-  Ruo Maria Giovanna  -  02/04/2013

IL RIFIUTO DELLALTRO GENITORE E I DIRITTI VIOLATI. PAS O NON PAS? MA È QUESTO IL PROBLEMA? - Maria Giovanna RUO

La recente sentenza della Cassazione n. 7041/2013 ha scatenato la discussione tra opposte scuole di pensiero sulla validità scientifica e valenza giuridica della cd "Sindrome da Alienazione Parentale" (PAS). La situazione curiosa è che le opposte posizioni annoverano, oltre a psichiatri e psicologi, anche giuristi, cui dovrebbe stare più a cuore l"individuazione delle caratteristiche del fenomeno sul piano giuridico e quella dei relativi rimedi.

Perché certamente c"è, ed è crescente, il fenomeno della denigrazione, talvolta anche sottile e inconscia, di un genitore –di solito quello prevalentemente convivente con il figlio minorenne- che spinge quest"ultimo al progressivo rifiuto dell"altro genitore. Lo è in tutta Europa, a guardare la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani che se ne occupa sempre più. Sembra diffondersi e crescere in modo esponenziale, una volta finita la relazione di coppia, il desiderio di un partner di eliminare l"ex dalla propria vita, e quindi da quella del figlio. Anche la mera presenza come "altro genitore" viene avvertita come disfunzionale al proprio benessere psico-fisico; la crisi di stima che deriva spesso dalla crisi di relazione di coppia investe l"altro globalmente con il conseguente disconoscimento della sua validità umana complessiva e quindi anche sul piano genitoriale. Tale disistima globale, agita spesso anche con comportamenti palesemente denigratori, viene instillata nel figlio che si allea simbioticamente con il genitore che intende eliminare l"altro, facendo proprio tale desiderio/progetto di eliminazione e collaborandovi quindi attivamente. Che poi tale fenomeno, quanto perviene agli esiti finali di un rifiuto consolidato e invincibile del figlio, si chiami PAS o meno, è questione che interessa più i clinici che i giuristi, i quali dovrebbero prima di tutto soffermarsi a esaminare il fenomeno in quanto violativo di diritti fondamentali almeno di due persone, il figlio e il genitore rifiutato, e trovarvi i rimedi. Anche perché quando pure divenisse Sindrome del figlio, e quindi vicenda di rilevanza clinica di difficile reversibilità, la giurisdizione avrebbe fallito l"obiettivo di tutela della persona umana: rimarrebbe solo il rimedio risarcitorio. Ma il fine della giurisdizione che riguarda persone di età minore è quello di un assetto relazionale nel loro interesse, che è criterio preminente e determinante di giudizio e che consiste nella realizzazione delle migliori condizioni possibili del suo sviluppo psico-fisico (art. 24 Carta di Nizza e art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York nonché art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull"esercizio dei diritti dei minori). Quindi il rimedio risarcitorio non può che essere meramente residuale: la tutela va attuata prima e tempestivamente perché si tratta di persona in età evolutiva.

Il fenomeno, per una scelta meramente convenzionale, e in attesa di trovare un termine che meglio lo definisca sul piano giuridico, lo potremmo indicare come mobbing familiare prendendo in prestito il termine giuslavorista che sta ad indicare il comportamento denigratorio e vessatorio di chi ha potere gerarchico su di un lavoratore agito anche tramite l"alleanza con altri lavoratori, che finisce per "mettere all"angolo" il mobbizzato: a quale prezzo e con quali danni per questi è oramai noto. La differenza nel caso dell"alleanza simbiotica tra genitore e figlio che mobbizzano l"altro genitore è che il danno diretto derivante dalla violazione dei suoi diritti fondamentali è subito non solo da quest"ultimo, ma prima di tutto dallo stesso figlio mobbizzante che, come soggetto vulnerabile, ha necessità di una tutela rafforzata dei propri diritti. Il problema è proprio che –curiosamente- difficilmente questi diritti vengono individuati dalla giurisprudenza: anche la recente sentenza della Cassazione difetta di richiamare i diritti fondamentali lesi, attardandosi in disquisizioni sulla validità della PAS e non centrando quindi il problema. Inoltre ancora più difficilmente viene attuata la tutela dei diritti inviolabili della persona, anche con la gradualità che il fenomeno nel suo insorgere richiede, pur sussistendo strumenti giuridici validi solo se tempestivamente utilizzati.

Tra i diritti violati e di rango costituzionale dello stesso figlio mobbizzante vi è quello all"identità personale, che non può essere costruita, come Consulta e Cassazione insegnano, con una genitorialità dimidiata e non piena. Il che ha a che fare con gli artt. 2, 3 e 30 Cost. Vi è quello all"educazione, come declinato dall"art. 29 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, ed altri ancora. Quanto ai rimedi, dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell"Uomo, intervenuta in più casi, si può trarre una sorta di decalogo degli interventi non possibili ma doverosi da parte dello Stato: se gli interventi coercitivi sul figlio minore di età sono sconsigliabili, assolutamente necessari lo sono nei confronti del genitore mobbizzante; tali rimedi non possono nemmeno limitarsi solo a sanzioni patrimoniali; è da considerare invece nei confronti del figlio minore l"intervento terapeutico. Lo Stato, inteso nel suo articolato complesso di giurisdizione e welfare, non può e non deve affaticare genitore mobbizzato e figlio mobbizzante con una serie di inutili adempimenti, ma deve mettere in atto misure precise e graduali al fine del ripristino del rapporto genitore-figlio, se ovviamente tale rapporto è nell"interesse di questi, che costituisce criterio determinante e preminente di giudizio. Difatti la stessa Corte Europea differenzia attentamente i casi nei quali il rifiuto del genitore, agito oramai autonomamente dal figlio, possa derivare dalla di lui nocività, dall"aver attuato comportamenti disfunzionali allo stesso interesse del figlio. In questi casi (interessante notare come ad es. anche il non aver corrisposto il mantenimento sia considerato elemento significativo dalla Corte EDU), non sussiste violazione dell"art. 8 della Convenzione di Roma e, ora, dell"art. 7 della Carta di Nizza: diritto alla vita privata e familiare del figlio e del genitore.. Negli altri casi, di vero mobbing familiare, nel quale il rifiuto dell"altro genitore derivi invece dal desiderio del genitore mobbizzante (e di solito convivente) di eliminare l"altro e dal suo comportamento escludente, l"inerzia dello Stato o l"inefficacia degli strumenti messi a disposizione nel caso concreto costituiscano violazione del diritto involabile alla vita privata e familiare di figlio e genitore.

La Cassazione ha compiuto con la sentenza n. 7041/3013 solo un primo necessario passo: ha cassato il provvedimento (per di più provvisorio) per l"appiattimento motivazionale sulla CTU e, quindi, su una terminologia medica per di più scientificamente discussa. Il passo successivo è individuare i diritti da tutelare e delineare i rimedi con gradualità: perché quando il rifiuto del figlio è divenuto radicato e definitivo, il danno è fatto e la giurisdizione ha fallito la tutela, prima di tutto del soggetto vulnerabile che è il figlio minore di età, nonché, ovviamente del genitore mobbizzato violando i loro diritti fondamentali.




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