Responsabilità civile  -  Paolo Cendon  -  02/01/2024

Il pallino da caccia

Un uomo che passeggiava per il bosco è stato trovato ferito; dal suo corpo viene estratto un pallino di piombo. Due i cacciatori che risultano essere stati presenti nei paraggi, in quell'arco di tempo. Entrambi figurano aver sparato almeno un colpo; le cartucce dell'una e dell'altra doppietta appaiono compatibili con quel pallino. La vittima non ricorda nulla di utile. Ciascuno dei due cacciatori, che non si conoscevano fra loro, accusa l'altro del ferimento.

L'unica traccia fornita dai periti è che - stante la posizione in cui i convenuti si trovavano, e tenuto conto di ogni ulteriore elemento balistico - il cacciatore A ha il 55% di probabilità di essere il feritore, il cacciatore B il 45%.

Posto allora che le disposizioni legislative sulla causalità sono abbastanza elastiche da rimettere, al giudicante, margini non trascurabili di libertà, è possibile immaginare quanto segue:

(a) prima ipotesi - Nel suo foro interno il giudice ha già stabilito (poniamo) di non voler essere insensibile ai motivi di una recente campagna di stampa, promossa in Italia a favore dell'attività venatoria. L'opzione a favore di quella che chiameremo una "linea ragionevolmente innocentistica" si tradurrà, verosimilmente, nell'affermazione secondo cui il grado di probabilità causale necessario per una condanna deve essere, in situazioni come quella esaminata, non inferiore al 60%.

La conclusione è che ambedue i cacciatori verranno scagionati.

(b) seconda ipotesi - E' in atto nei giornali una crociata contro le armi in genere, e contro quelle da caccia in particolare. Il nostro giudice si sente ad essa solidale. L'opzione a favore di quella che possiamo chiamare una "linea ragionevolmente colpevolistica" si tradurrà nell'affermazione secondo cui il grado di probabilità necessario ai fini di una condanna dovrebbe essere, in ipotesi come quella considerata, non inferiore alla soglia del 40%.

La conclusione è che ambedue i cacciatori (sottolineandosi, magari, come il fatto che essi non si conoscessero non impedisca la prospettabilità di un "fatto" unico, ai sensi dell'art. 2055 c.c.) verranno condannati per lesioni colpose.

(c) terza ipotesi - Sono emersi durante il processo particolari specifici, relativi alla personalità dei due cacciatori, e tali da far scattare nel sistema argomentativo del giudice alcune istanze di ordine generale.

Si è scoperto (poniamo) che B non è un cacciatore in senso stretto: l'uomo è piuttosto una sorta di samaritano verde, uso a girare per i boschi allo scopo di convincere i veri cacciatori a rinunciare a quel'insana passione; essendo disposto, lui personalmente, ad abbattere al massimo i capi malati o sovrabbondanti di certe specie. E' risultato nel contempo come A sia un bracconiere incallito: autore di innumerevoli illeciti venatori, da sempre sprezzante verso i più elementari principi di tutela della vita - non solo animale ma persino umana.

La premessa del giudizio sarà, qui, verosimilmente diversa; e si postulerà che ai fini di una condanna in materia venatoria occorre di regola un 50% di probabilità causale.

La conclusione è che il cacciatore A verrà condannato e il cacciatore B assolto.

 

 




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