Il Consiglio di Stato (sez. I), con sentenza 24 aprile 2024, n. 3659, confermando la pronuncia del Tar Veneto (sez. I), n. 586/2023, ha ritenuto che non si possa assimilare la Fondazione Musei Civici di Venezia né ad una P.A. né ad una società in house.
Nello specifico, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito quanto segue:
- la Fondazione non è assimilabile ad un’amministrazione pubblica obbligata ad aderire alla convenzione Consip, in quanto solo le “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbero tenute ad aderire a tali convenzioni, laddove secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 498, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Le società controllate dallo Stato e dagli enti locali che siano organismi di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 3, comma 26, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ad eccezione di quelle che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati, utilizzano i parametri di prezzo-qualità di cui all'articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488”;
- pertanto, le società controllate da enti pubblici e che sono organismi di diritto pubblico, diversamente dalle pubbliche amministrazioni, hanno dunque la facoltà – non l’obbligo - di aderire alle convenzioni Consip, essendo unicamente tenute ad utilizzarne i parametri di prezzo-qualità;
- le c.d. fondazioni culturali, quali forme tipizzate di partenariato pubblico-privati, non risultano, secondo il giudice di prime cure, rientrare di per sé tra le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001, bensì eventualmente tra gli organismi di diritto pubblico;
- come tali, le fondazioni non sono obbligate – a differenza dei comuni – ad aderire alle convenzioni stipulate con la Consip;
- l’elenco dei soggetti che aderiscono alle convenzioni Consip deve essere inteso in maniera tassativa e restrittiva, in quanto l’evidente intenzione del legislatore è quella di consentire l’approvvigionamento solo a soggetti di natura pubblicistica, i quali abbiano determinate finalità e che operino in ambiti territoriali delimitati;
- l’art. 113 bis del d.lgs. 267 del 2000 prevede che gli enti locali possono procedere all’affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate, potendo avvalersi di forme organizzative non direttamente tipizzate dal TUEL, in assenza di disposizioni preclusive espresse;
- la fondazione non può considerarsi una longa manus del Comune, ancorché quest’ultimo risulti il Fondatore Promotore, il socio di maggioranza, che, in quanto tale, nomina tutti i membri della Fondazione;
- la fondazione non può considerarsi alla stregua di una società in house providing in quanto “La figura dell'affidamento in house trova la sua precipua collocazione nell'ambito di attività economiche da svolgersi con criteri imprenditoriali e che proprio in tale ambito può trovare spazio l'analisi dell'ente al fine di rinvenire un agire sul mercato in termini concorrenziali con altri soggetti economici: situazione questa che va del tutto esclusa, in ragione della statutaria previsione della Fondazione, di non perseguire fini di lucro” (cfr. Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 2584 del 2 febbraio 2018, con riferimento alla Fondazione Festival Pucciniano creata dal Comune di Viareggio);
- le fondazioni, anche se fondate da un soggetto pubblico, non possono essere considerate quali società in house laddove - come la fondazione - non perseguano scopi di lucro. L’affidamento in house, infatti, si colloca nell’ambito delle attività economiche da svolgersi con criteri imprenditoriali e con logiche concorrenziali;
- l’art. 1, co.2, del D.lgs. n. 165/2001, nel contemplare i comuni e “loro consorzi ed associazioni”, fa riferimento alle speciali forme associative pubbliche disciplinate al capo V del D.l.gs n. 267/2000 e ss.mm.ii. (artt. 31-32 e 33), ossia ai consorzi ed associazioni costituiti tra enti locali per l’esercizio associato di funzioni e servizi (i.e. consorzi, unioni di comuni ed associazioni previste dalla legislazione regionale) che costituiscono essi stessi enti locali, come tali assoggettati alla relativa disciplina, per cui in alcun modo la Fondazione, peraltro a carattere non associativo, è assimilabile a detti Enti.
Alla luce dei punti sopra espressi, il Consiglio di Stato ha ritenuto “del tutto corretta la statuizione del primo giudice secondo cui “le c.d. fondazioni culturali, quali forme tipizzate di partenariato pubblico privato, non risultano rientrare di per sé tra le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001”. Conseguentemente, “[n]eppure, al fine di radicare l’obbligo della Fondazione di aderire alle Convenzioni Consip, giova il richiamo alle società in house, trattandosi di istituto che viene in rilievo ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 50 del 2016, ovvero per giustificare l’affidamento diretto dei servizi nei confronti di proprie società in house e che non può pertanto ex se radicare l’obbligo della società in house di aderire alla convenzione Consip.”
In ultima analisi, alla Sezione è apparso dirimente statuire in ordine alla configurazione giuridica della fondazione in argomento. Al riguardo, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che “la Fondazione risulta qualificata come persona giuridica di diritto privato, i suoi partecipanti possono essere sia soggetti pubblici sia privati e il suo patrimonio è costituito da conferimenti sia del fondatore-promotore (il Comune), sia di partecipanti e di terzi.”
A chi scrive appare di interesse quest’ultima interpretazione, atteso che rimette al centro dell’azione degli enti pubblici anche i soggetti privati non lucrativi che, proprio in ragione sia delle finalità perseguite sia delle loro caratteristiche organizzative, sono irriducibili rispetto ad altre tipologie giuridiche disponibili nell’ordinamento.