Cultura, società  -  Elisabetta Costa  -  25/01/2022

La gabbia

Dopo un viaggio di quattro ore in treno, per via di ritardi e disservizi dovuti anche alla permanenza della monorotaia in quel tratto ferroviario, l’avvocata d’ufficio giunge in udienza al tribunale della cittadina lombarda.

Assiste un imputato per riciclaggio, detenuto per altra causa e tradotto per l’udienza. L’imputato, scortato da tre agenti di polizia penitenziaria, viene fatto “accomodare” nella gabbia. Prima di entrare gli vengono tolti i ferri ai polsi.

Viene introdotto il teste coatto, teste dell’accusa che arriva accompagnato da due carabinieri.

L’avvocata d’ufficio si alza e chiede al collegio se sia possibile far uscire l’imputato dalla gabbia e farlo sedere accanto a sé. 

I tre componenti del collegio si guardano. L’imputato è pericoloso o non è pericoloso? Ma, soprattutto, l’imputato sarà animato dalla sete di vendetta per la detenzione carceraria? I giudici devono sapere cosa rischiano!

I tre agenti della scorta, interrogati dal presidente sul punto, dichiarano che per loro sarebbe preferibile che l’imputato rimanesse nella gabbia, anche se non ci sono prescrizioni particolari.

Poi il presidente valuta che oltre ai tre agenti di polizia penitenziaria di scorta dell’imputato sono presenti in aula anche i due carabinieri del teste coatto e così, con un atto di coraggio, i giudici decidono che l’imputato può uscire dalla gabbia e sedere accanto all’avvocata mentre il teste coatto viene interrogato e controinterrogato. 

Gesto eroico e esemplare della corte che, a fine udienza, considererà meritata la succosa porzione di ravioli di zucca.




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