Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  30/05/2024

Ma perché la co-progettazione è così difficile da realizzare? – Cons. St. 4540/24

Una cooperativa sociale ha presentato ricorso contro l’avviso di co-progettazione relativo al servizio di assistenza scolastica per alunni disabili promosso da un comune. Sinteticamente, i motivi di doglianza possono essere così riassunti:

il servizio oggetto della procedura collaborativa doveva essere ricondotto nelle procedure competitive;

l’ente locale si era discostato da precedenti atti programmatori, dai quali discendeva che il servizio doveva considerarsi “a mercato”;

la co-progettazione doveva conseguire ad una precedente fase di co-programmazione (non esperita);

la procedura non era coerente con la previsione del Regolamento comunale che disciplina i rapporti con gli enti del terzo settore.

Le contestazioni formulate dalla cooperativa sociale sono state ritenute meritevoli di accoglimento dal Tar Abruzzo, sez. I, con la sentenza 368/2023.

Per la riforma della citata sentenza di prime cura, l’ente locale ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, sez. V, che, con la sentenza 22 maggio 2024, n. 4540, ha confermato la decisione di primo grado, seppure con diverse motivazioni.

I giudici di Palazzo Spada hanno statuito quanto segue:

  1. L’avviso di co-progettazione non può considerarsi “gratuito” – conditio sine qua non per potersi esperire la specifica procedura – in quanto l’ente locale ha previsto un corrispettivo a fronte “di fattura” e non il semplice rimborso dei costi sostenuti (cfr. parere consultivo del Consiglio di Stato del 26 luglio 2018);
  2. L’avviso di co-progettazione contemplava la definizione puntuale e circostanziata delle attività che l’ente del terzo settore avrebbe dovuto realizzare, lasciando poca “immaginazione” al percorso collaborativo, in questo senso, contrastando con le disposizioni del d.m. n. 72/2021;
  3. La sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale sottende una partecipazione attiva degli enti del terzo settore, finanche anche sotto il profilo della condivisione delle risorse necessarie alla realizzazione delle attività di interesse generale.

Quanto deciso dal Consiglio di Stato nella sentenza de qua merita particolare attenzione, atteso che essa tocca alcuni profili “fondanti” dell’istituto giuridico collaborativo previsto dall’art. 55. In primis, occorre notare che l’articolo in questione deve tenersi distinto dall’art. 56 (peraltro, citato anche nella sentenza in parola), in quanto, mentre – come è noto – le convenzioni con le OdV e le APS possono contemplare soltanto il “rimborso delle spese sostenute e documentate”, la co-progettazione ammette il riconoscimento di un contributo ex l. n. 241/1990. Invero, è ancora possibile rintracciare avvisi pubblici recanti “procedura di co-progettazione” nella loro rubrica, per scoprire, leggendo l’avviso nella sua interezza, che l’intenzione della pubblica amministrazione procedente è quella di sottoscrivere una convenzione, spesso, per gestire spazi di proprietà pubblica.

In secondo luogo, gli avvisi di co-progettazione c.d. “selettiva”, ossia finalizzata ad identificare il soggetto di terzo settore “erogatore” rischiano di prestare il fianco alle censure mosse dai giudici amministrativi anche in questo caso. Al riguardo, sembra opportuno ricordare che l’art. 55 CTS dispone che la co-progettazione ha lo scopo di “definire” ed eventualmente realizzare progetti specifici. Da ciò discende che la pubblica amministrazione procedente ha intenzione di costruire un percorso di condivisione e di confronto con gli ETS che permetta di individuare l’intervento, l’attività ovvero il servizio ritenuto più adeguato per rispondere al/ai bisogni individuati. L’obiettivo ultimo è pertanto quello di addivenire all’individuazione di un progetto e non di un soggetto. Al contrario, se l’avviso contiene – come nel caso di specie – il dettaglio delle attività attese da parte degli ETS non è difficile contestare alla pubblica amministrazione che l’intenzione è quella di individuare il soggetto erogatore. In terzo luogo, una simile interpretazione è corroborata dal fatto che l’avviso in questione ha previsto espressamente il riconoscimento di un contributo economico a fronte di un’attività svolta, richiamando in questo senso la dimensione sinallagmatica del rapporto giuridico intercorrente tra ente locale ed enti del terzo settore.

A questo riguardo, tuttavia, occorre evidenziare un profilo tanto delicato quanto foriero di difficoltà applicative: infatti, sebbene la co-progettazione sia fondata sul riconoscimento di un contributo e non di un corrispettivo, rimane da chiarire come gli ETS coinvolti possano rendicontare quanto realizzato in termini di “pezze giustificative”, atteso che, di norma, per esempio, i fondi finanziati attraverso il PNRR, richiedono la presentazione di fatture o titoli assimilabili, che, prima facie, come sostenuto dalla cooperativa sociale ricorrente in primo grado, riconducono la fattispecie ad una procedura competitiva. E’ questo – ad avviso di chi scrive – forse l’elemento che più di altri rappresenta un ostacolo ad una coerente e positiva applicazione della procedura di co-progettazione. Da un lato, infatti, le pubbliche amministrazioni, erogatrici in ultima istanza anche di importi significativi, chiamate a rispettare i principi di buon andamento, sono nella condizione di dover giustificare le uscite legate alla co-progettazione. Dall’altro, la presenza di contributi, anche significativi, induce l’interpretazione giurisprudenziale a ritenere che non si tratti di rapporti gratuiti, ma di rapporti economici, per i quali la co-progettazione non può applicarsi. Sul punto, sarebbe utile e opportuno un intervento di chiarezza interpretativa da parte del legislatore ovvero dell’autorità governativa.

Da ultimo, si intende in questa sede segnalare un profilo innovativo contenuto nella sentenza de qua, segnatamente, il rapporto tra autodisciplina regolamentare dell’ente locale e le procedure amministrative da essa contemplate. E’ infatti interessante notare che, nel caso di specie, il regolamento comunale ha differenziato tra servizi “ad alta soglia di intensità”, da affidare alle procedure competitive da quelle “a bassa soglia di intensità”, da definire attraverso procedure di co-progettazione. Sembra di poter affermare che l’ente locale abbia inteso così individuare una sorta di linea di demarcazione tra servizi/attività/interventi “prestazionali” da altre tipologie di intervento, per le quali è ritenuto più adeguato o funzionale attivare percorsi di collaborazione.

Alla luce di queste brevi considerazioni (ci sarà modo di approfondirle in altri contributi), la co-progettazione, almeno così come individuata dall’art. 5 del CTS del 2017, sembrerebbe non superare lo stress test nei settori socio-assistenziali ovvero socio-sanitari, che richiedono nello specifico, continuità di erogazione, garanzia di accesso e stabilità contributiva. Al riguardo, pertanto, occorre prestare attenzione alle ragioni che possono indurre gli enti locali e le aziende sanitarie a ricorrere alle procedure cooperative di cui all’art. 55. Tra queste possono annoverarsi la necessità di rivedere, per esempio, il processo di presa in carico delle persone fragili o con disabilità (si veda, per tutti, il recente d. lgs. n. 62/24). E’ dunque fondamentale che le amministrazioni procedenti chiariscano in modo inequivocabile cosa intendono realizzare, che cosa intendono assicurare ai cittadini, quali sono gli interventi e i servizi oggetto dei percorsi collaborativi. A ciò si aggiunga che, in ragione del principio di autonomia organizzativa e regolamentare previsto dall’art. 55, comma 1, occorre poi prestare molta attenzione alle modalità rendicontative che, seppure con i caveat sopra descritti, devono informare i percorsi di co-progettazione.

Questi ultimi, invero, non sono anteposti alle procedure competitive soltanto in ragione dell’assenza di sinallagmaticità, ma soprattutto perché intendono coinvolgere attivamente gli ETS fin dall’inizio del procedimento, escludendo così in re ipsa che gli enti non lucrativi siano gli erogatori di ultima istanza. Se questo dovesse essere il caso, le procedure di gara, in specie aggiornate e modificate dal d. lgs. n. 36/2023, sono in grado di rispondere alle esigenze di public procurement.  




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