Responsabilità civile  -  Nicola Todeschini  -  17/02/2014

Malasanità: la guerra degli spot, la vittoria della confusione

E' noto che in questi giorni il collegio italiano dei chirurghi abbia pubblicato un spot televisivo in polemica con quello erroneamente definito lo “spot degli avvocati” ma in realtà diffuso da una società d'infortunistica che ha così goduto di una doppia ed immeritata pubblicità. E' incredibile che pure il giornale on line “La Stampa” cada in quest'equivoco pubblicandolo come tale. 

La società d'infortunistica non è uno studio legale, gode di libertà che all'avvocato sarebbero, giustamente, impedite, e si muove sul mercato come una società di servizi la cui deontologia è molto lontana dall'essere paragonabile a quella attesa da un avvocato. Sfrutta, poveri noi, nel suo spot figure professionali come quella dell'avvocato e del medico legale senza chiarire in che misura questi intervengano nel prestare la propria consulenza al cliente che si rivolga a detta società. 

Una società d'infortunistica, invero, non è per nulla tenuta ad assegnare una richiesta di risarcimento alle cure di un avvocato, ma anzi per lo più cerca di fare da sé augurandosi così di poter incassare le spesso laute percentuali pattuite con il proprio cliente senza dover compensare alcun professionista. Nel nostro paese è purtroppo possibile pressoché a chiunque patrocinare, fuori del giudizio, una pretesa risarcitoria senza che sia richiesto un particolare titolo di studio e specializzazione a chi lo farà, tanto meno il titolo di avvocato. Lo può fare un ingegnere, un ex postino, un barbiere, un barman, un amministratore di condominio, un geometra, il pescivendolo che abbi seguito ben inteso un corso intensivo; solo se è necessario rivolgersi ad un giudice il nostro legislatore impone che ci si debba rivolgere ad un avvocato, bontà sua, riconoscendo che, per lo meno quando si debba discutere di diritto con un giudice sia necessario farsi assistere da chi il diritto l'abbia studiato all'università, abbia quindi svolto la pratica professionale, superato un'esame di stato, perseguito l'aggiornamento professionale. Anche sotto il profilo del buon senso tale logica è incomprensibile: è come sostenere che per curare una malattia senza dover ricorrere al ricovero in ospedale sia abilitato chiunque, anche senza titolo di studio adeguato, ma che se la malattia necessiti di ricovero (nella metafora, il Tribunale) allora siano necessari i medici veri! 

Paragonare quindi le società d'infortunistica agli avvocati avvocato non è possibile, e chi consente di prestarsi alla confusione che deriva, per esempio, dallo spot con il quale una società si presenti come in qualche modo formata da avvocati (il che non può essere) o esclusivamente organizzata grazie all'opera degli stessi, viola tra l'altro principi deontologici ai quali è invece tenuto e contribuisce ad alterare il mercato dei servizi professionali consentendo una non consentita un'intermediazione nell'accaparramento della clientela in favore di un avvocato.

Come si è visto ne ha fatte le spese anche la stampa, incapace di distinguere, grazie alla malizia commerciale dello spot televisivo, tra una società d'infortunistica e gli avvocati in genere. Quanti ultimi forse avrebbero dovuto, per una volta, farsi sentire di più, meglio, ma questa è un'altra storia.

Si vuole probabilmente far credere che sia in atto una lotta tra avvocati e medici, pur se i guadagni di questa lotta finiscano ad una società, che evidentemente sul piano del marketing ha fatto i conti proprio bene. Che si indulga a rappresentare tale scontro come in atto l'ho già sottolineato in altro contributo che invito i più curiosi a leggere, su questa stessa rivista, a questo LINK. Chi ne trarrà maggior vantaggio nell'alimentarlo? Di certo le compagnie di assicurazione, che assistono compiaciute a questa zuffa certe di poter profittare delle novelle che eseguiranno e che saranno, come il solito, pregiudizievoli per i diritti dei danneggiati.

Ingolositi dal patto di quota lite che spesso le società d'infortunistica presentano come tale anche per il giudizio, (senza costi né rischi, dicono), molti si rivolgono ad esse, ma non sanno, per esempio, che poi accade, come mi è capitato di verificare sul campo, che se una causa sta andando male la società ricorda al proprio cliente, nel frattempo “passato” ad un avvocato, che se non vi rinunzia subito se ne accollerà le spese, perché quando si perde una causa non vi sono in gioco solo le spese per il proprio avvocato e consulente medico legale, ma pure quelle avversarie, che la società non ha certo voglia di pagare per un cliente che non li arricchirà con la sua percentuale, a volte pure assai alta, sul risarcimento che non percepirà. E' un modo, questo, chiaramente commerciale di trattare l'assistenza professionale, per il quale un soggetto commerciale decide su chi investire il proprio denaro e deve far quadrare i conti.

Ma torniamo ai nostri spot. 

I medici reagiscono a quello della società d'infortunistica, che ricorda essere di dieci anni la prescrizione del diritto a risarcire il danno (informazione nota ai più) e, con il corredo di immagini e musiche allusive, si rappresenta come la miglior scelta (come farebbe la Ferrero per la Nutella) paventando la possibilità per il danneggiato di non assumersi rischi economici. Il web è pieno di tali proposte, è la televisione a non esserne ancora abituata. 

La reazione dei chirurghi è confezionata in uno spot nel quale si rappresentano vittime di una congiura ed avvisano i malcapitati pazienti che di questo passo dovranno curarsi da sé. Dicono d'essere attinti, continuamente, da accuse infondate, che finirebbero nella maggior parte dei casi con un nulla di fatto, ma che l'impegno profuso nella loro difesa sarebbe alto, ed il timore di essere nuovamente bersaglio di accuse infondate sarebbe tale da sconsigliare pratiche sanitarie corrette ed addirittura da abbandonare la Professione. Anche A Dimostrazione Dell'inesattezza Di Tale Punto Di Vista Rimando A Precedenti Contributi ( "Malasanità', la sfacciata proposta di Legge del Pd"; Malasanita': anche le regioni danno i numeri; "Malasanita': la ricetta, maliziosa, dell'Ania".)

Entrambi rappresentano una realtà che non esiste: non sono, i primi, gli avvocati, non sono, i secondo, i medici. La prima è una società d'infortunistica che desidera guadagnare con le percentuali dei risarcimenti che si prefigge d'ottenere, i secondi sono degli attori che rappresentano una categoria patinata, amorevole, puntuale e vittima dell'abuso di forze altrui. Sono entrambi un'astrazione del vero, figli della necessità di rappresentarsi in uno spot che suggerisca allusioni diverse da quelle avversarie, tutto qui.

Aver accettato la sfida a colpi di spot è stato un errore assai grave, che ha donato alla società d'infortunistica un'imprevista ed immeritata pubblicità (che dovrebbe semmai meritare con i suoi servizi, non con le accuse che le vengono rivolte), rappresentandola a paradigma degli avvocati, che invece non rappresenta per nulla; mostrando inoltre il fianco ad un elemento, della reazione, assai debole e consistente nella negazione dell'errore, che tutti sappiano essere invece ben presente, cedendo alla tentazione di rappresentare la professione come una favola ovattata di televisiva memoria. Sembra che i sanitari siano tutti novelli protagonisti di Grey's Anatomy, in costante condizione d'urgenza, vittime e mai protagonisti di un errore che invece commettono, come tutti noi, ma del quale vorrebbero si arrivasse ad un trattamento di favore, che discrimini la loro professione dalle altre.

L'effetto che ha invece ottenuto lo spot della società d'infortunistica, al di là di aver creato la probabilmente voluta confusione tra essa ed uno studio legale associato di avvocati e medici legali,  è stato quello di motivare i medici a chiedere che sia propria la decantata -nello spot- prescrizione decennale ad essere ridotta a due anni, così da pregiudicare in misura enorme le chance dei pazienti danneggiati d'essere risarciti!

La spettacolarizzazione della malasanità, quando non è occasione di riflessione, è fonte solo di allarme ed attira reazioni, anche del legislatore, forse più convulse e pericolose di quelle alle quali ci ha sin qui abituato e finisce d'essere paradigmatica della confusione, cercata, che investe trasversalmente anche le professioni e tende inevitabilmente ad omologare, far perdere i contorni, cancellare le differenze, perché in un mercato disilluso e caotico tutti possono mangiare qualche boccone in più.

 




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