L’istituto del retratto successorio, previsto dall’art. 732 c.c., si inserisce nell’ambito delle disposizioni generali che regolano la divisione ereditaria (libro II, titolo IV, capo I, c.c.). La ratio dell’istituto si traduce nel favorire, tra i possibili acquirenti di una quota di eredità, uno dei soggetti partecipi della comunione ereditaria.
Nell’ipotesi in cui uno dei coeredi intenda alienare la propria quota ereditaria, agli altri coeredi l’ordinamento garantisce non solo il diritto di prelazione sull’acquisto della quota alienanda, ma anche il diritto riscattare la quota sostituendosi al terzo acquirente laddove l’erede non abbia rispettato il diritto di prelazione a favore dei coeredi. A norma dell’articolo 732 c.c., infatti, il coerede che vuole alienare ad un estraneo la propria quota di eredità deve notificare la proposta di alienazione agli altri coeredi che hanno diritto di prelazione indicandone naturalmente il prezzo. Diritto di prelazione che andrà necessariamente esercitato dal coerede nel termine di due mesi dall’ultima delle notificazioni. In mancanza della notifica della proposta di alienazione, i coeredi vantano il diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, finché perdura lo stato di comunione ereditaria.
Dunque o il coerede esercita il diritto di prelazione sulla quota successoria alienanda, accettando la proposta contrattuale (nel termine di due mesi dall’ultima notifica agli eredi) o, se è mancata la notifica della proposta di alienazione, al coerede cui è stata negata la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, il dettato codicistico fornisce lo strumento del riscatto.
Nello specifico: l’istituto del retratto successorio è quello strumento giuridico che consente al coerede leso di riscattare la quota alienata surrogandosi così al terzo acquirente che abbia acquistato la quota ereditaria a titolo oneroso e che sia “estraneo” alla comunione ereditaria. Si tratta di un diritto esercitato mediante una comunicazione al soggetto “retrattato” (ossia al terzo estraneo che ha acquistato la quota) e che si traduce in un negozio unilaterale recettizio.
Il diritto di riscatto esercitato dal coerede comporta il suo subentro ab origine nella posizione giuridica del terzo acquirente senza che sia necessario un secondo atto per il trasferimento della quota ereditaria al coerede. Fermo restando che il riscattante (coerede) dovrà rimborsare all’acquirente il prezzo e le spese di manutenzione o miglioramento eventualmente occorse.
Presupposto indispensabile per esercitare il riscatto è la permanenza della comunione ereditaria tra i coeredi. Qualora sia intervenuta nel frattempo la divisione ereditaria il rimedio del retratto successorio non sarà più a disposizione dell’erede leso. Intervenuta la divisione dei beni ereditari, ovvero nel momento in cui a due o più coeredi vengono attribuiti i beni ereditari, il diritto di riscatto si estingue, perché ne viene meno la ratio di tutela della presunta volontà del de cuius di mantenere il suo patrimonio nella titolarità dei suoi eredi fino al momento della divisione.
Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sull’oggetto dell’alienazione da parte del coerede (cioè sulla quota), ai fini dell’esercizio del retratto. Tradizionalmente la Suprema Corte ha stabilito che l’alienazione da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni della comunione ereditaria, non fa subentrare l’acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti l’intenzione delle parti di trasferire l’intera quota spettante all’alienante (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 737 del 19 gennaio 2012).
Tuttavia, con successive pronunce è stato precisato dai giudici sia di merito che di legittimità che occorre verificare a livello interpretativo la vera intenzione dei contraenti indagando se abbiano inteso effettivamente sostituire al coerede un terzo estraneo alla comunione ereditaria avendo riguardo: alla (i) volontà delle parti, allo (ii) scopo perseguito, all’eventuale (iii) trasmissione immediata del possesso, alla (iv) consistenza del patrimonio ereditario e al (v) raffronto tra tale patrimonio e l’entità delle cose vendute.
Pertanto, si ritiene che non sia di ostacolo all’esercizio del retratto successorio l’indicazione di un bene singolarmente individuato nel contratto di vendita, ove, però, dalla volontà delle parti, dallo scopo perseguito, dalla consistenza del patrimonio ereditario, si ritenga che i contraenti abbiano intesto sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria. Ha precisato la Suprema Corte che “se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell’unico cespite ereditario, si presume l’alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio, salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed instrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l’entità dei beni venduti) che, invece, la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante” (Cassazione, sezione II civile, sentenza 28 ottobre 2010, n. 22086).
Dunque, se ad esempio l’alienazione non ha ad oggetto una quota dell’eredità, ma la quota di un bene determinato (per esempio la quota di un immobile), i coeredi, in caso di vendita ad estranei, non possono esercitare sul bene venduto il diritto di riscatto. Diritto di riscatto che trova applicazione solo in caso di alienazione, sebbene anche parziale, della quota ereditaria e non nel caso in cui il coerede alieni interamente o pro quota un bene ereditario determinato.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, tuttavia, l’asse ereditario oggetto della comunione era rappresentato da un unico bene immobile: pertanto, in base all’analisi degli elementi concreti del contratto, della consistenza del patrimonio e dell’intento delle parti, è emersa la volontà di sostituire al coerede un terzo estraneo alla comunione ereditaria, così permettendo l’esercizio del retratto successorio.
Il principio esposto è ormai pacificamente accolto dalla giurisprudenza maggioritaria ed è stato ampliato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 3 maggio 2016 n. 8692, che ha stabilito che i diritti di prelazione e di riscatto previsti dall’art. 732 c.c. in favore del coerede postulano che l’alienazione posta in essere da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di essa), intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti e vanno invece esclusi quando i contraenti non intendevano sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria.