. d); la norma citata contiene infatti un esplicito riferimento all'art. 495 c.p.p., comma 2, e, pertanto, si riferisce alle prove a discarico, mentre la perizia non può essere considerata tale, stante il suo carattere per così dire "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice (Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, P.G. in proc. Ligresti, Rv. 229665; Cassazione penale, sez. V 29/05/2013 n. 37314).

1.3. In merito alla deduzione relativa al danneggiamento, secondo cui, contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale il funzionamento della telecamera a immagini capovolte darebbe, invece, conto della ricorrenza del reato, si osserva che essa si traduce in una mera alternativa ricostruzione dell'accaduto, che non risulta supportata da elementi idonei a darne conto.

2. Inammissibile si presenta il secondo motivo di ricorso, circa la qualificazione dei fatti ascritti come riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 594 c.p., piuttosto che a quella di cui all'art. 674 c.p.. Ed invero, a prescindere dal rilievo che corretta appare la valutazione effettuata in proposito dal giudice d'appello, appare dirimente la considerazione che non si ravvisa un concreto interesse della p.o. a svolgere censure del tipo di quelle in esame.

Sussiste, infatti, l'interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna -che confermi la qualificazione dei fatti come riconducibili alla fattispecie di cui al capo di imputazione, piuttosto che in quella diversa invocata- allorché da quest'ultima possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire, cui si pervenga tenendo conto anche della gravità del reato e dell'entità del patema d'animo sofferto dalla vittima. (arg. ex Sez.4,n.39898del03/07/2012; Sez. 5, n. 32762 del 07/06/2013, Rv. 256952). L'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di condanna in merito alla qualificazione giuridica dei fatti non sussiste automaticamente, ma è subordinato alla concreta incidenza che essa assume sulla determinazione del danno di cui si chiede il ristoro. Ne consegue che è onere della parte civile indicare le ragioni per cui la diversa qualificazione incida concretamente sulla pretesa risarcitoria, onere questo che nella fattispecie non risulta in alcun modo soddisfatto.

3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..








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