Lothar Kreyssig
e la funzione del Giudice tutelare
Giulio Rufo Clerici – Michaela Albanese
Il 6 luglio ricorre l’anniversario della scomparsa di Lothar Kreyssig: il Giudice tutelare che ha difeso, durante il Terzo Reich, il diritto alla vita di tutte le persone fragili.
Il dott. Kreyssig nasce in Germania nel 1898. Presta servizio nella prima guerra mondiale e viene decorato al valore (M. Burleigh, Death and deliverance: ‘euthanasia’ in Germany c. 1900-1945, Cambridge, 1994, 169). Dopo aver studiato giurisprudenza, a partire dal 1928 svolge funzioni giudiziali, astenendosi dal partecipare a manifestazioni in favore di Hitler e aderendo alla Chiesa confessionale, non allineata con il nazismo: pertanto egli riceve una serie di richiami formali e viene posto sotto inchiesta (I. Müller, Hitler’s justice. The courts of the Third Reich, Cambridge, 1991, 194).
Nel 1940 il dott. Kreyssig rileva che le persone affidate alla sua tutela di Giudice scompaiono, l’una dopo l’altra, con una frequenza sospetta. Da un anno, infatti, la Cancelleria del Reich coordina segretamente il censimento, la raccolta e l’eliminazione sistematica di coloro che risultano inabili al lavoro e sono curati per patologie quali la schizofrenia, l’epilessia, “i disturbi senili”, la paralisi e le malattie luetiche, il “ritardo mentale dovuto a qualsiasi causa”, l’encefalite. Il censimento si svolge mediante appositi questionari, la raccolta dei pazienti avviene tramite autobus guidati da SS e l’eliminazione è concentrata in strutture che sperimentano tecniche, successivamente, utilizzate anche per gli appartenenti alla confessione religiosa ebraica. L’intero programma è denominato in codice “T4”, si richiama ad un ordine riservato di Hitler e non viene discusso pubblicamente (ex multis R.J. Lifton, I medici nazisti, Milano, 2003, 94 ss.).
Le ragioni della segretezza consistono tanto nella mancanza di solide basi giuridiche per pianificare la morte delle persone fragili, quanto nella opportunità di prevenire espressioni di dissenso da parte dei cittadini (v. più ampiamente H. Friedlander, The origins of nazi genocide, London, 1995, 116 ss.).
Al riguardo questo contributo vuole agevolare la conoscenza di alcune pagine scritte dal dott. Kreyssig e, in maggioranza, inedite per il pubblico italiano.
Il dott. Kreyssig invia alla capitale una memoria l’8 luglio 1940 (E. Klee, Dokumente zur “Euthanasie”, Frankfurt am Main, 1985, 201 ss. e 204 ss., da dove provengono i brani successivi, salvo diversa indicazione).
In particolare il Giudice espone che “numerosi soggetti affetti da infermità di mente sono stati trasferiti dagli ospedali e dalle case di cura attraverso le SS in strutture site nel sud della Germania e lì condotti alla morte. Da circa due mesi ho ricevuto molteplici atti in cui tutori e infermieri di persone con infermità mentali riferiscono di aver appreso dalle case di cura site in Hartheim/Oberdonau la notizia del decesso dei loro assistiti”. Le vittime – prosegue il dott. Kreyssig – sono state uccise “all’insaputa dei loro parenti, rappresentanti legali e tribunali, e senza la garanzia di un procedimento regolare e senza alcun fondamento giuridico”. In queste circostanze estreme è pertanto necessario interrogarsi sul significato della vita delle persone più vulnerabili.
“Che cosa significa normale? Che cosa è guaribile? Che cosa può essere constatato con sicurezza attraverso una diagnosi?” E quali sforzi la società può compiere per garantire l’esistenza dei pazienti? “Chi pensa di sapere tutto ciò non potrà ancora sapere cosa pensano altre persone al riguardo. In un procedimento legale sarebbe utile notificare un ricorso motivato al parente coinvolto. Egli dovrebbe essere ascoltato. Dovrebbe esistere una perizia sulla quale egli potrebbe prendere posizione. Sarebbe emessa una sentenza per mezzo della quale egli verrebbe a contatto con la coscienza del giudicante. Dovrebbe poter fare ricorso e, attraverso un’ulteriore perizia, potrebbe emergere ciò che non è stato preso in considerazione. E la decisione ultima, anche se difficile da assumere, non potrebbe essere che appellarsi alla propria coscienza”. In tal modo la coscienza, l’etica e la legge opererebbero insieme, donando alla società la “pace giuridica”.
“Tutto ciò manca!”. Né si possono “prevedere quali tremende conseguenze e quale angoscia mentale può subire colui che non è gravemente malato ma psicologicamente più debole e dal punto di vista nervoso più fragile”. Né possiamo immaginare il dolore dei familiari: nessuno presta più fede ai certificati di morte secondo cui i pazienti sarebbero sempre scomparsi per cause naturali. Infatti appare evidente che nel Terzo Reich “l’uccisione delle persone inferme di mente è una realtà quotidiana, la quale potrà divenire conosciuta, così come anche l’esistenza dei campi di concentramento” (per questi ultimi e sulla difesa dei giuristi, processati a Norimberga, è interessante il confronto con Trials of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals. Vol. III. The Justice Case, Washington, 1951, 835, passim).
Successivamente il dott. Kreyssig rammenta di essere stato convocato più volte a Berlino, incontrando tra l’altro il sottosegretario Roland Freisler e il ministro Franz Guertner (sui quali, per brevità, The Justice Case, 67).
Nel corso di due confronti Freisler – noto esponente del nazionalsocialismo – prospetta a Kreyssig la possibilità di regolare giuridicamente la morte delle persone fragili, con la collaborazione della Cancelleria del Reich. Ma Kreyssig rifiuta la propria adesione al progetto; egli dichiara anzi di voler “vietare esplicitamente alle strutture la consegna dei pazienti” senza la sua autorizzazione e tenta di incriminare i responsabili della Cancelleria del Reich, correndo rischi personali.
Di fronte al ministro Guertner, Kreyssig viene quindi informato di essere l’unico a sollevare obiezioni a favore delle persone fragili e che il programma “T4” si basa sulla volontà dello stesso Hitler: il suo ordine riservato viene esibito in una copia avente, in tesi, valore legale. Il Giudice, tuttavia, resiste: “volevo sapere in che misura una disposizione del genere potesse costituire diritto o potesse abrogare un diritto. Per dare peso al mio sgomento su queste disposizioni, scelsi un esempio eclatante: se secondo il par. 1 del codice civile viene stabilita la capacità giuridica degli uomini, come si può pensare di dichiarare che tutti gli Ebrei non hanno alcuna capacità giuridica”. Pertanto il Giudice Kreyssig giunge a negare che l’ordine di Hitler possa costituire fonte del diritto, correndo rischi ancora maggiori.
Il dott. Kreyssig, nei suoi ricordi, narra di essere stato congedato, arrestato e processato, senza subire ulteriori conseguenze: egli ritiene di avere ricevuto l’aiuto di colleghi.
Durante la guerra, insieme con la moglie Johanna, si impegna a salvare Ebrei in fuga, nascondendoli e rifornendoli del necessario per sopravvivere (https://righteous.yadvashem.org).
Al termine del conflitto, il dott. Kreyssig svolge un ruolo importante nelle iniziative a favore della riconciliazione e delle vittime del nazismo (A. Legerer, Preparing the Ground for Constitutionalization through Reconciliation Work, in GLJ 2005, vol. 6, 2, 466).
II suo insegnamento rimane valido dal 1940 fino ad oggi: il Giudice tutelare ha “l’obbligo di impegnarsi per garantire un diritto. Ed io voglio impegnarmi proprio in questo”, nella consapevolezza di svolgere un ruolo insostituibile.