Danni  -  Giuseppe Piccardo  -  15/01/2022

La Cassazione si pronuncia sulla prescrizione del danno endofamiliare da abbandono della prole

La recente sentenza della Corte di Cassazione numero 40335 del 12 ottobre 2021  si è occupata della questione relativa alla prescrizione del danno endofamiliare da abbandono, statuendo chela situazione di protratto abbandono della prole, da parte del genitore, è una forma di illecito rispetto al quale la concreta capacità della persona danneggiata di esercitare il diritto risarcitorio assume un rilievo del tutto peculiare, derivante dalla natura del danno procurato.  

La Corte di legittimità aggiunge che il suddetto illecito è produttivo anche di un danno non patrimoniale che può essere definito di natura psicologico-esistenziale, ovvero inerente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, idoneo a condizionarne lo sviluppo delle capacità di comprensione e di autodifesa, con la conseguenza che il diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l'esercizio anche in periodo molto lontano dal suo verificarsi, in correlazione alla percezione personale del danno subito, compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso. 

La sentenza della Suprema Corte  richiama il principio,  e si pone in continuità, con quanto già affermato nei precedenti del 10 giugno 2021 n. 11097, ove si legge che la concreta percezione del danno in materia familiare assume un’importanza peculiare in quanto correlato ad un danno non patrimoniale che investe, in modo progressivo la personalità del danneggiato e del  22 novembre 2013 n. 26205, che ha confermato la piena compatibilità di una azione tardiva nel tempo, da parte del danneggiato, stante il coinvolgimento emotivo di quest’ultimo in vicende dolorose quali quelle da abbandono morale e/o materiale da parte di un genitore. Infatti, come evidenziato in dottrina, dagli illeciti endofamiliari possono derivare due diverse tipologie di danno, nei casi di responsabilità dei genitori nei confronti dei figli (v. in particolare A. NEGRO, Tipologie di danno, in Famiglia e responsabilità civile, a cura di P. Cendon, Milano, 2014, 635 e ss):  un danno patrimoniale, tipico e tipizzato e un danno non patrimoniale, atipico, la cui risarcibilità è stata ricollegata, tradizionalmente, alla lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati, soprattutto successivamente alle c.d. “Sentenze di San Martino” o “Sentenze gemelle”, vale a dire le decisioni a Sezioni Unite della Suprema Corte n. 8827 e 8828 del 11 novembre 2003 e la sentenza a sezioni semplici del 11 novembre 2008 n. 26972.  Come noto, i primi due arresti citati danno un interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., volta a considerare tutte le voci di danno di natura non patrimoniale derivanti da valori inerenti la persona, mentre quello da ultimo ricordato, più recente, ricostruiscono il danno non patrimoniale come categoria unitaria e tipica, all’interno della quale la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale, al di fuori dei casi previsti dalla legge, è data solamente in caso di lesione di un diritto individuale, inviolabile.

Con particolare riguardo, poi, alla responsabilità dei genitori nei confronti dei figli, di rilievo è la sentenza della Suprema Corte 7.6.2000 n. 7713, secondo la quale la lesione di diritti costituzionalmente garantiti rappresenta un danno evento, e non un danno conseguenza, come tale, quindi, autonomo rispetto ad eventuali conseguenze patrimoniali riconducibili all’illecito. Trattasi, in questa prospettiva, di danno in re ipsa.

La pregevolezza dell’interpretazione della Suprema Corte, in relazione al danno in oggetto, consiste, come evidenziato dalla dottrina (V. MAZZOTTA, Il danno risarcibile in caso di violazione di doveri genitoriali costituenti illecito endo familiare, in Responsabilità civile, a cura di P. Cendon, vol. II,Milano, 2017, 2705 e ss.), nell’adozione di un principio secondo cui è la violazione dei doveri genitoriali a determinare l’ingiustizia del danno, qualora la condotta del genitore sia lesiva di interessi costituzionalmente garantiti inerenti la qualità di figlio, in continuità con le c.d. “Sentenze di San Martino” del 2008, sopra citate.

La giurisprudenza successiva, sebbene le Sezioni Unite del 2008 abbiano escluso la possibilità di risarcimento del danno c.d. “Esistenziale”, sembra aver riconosciuto tale voce di danno, con diversa indicazione nominativa, unitamente al danno morale, in relazione al danno da c.d. “Abbandono genitoriale”, nei casi in cui l’illecito omissivo commesso dal genitore nei confronti del figlio sia di natura dolosa e posta in violazione dei doveri nascenti dal rapporto di filiazione (v. Trib. Torino 5.6.2014; Trib. Brindisi 14.12.2011).

Con riferimento alla quantificazione del danno, nelle fattispecie di abbandono genitoriale esso viene liquidato in via equitativa e di esso deve esserne data prova, in particolare, con testimon; tuttavia, come come precisato dalla giurisprudenza,  non può subire variazioni al ribasso per il solo fatto che sia trascorso molto tempo tra il fatto generatore di responsabilità civile e l’inizio del procedimento civile da parte del figlio per il riconoscimento dei danni, in considerazione del fatto, già meglio evidenziato, che tale tipologia di illecito incide in modo rilevante sull’equilibrio psicologico della vittima di tali condotte (così, già Cass. 22.11.2013 n. 26205).

Dalla breve ricognizione sull’abbandono genitoriale di cui si è dato conto, emerge come la sentenza della Suprema Corte in commento si ponga in linea di continuità con i precedenti in tema, specificando ulteriormente, le peculiarità del danno endofamiliare, con riferimento alla prescrizione dell’azione risarcitoria, in rapporto alle caratteristiche di percebilità – conoscibilità da parte del danneggiato del pregiudizio subito; con conseguente ricostruzione del tradizionale parametro dell’ordinaria diligenza nell’esercizio del diritto in termini di capacità di percezione delle conseguenze dannose in relazione ad un illecito di natura permanente,  soggetto a progressività del termine di decorrenza della prescrizione.

Ad avviso dello scrivente la sentenza in commento è da segnalare in quanto applica criteri valutativi diversi da quelli strettamente giuridici ad un caso di responsabilità civile, tenendo in debita considerazione le peculiari caratteristiche del diritto di famiglia, che richiedono, necessariamente, una multidisciplinarità, in particolare con riferimento alle scienze psicologiche, alla quale molti giuristi non sono ancora sensibili. Questa sentenza della Cassazione è un importante passo in avanti in tal senso.


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