La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22826 del 21 luglio 2022, si è pronunciata in relazione ad una vicenda relativa ad un contratto di locazione ad uso commerciale, cessato in forza della disdetta inviata dal locatore. In particolare, il locatore chiedeva al conduttore la riconsegna dell’immobile, rifiutandosi di corrispondere l’indennità di avviamento, considerata dall’articolo 34, primo comma, della legge n. 392/1978 (c.d. “Legge sull’equo canone”).
Il conduttore, stante il suddetto rifiuto, rimaneva nel possesso dell’immobile e il locatore si vedeva costretto a corrispondere l’indennità d’avviamento, al fine di poter riottenere la disponibilità materiale del medesimo.
Successivamente al conseguimento del possesso dell’immobile, il locatore concedeva nuovamente il locale in locazione ad altro conduttore, che vi svolgeva attività affine a quella del locatario precedente; e ciò, prima che fosse decorso un anno dalla cessazione dell’attività di quest’ultimo.
A seguito di quanto sopra, il primo conduttore ricorreva al Tribunale di Bologna affinchè venisse accertato il proprio diritto all’indennità d’avviamento di cui al citato articolo 34, secondo comma, della legge n. 392/1978, pari a 18 mensilità dell’ultimo canone di locazione corrisposto; inoltre, chiedeva l’accertamento del diritto alla restituzione del deposito cauzionale precedentemente versato.
Il locatore chiedeva, per contro, in giudizio, con domanda riconvenzionale, l’accertamento della non debenza dell’indennità d’avviamento e la condanna del conduttore alla restituzione dell’intero importo che era stato costretto a corrispondere ai fini del rilascio dell’immobile, nonché la condanna al risarcimento dei danni per il ritardo nella riconsegna, da liquidarsi in separato giudizio.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda del conduttore e condannava quest’ultimo a restituire interamente la somma corrisposta dal locatore, al fine dell’ottenimento della riconsegna dell’immobile, nonché a risarcire a quest’ultimo il danno per il ritardo nel rilascio, da liquidarsi in separato giudizio.La Corte d’Appello di Bologna, adita dal soccombente, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e condannava il locatore a corrispondere al conduttore l’indennità prevista dall’articolo 34 della legge 392/78, confermando per il resto la sentenza di primo grado.
Il conduttore, a questo punto, ricorreva in Cassazione, ritenendo viziata la sentenza di secondo grado e che il contratto prevedesse che, in caso di sua cessazione, il conduttore si impegnava a rinunciare «ora per allora» a qualsiasi indennità, poiché di ciò era già stato tenuto conto nella determinazione del canone di locazione. Dunque, secondo il ricorrente, entrambe le parti si erano accordate con reciproche concessioni, ma il giudice dell’appello aveva interpretato d’ufficio la clausola ritenendo che essa prevedesse la rinuncia del conduttore alla sola indennità prevista dal primo comma dell’articolo 34 della legge n. 392/1978, e non anche quella del successivo secondo comma, vale a dire ad una ulteriore indennità pari all'importo a quella dl primo comma, qualora l'immobile fosse stato da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica, affine a quella già esercitata dal conduttore uscente, ed ove il nuovo esercizio fosse stato iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.
La Suprema Corte si trova a decidere, in particolare, in relazione alla derogabilità o meno delle statuizioni dei primi due commi dell’articolo 34, e del disposto dell’articolo 79 della legge n. 392/1978, ovvero se il combinato disposto di tali norme sia in grado di determinare una compressione dell’autonomia contrattuale delle parti, laddove queste ultime, in via negoziale, abbiano derogato di comune accordo quanto sancito dalla legge 392 del 1978.
I Giudici, con una articolata sentenza, cassano con rinvio la decisione della Corte d’Appello bolognese e conformano la propria decisione ad un precedente della stessa Corte di Cassazione (1), motivando la possibilità di rinuncia ai diritti previsti dal contratto di locazione ad uso commerciale, in deroga al divieto di cui all’articolo 79 della legge 392/78, come segue: «Secondo la giurisprudenza di legittimità dominante è escluso che l’autonomia contrattuale delle parti possa derogare le disposizioni di norme imperative come l’art. 79 della legge n. 392/1978 in sede di trattative negoziali, potendosi, invece, riespandersi dopo la conclusione del contratto. Infatti definire concordato un canone al punto che per diminuirlo occorre rinunciare ai diritti che il legislatore attribuisce appare intrinsecamente contraddittorio, per non dire un fragile espediente non corrispondente al vero. D’altra parte non appare condivisibile che il contratto di locazione si concluda per stadi separati, così da poter configurare come naturale una condotta – in realtà alquanto autolesionista – dell’aspirante conduttore che prima accetta un canone per lui eccessivo (che diverrebbe il canone “concordato”) e poi cerca di rimediare alla sua malleabilità negoziale “pagando” la correzione di quanto ha già concordato con la rinuncia, in un altro stadio di formazione del regolamento negoziale, a propri vantaggi legalmente previsti, poiché la determinazione del contenuto del regolamento negoziale non può che essere unitaria, dal momento che il sinallagma si concretizza nella globalità dell’accordo (cfr. articolo 1363 c.c.). La realtà è che l’articolo 79 costituisce effettivamente una sorta di intrusione, nel paradigma della locazione ad uso commerciale, del paradigma all’epoca della c.d. legge dell’equo canone imposto alla locazione ad uso abitativo, tipo contrattuale socialmente inteso come strumento assistenziale. Il legislatore del 1978 ha scelto di disciplinare entrambi i tipi di locazione in un unico testo normativo, e la tanto forte quanto pervadente percezione del conduttore come parte debole nella locazione abitativa – al punto che il legislatore ha ritenuto di dover determinare direttamente il canone, “ingabbiando” l’elemento fondamentale del sinallagma – ha contagiato anche la figura del conduttore nella locazione commerciale».
In motivazione, i Giudici precisano che la natura della norma in oggetto “è orientata a favore del conduttore» e il legislatore dell’epoca aveva voluto imporre “un confine all’autonomia negoziale mediante l’articolo 79”, secondo una concezione di conduttore quale “parte debole” del contratto, quasi in modo automatico. Dunque, secondo la Corte di Cassazione, si sarebbe creato un orientamento per cui “la nullità inflitta dall’articolo 79 presidia norme imperative che hanno la finalità di impedire che il conduttore sia indotto ad accettare condizioni che ledano i suoi diritti pur di assicurarsi il godimento dell’immobile, mediante accordi che operano una elusione preventiva dei suddetti diritti concessi dalle norme imperative”- Di fatto, dunque la Suprema Corte riprende il principio espresso nel suo precedente del 2019, secondo il quale una volta avvenuta la cessazione del rapporto volta di locazione, l’articolo 79 non impedisce alle parti di stipulare una transazione sui rispettivi diritti ed “in particolare, non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità da perdita d’avviamento”. Infatti, l’articolo 79 della legge n. 392/1978avrebbe lo scopo di evitare la preventiva elusione dei diritti del locatario ma non esclude la possibilità di disporne una volta che essi siano sorti»la
In sintesi, secondo i giudici, la normativa vigente qualifica il conduttore come parte debole del rapporto contrattuale, nel momento in cui conclude il contratto di locazione commerciale e deve, pertanto, posticipare l’esercizio della sua autonomia negoziale ad un momento successivo, con possibile rinuncia all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, purchè ciò avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza, alla cui tutela è preposto l’articolo 79 della legge n. 392/1978.
Ad avviso dello scrivente, seppur la sentenza in commento possa essere ritenuta, complessivamente, condivisibile, essa risenta di una impostazione legislativa in materia di locazione ampiamente superata, che richiederebbe una revisione normativa articolata, al fine di rendere maggiormente equilibrate le posizioni di conduttore e locatore, nonché un maggiore coordinamento con la normativa fiscale, al fine di evitare contenziosi che penalizzano entrambe le parti e, di fatto, l’economia complessiva del Paese.
(1) Il riferimento è a Cass 30 settembre 2019 n. 24221, in banca dati One legale
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