Tra le varie figure di responsabilità, la seduzione con promessa di matrimonio è forse quella in cui più raramente il giudice può sottrarsi ai propri compiti di sottile distillatore, quanto agli oneri probatori.
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Due le ragioni principali.
La prima è d'ordine storico/fenomenico: in pochi altri casi l'incertezza si presenta come una realtà altrettanto fitta e resistente, in sede di processo - nonché pronta ad avvolgere contemporaneamente tante componenti della fattispecie.
La seconda è di carattere giuridico/valutativo: pochi altri illeciti appaiono circondati, sul piano normativo, da una gamma di riferimenti altrettanto "liquidi" - sparsi cioè trasversalmente lungo il sistema, nonché contrassegnati da coefficienti così alti di emotività.
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Sul primo punto, allora: basta sfogliare le sentenze in materia per accorgersi quanto spesso - giunto al termine dell'istruttoria - il giudice non sa ancora se una promessa nuziale vi sia stata davvero, se chi l'ha fatta fosse in dolo (sapeva già di non voler adempiere), quanto essa abbia pesato ai fini della traditio corporis.
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Talvolta non è neppur pacifico che il pomo delle Esperidi, fra i due protagonisti, sia stato effettivamente mangiato, né che la donna abbia risentito poi qualche pregiudizio (col passaggio dei vari gradi la pronuncia definitiva interviene talvolta a distanza di decenni, quando la lite ha perso ormai significato).
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Circa gli oneri probatori, invece: stando allo schema canonico (con la "sedotta" tenuta a dimostrare tutti gli elementi di cui sopra), difficilmente una condanna dell'uomo si avrebbe in più di un caso su dieci. Invece le cose vanno abitualmente nel verso opposto - e la spiegazione sta proprio nel modo in cui quelle incognite tendono a essere gestite, in sede di giudizio.
Così, il principio di salvaguardia dei soggetti deboli entrerà in gioco tanto più risolutamente quanto più l'attrice riveli di essere stata, al momento del fatto, una fanciulla di salda tempra religiosa, di carattere schivo, notoriamente illibata. Il criterio di tutela per la libertà (dell'uomo, della donna) di innamorarsi, di sbrigliare la propria sessualità, di disamorarsi - di sposarsi e non sposarsi - tenderà a operare, dal canto suo, in senso contrario alla responsabilità. E così di seguito.
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Gli effetti sono facilmente immaginabili. Via via che l'interessata emerga (dalle sue lettere, dai racconti delle amiche, etc.) come un essere ingenuo, timoroso, tanto più ci si sposterà in zona di presunzione di promessa nuziale determinante. Quanto più affiori invece l'immagine di una creatura espansiva, indipendente, tanto più spetterà ad essa provare - il moralismo dei nostri giudici è spesso in agguato - che le nozze erano state davvero promesse, che si trattava di un impegno serio, che la castità non avrebbe altrimenti vacillato.
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E all'inverso: la chiave della severità per il cinismo opererà con tanta maggior energia quanto più il convenuto appaia come un donnaiolo inveterato, aduso delle scommesse amorose, privo di scrupoli. Quella arieggiante alla ‘’compensatio lucri cum damno’’ tanto più si farà sentire quanto migliore risulti la sistemazione coniugale che la sedotta sia, per ipotesi, riuscita a conseguire, presso maschi impietositi dalla sua sorte. E così di seguito.