La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 settembre 2022 n. 27766, ha enunciato il principio secondo il quale gli episodi di violenza familiare devono essere considerati talmente gravi, anche se non reiterati, tali da determinare non solo l’intollerabilità della convivenza, ma anche l’addebitabilità della separazione al coniuge violento.
La vicenda trae origine da un procedimento di separazione personale innanzi al Tribunale di Padova, che escludeva l’addebito richiesto dalla moglie, a carico del marito violento e non prevedeva alcun contributo al mantenimento a favore della moglie, non avendo dimostrato l’entità dei propri redditi.
La Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza di primo grado, e avverso tale sentenza, la moglie, proponeva ricorso in Cassazione, contestando, tra l’altro, l’esclusione dell’addebito a carico del marito, senza tener conto della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio dal medesimo posti in atto con episodi di violenza domestica (percosse) e con l'abbandono della casa coniugale.
La Suprema Corte, nel ribadire che in tema di separazione, grava sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti in relazione all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (Cass. 16991/2020), rilevando come nella specie, la Corte d'appello avesse omesso di considerare fatti essenziali ai fini dell'addebito della separazione, allegati dalla moglie, ricorrente in primo grado, poichè significativi di una violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ai sensi dell’art. 151 c.c., comma 2
In particolare, tra i comportamenti posti in violazione degli obblighi matrimoniali suddetti, rilevano, come precisato, gli episodi di violenza, anche se singoli e non reiterati, in relazione ai quali, la Suprema Corte, così si esprime: “Orbene, va considerato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse -, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017; Cass. 3925/2018). Nella specie, l'episodio è successivo al manifestarsi della crisi coniugale che il giudice d'appello colloca - peraltro sulla base di due frasi estrapolate da un unico documento - nel 2007”.
La violenza, di per sé sola, dunque, è rilevante ai fini della valutazione di addebitalità della separazione, a prescindere da qualsivoglia altro fatto comparativo, e anche se successivo al manifestarsi della crisi coniugale, così come l’abbandono del tetto coniugale da parte del coniuge.
La pronuncia della Cassazione evidenzia, dunque dunque,(finalmente, direi!), con parole forti, la rilevanza autonoma della violenza di genere, in relazione all’addebito della separazione, in quanto considerato fatto talmente grave e inaccettabile da giustificare, per sé solo, che la separazione venga addebitato al coniuge violento, a prescindere dalla posteriorità della violenza rispetto al manifestarsi della crisi coniugale.
Lo scrivente condivide e ritiene apprezzabile l’orientamento della Suprema Corte, prendendo atto, positivamente, del fatto che la Cassazione rilevi, diversamente da quanto avvenuto sino ad ora in molti caso, che la violenza di genere non è una normale e possibile dinamica della crisi coniugale e che essa è un fatto grave e inaccettabile, sia sotto il profilo giuridico che morale.
Inoltre, con la sentenza in commento, la Suprema Corte prende atto, esprimendosi come sopra riportato, della gravità del fenomeno della violenza di genere e delle condanne della CEDU all’Italia per l’uso di linguaggio sessista in ambito giuridico. Peraltro, i dati statistici sono ormai inequivocabili circa la gravità del fenomeno e la circostanza che una sentenza della Cassazione civile evidenzi il rilievo della violenza subita dalla ricorrente indirizza i giudici verso le linee di fondo della riforma del processo civile, appena approvata in via definitiva, che prevedono una forte interazione tra la violenza ed i procedimenti civili di separazione e divorzio, oltre che la necessità che i fatti emersi in sede penale vengano posti nella sfera di conoscenza del giudice civile, qualora vengano denunciati o emergano in corso di giudizio.
La battaglia contro la violenza di genere segna, con la sentenza in commento, un punto importante a favore, che si auspica possa essere recepito anche dai giudici di merito, in modo sempre più chiaro e deciso. Se nel mondo giuridico molto sta cambiando, dunque, sul piano sociale e culturale, invece, resta ancora molto da fare, come la cronaca ci ricorda, purtroppo, ogni giorno.
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