Il caso.
La pronuncia in esame presenta molteplici aspetti di estremo interesse e si caratterizza per una certa innovatività. Prima di addentrarsi sulle materie e gli istituti coinvolti dalla decisione, si illustra brevemente il caso.
Nel 1985 una signora aveva donato un immobile di cospicuo valore (dalla pronuncia della corte di appello di Lecce risulta di oltre 800 mila euro) a una associazione. Nell’atto di donazione era previsto un onere ex art. 793 cc rappresentato dalla esecuzione di opere di ristrutturazione dell’immobile da destinare successivamente a casa famiglia per persone anziane e bisognose. Passavano gli anni e tali attività non venivano effettuate e la donante agiva in giudizio per l’adempimento. Nelle more di tale procedura veniva stipulata una transazione che prevedeva un termine essenziale per l’adempimento dell’onere donativo. Nel frattempo la donante decedeva, il termine suddetto non veniva rispettato e l’erede della donante agiva in giudizio questa volta allegando l’inadempimento e domandando il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Il tribunale di Brindisi rigettava la domanda ritenendo assente la prova del danno. La corte di appello di Lecce riformava la pronuncia del giudice di primo grado e riconosceva il risarcimento del danno non patrimoniale. Veniva, quindi, proposto ricorso in cassazione dalla associazione. I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile il ricorso ma nelle motivazioni hanno ritenuto corretto il ragionamento e la decisione del giudice d’appello. Questi ultimi, con l’avallo, come detto, della corte di cassazione, avevano ritenuto l’onere donativo una vera e propria obbligazione coercibile e, facendo riferimento all’orientamento da tempo consolidato secondo cui il danno non patrimoniale è risarcibile anche quando la lesione di beni costituzionalmente protetti si verifica in virtù di un inadempimento contrattuale, hanno accolto l’appello.
Natura giuridica dell’onere donativo e risarcibilità del danno non patrimoniale nel caso di inadempimento.
I temi centrali della fattispecie in esame sono quelli della natura giuridica dell’onere donativo disciplinato dall’art. 793 cc e quello del risarcimento del danno non patrimoniale nel caso di inadempimento dell’onere medesimo. Riguardo il primo aspetto, in dottrina si sono succedute nel tempo diverse tesi. La teoria più tradizionale riteneva il modo o onere in questione un elemento accidentale del contratto al pari del termine e della condizione (Cariota-Ferrara, Santoro-Passarelli, Marini). Successivamente, si è fatta strada la teoria del contratto (di donazione) con prestazioni corrispettive, specialmente qualora il modo abbia costituito il motivo determinante dell’attribuzione patrimoniale. In questo caso muterebbe la struttura dell’atto di donazione, non più atto unilaterale, ma bilaterale con prestazioni corrispettive (Grassetti, Carnevali). Una terza corrente dottrinale riteneva il modus donativo un negozio autonomo alla stregua del modus testamentario (Capozzi). I giudici di secondo grado e la corte di cassazione, nel caso in commento, hanno attribuito valore alla seconda teoria sopra citata, attribuendo al modo natura di vera e propria prestazione/obbligazione contrattuale.
È stato poi nella specie ritenuto dai giudici che il mancato adempimento dell’onere aveva frustrato lo scopo filantropico dell’attribuzione donativa e i desideri della donante che in vita non aveva potuto vedere realizzato il progetto, soffrendone moralmente e psicologicamente. I giudici hanno ritenuto in qualche modo che sia stata colpita la personalità della donante e la medesima in quanto persona (in tema di inadempimento di onere donativo e risarcimento dei danni, le tesi dominanti erano quelle secondo cui il recupero del patrimonio donato gratuitamente a seguito della risoluzione del contratto sarebbe un risultato sufficiente; si può però osservare che le tesi in questione non tengano conto della natura obbligatoria del modo in questione e dell’orientamento della risarcibilità del danno non patrimoniale per inadempimento contrattuale).
Danni nella specie risarcibili, appunto, in quanto da tempo la giurisprudenza ammette il risarcimento del danno non patrimoniale di beni protetti dalla costituzione non solo causati da un illecito aquiliano, ma altresì da un inadempimento contrattuale (ex plurimis, Cass. a sezioni unite 11 novembre 2008, n. 26972 e 26973, Cass. 29 novembre 2010, n. 24143, Cass. 27 agosto 2020, n. 17894).
I giudici di legittimità hanno affermato che il mancato adempimento del modo può altresì intendersi fonte di danno risarcibile non patrimoniale, restando gravemente leso un interesse della donante che è espressione dei doveri di solidarietà sociale di rilevanza costituzionale, a norma degli artt. 2 e 38 della Costituzione. I giudici fanno riferimento a un vero e proprio diritto della donante, esercitato tramite la disposizione modale, consistente nell’erogazione di parte del vantaggio patrimoniale attribuito alla donataria a scopi di pubblica utilità, diritto riguardante la persona e non il patrimonio della donante stessa.
Il quantum risarcitorio era stato stabilito dalla corte territoriale in 80.000,00 euro e accertato in via presuntiva. Si tratta di un importo rilevante e significativo.
Per concludere, si tratta di un interessantissimo e importante precedente, anche innovativo, che si inserisce nel solco dell’attenzione sempre maggiore ai diritti della persona e della personalità in tutte le diverse e varie manifestazioni in cui si possono configurare, persona per persona, vissuto per vissuto.
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