Lavoro  -  Redazione P&D  -  04/03/2024

Il licenziamento disciplinare nel pubblico impiego e principio di immediatezza della contestazione - Rosaria Belmonte

-Commento all’ordinanza n.5614 del 2023 - regole del procedimento disciplinare nel pubblico impiego – il principio di immediatezza della contestazione

COMMENTO ALL’ ORDINANZA N. 5614 DEL 2023

Nel pubblico impiego contrattualizzato il concetto di tempestività della contestazione disciplinare ha alimentato il dibattito giurisprudenziale in ordine alla corretta individuazione del termine inziale per muovere l’addebito al dipendente.

 Con l’ordinanza n. 5614 del 25 gennaio 2023 la Corte di Cassazione sez. lavoro ha esaminato la questione relativa al momento in cui una contestazione disciplinare possa essere considerata tempestiva e quando per effetto del comportamento inerziale della pubblica amministrazione possa considerarsi tardiva.

Il provvedimento in oggetto muove, dall’excursus processuale relativo all’impugnativa di licenziamento disciplinare, a carico di un dipendente Inps, per l’erronea istruzione di 44 pratiche di riscatto ex art. 13 L. n. 1338/1962. Nelle fasi merito del giudizio venivano contestati l’illegittimità della sanzione disciplinare e la violazione del principio di immediatezza della contestazione. 

Avverso la sentenza di rigetto della Corte di Appello, in conferma delle statuizioni del giudice di prime cure, il ricorrente depositava il ricorso per Cassazione denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 55 bis, commi 4 e 9 del d.lgs. n. 165/2001, lamentando incongruità logica e giuridica della motivazione in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare.

Sulla scia di un orientamento maggioritario, la Corte argomenta che ai fini della decorrenza del termine perentorio per la contestazione dell'addebito previsto dall'art. 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, rileva il momento in cui il datore di lavoro acquisisce una notizia di infrazione specificamente scrutinata tale da consentire all’amministrazione di dare avvio correttamente al procedimento, e dunque si presuppone che quest’ultima sia in possesso una serie di dati idonei a circoscrivere l’addebito. 

A contrario, la contestazione è tardiva solo quando l’amministrazione seppure abbia elementi sufficienti per procedere resti inerte. 

Gli ermellini precisano;” il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell'incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati preliminari per circostanziare l'addebito”.

Ferme le disposizioni normative di cui agli art. 55 bis del D.lgs. n. 165 del 2001, il   principio ivi declinato, lascia un vuoto in ordine alla precisa individuazione dies a quo per la contestazione dell’addebito disciplinare. Ed invero, una scelta discrezionale della p.a., o dell’ente di protrarre le indagini per un tempo indefinito allo scopo di accertare dati, preliminari e specifici, utili a circostanziare l’addebito può essere lesiva del diritto dell’accusato ad apprestare un’adatta e idonea difesa.

Da ciò ne consegue, la lesione di interessi pubblici costituzionalmente tutelati ossia del principio di trasparenza e del buon andamento della pubblica amministrazione, della cui garanzia di attuazione dovrebbe farsi carico proprio l’amministrazione procedente.

 Nonostante gli interventi di riforma ad opera del d.lgs. n. 150 del 2009, riforma Brunetta, e poi dal d.lgs. n.75 del 2017 permangono dubbi e incertezze in ordine alla individuazione di un termine specifico a decorrere del quale il datore di lavoro pubblico è tenuto a contestare l’addebito.

REGOLE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NEL PUBBLICO IMPIEGO

Nelle relazioni di pubblico impiego contrattualizzato l’obbligazione del dipendente si concretizza in un facere, ovverosia in un obbligo di conformare la propria condotta ad una serie di precise prescrizioni comportamentali desumibili in primo luogo, dalla Costituzione che mira al rispetto dei pubblici interessi, “dunque al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione,” dalla legge, dal contratto di lavoro e dal codice di comportamento.  Una condotta non conforme a tali doveri legittima il datore di lavoro pubblico all’esercizio dell’azione disciplinare, che in tale sede è obbligatoria, ed è comunque svolta nel rispetto di regole procedimentali stringenti e predeterminate dalla legge.

Il procedimento disciplinare muove dalla contestazione  dell’addebito la cui tardività comporta delle conseguenze di non poco momento in ordine all’efficacia dell’eventuale sanzione. 

 Sul punto si annidano dubbi e perplessità tali da provocare, in sede giurisdizionale, discussioni particolarmente accese. Premessa l’obbligatorietà dell’azione disciplinare, il ricorso a detto strumento è legittimato dal d.lgs. n.165 del 2001 (TUPI) come novellato dapprima dal d.lgs. n. 150 del 2009, riforma Brunetta, e poi dal d.lgs. n.75 del 2017, riforma Madia. Entrambe le novelle sono state estremamente significative e sono legate dal comune intento di garantire una maggiore efficienza della pubblica amministrazione e una maggiore produttività del personale dipendente.

 Per i temi che in questa sede interessano, il d.lgs. n.165 del 2001 agli art. 55 e ss. delinea l’iter procedimentale che l’amministrazione pubblica o l’ente deve seguire nelle ipotesi di conoscenza di un fatto illecito del lavoratore.

Il d.lgs. n.150 del 2009 di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15 interveniva al fine di contrastare i fenomeni di assenteismo e di scarsità produttiva presso le pubbliche amministrazioni e a tale scopo semplificava le regole sul procedimento disciplinare, con particolare riferimento ai casi in cui fossero state commesse infrazioni di minore gravità. I punti focali della novella riguardavano sia la struttura del procedimento che l’ampliamento dei poteri degli organi di controllo.

Come è noto, il c.d. decreto Brunetta prevedeva una bipartizione del procedimento e delle relative competenze a seconda della gravità della condotta, valutata ex ante, in base alla sanzione ipoteticamente applicabile all’esito del procedimento.

 La riforma individuava per le infrazioni meno gravi due differenti modalità procedimentali relazionate alla qualifica dirigenziale del responsabile della struttura. In assenza del titolo il procedimento era demandato all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD), invece, nell’ipotesi opposta il procedimento era interamente gestito dal dirigente, responsabile della struttura.

Per le infrazioni più gravi, la titolarità del procedimento veniva attribuita in via esclusiva all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) che agiva secondo il modello procedimentale tipico delle infrazioni di minore gravità.  

Il testo fissava, per le pubbliche amministrazioni o enti che venissero a conoscenza di fatti di rilevanza disciplinare, dei termini stringenti entro cui avviare e concludere il procedimento. Si individuavano, a tale scopo, oltre che il termine per la contestazione dell’addebito (venti giorni decorrenti dalla data ricezione degli atti ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia di infrazione)  e di durata del procedimento (fissato a 60 giorni per le infrazioni meno gravi e 120 giorni per le infrazioni più gravi) anche dei termini endoprocedimentali in risposta alla garanzia del diritto di difesa del lavoratore, senonché si rendeva evidente la possibilità del dipendente di chiedere un rinvio del termine utile allo stesso per approntare le proprie giustificazioni.

All’evidenza, la previsione normativa era diretta a contenere in tempi predeterminati la durata del procedimento disciplinare ed indicava le concrete modalità attuative del principio di immediatezza nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico privatizzato, con evidenti ricadute sul concetto di relatività.

Occorre evidenziare che l’esegesi giurisprudenziale, relativamente dies a quo per l’avvio del procedimento disciplinare forniva un’interpretazione più elastica della norma riconducendo la decorrenza del termine iniziale del procedimento non al momento in cui la p.a. avesse avuto per la prima volta conoscenza della notizia di infrazione ma al momento in cui avesse maturato un carico istruttorio abbondantemente specifico tale da muovere una contestazione ineccepibile nei confronti del dipendente. 

Ciò significava che le indagini datoriali potevano protrarsi per lunghi periodi, svariati mesi se non anni, ed è evidente che tale prassi provocava non solo uno spostamento del momento dell’avvio dell’iter disciplinare ma anche delle difficoltà notevoli per il dipendente a predisporre una pronta difesa rispetto a fatti accaduti in tempi remoti. 

Questa prassi e la connessa incertezza in ordine al momento di decorrenza del termine iniziale si ponevano in netto contrasto con il senso letterale dell’art. 55 bis comma 4 e dunque si rischiava di far coincidere il momento della conoscenza della prima notizia di infrazione con l’acquisizione di un carico istruttorio particolarmente folto. Tali interpretazioni collidevano con l’esigenza di garantire al dipendente di non essere assoggettato al procedimento per un tempo indefinito.

È evidente che i termini iniziali e finali rappresentavano un limite per l’azione disciplinare in quanto una eventuale violazione diventava decisiva per la consumazione del potere di azione della P.A. La tardiva contestazione o comunque l’eventuale provvedimento emesso oltre i centoventi giorni dalla data di prima acquisizione della notizia di infrazione, rendevano inefficace la sanzione in quanto emessa in carenza di potere.

Preso atto dei rigidi riferimenti normativi e delle difficoltà del datore di lavoro pubblico a concludere il procedimento disciplinare entro centoventi giorni dalla prima notizia di infrazione, il d.lgs. n. 75 del 2017 è intervenuto apportando mutamenti significati alla disciplina. 

In particolar modo, e per quanto in questa sede interessa per le infrazioni di maggiore gravità, ferma restando la collaborazione tra il responsabile della struttura e l’ufficio per i procedimenti disciplinari, l’UPD edotto della notizia avvia il procedimento disciplinare, provvedendo alla contestazione scritta, con immediatezza e comunque non oltre il termine perentorio di trenta giorni decorrente dal ricevimento della segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia avuto altrimenti piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare. 

 La norma sembra apparentemente chiara, tant’è che alcun dubbio sorge quando l’azione disciplinare è esercitata nel termine di trenta giorni dalla ricezione della segnalazione del fatto rilevante.  Maggiori preoccupazioni sorgono quando l’azione disciplinare è esercitata entro trenta giorni dal momento della piena conoscenza dei fatti. Tale assunto presupporrebbe la possibilità della pubblica amministrazione di investigare in modo del tutto indisturbato.

 La legge, a tal proposito, non prevede un termine specifico per l’acquisizione di dati certi e utili a corroborare la rilevanza disciplinare di un fatto ma legittima implicitamente la p.a. a condurre le indagini per un tempo indefinito. In questo modo il diritto alla difesa del dipendente rischia di essere compromesso da eventuali condotte arbitrarie della p.a., giacché l’accusato non potrebbe disporre di altrettanto tempo utile per approntare delle idonee giustificazioni.

 Ed allora, ci si chiede cosa voglia significare la locuzione “dal momento in cui abbia avuto altrimenti piena conoscenza di fatti ritenuti di rilevanza disciplinare dal momento che nella concretezza dei fatti, a fronte di scelte meramente unilaterali e strumentali della pubblica amministrazione, il dies a quo per la contestazione dell’illecito decorrerà da un momento imprecisato, e ciò in danno al lavoratore.

Un altro aspetto saliente delineato dalla riforma in oggetto è relativo al termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento che decorre dalla data di contestazione scritta dell’addebito, ciò con un energico e chiaro recupero del concetto di relatività tipico del principio di immediatezza che era stato in precedenza soffocato dalla riforma Brunetta, ed infatti il termine di centoventi giorni per la sua conclusione decorreva dalla data della prima acquisizione della notizia di infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura. Da questa iniziativa di riforma “ne è conseguito un sensibile ampliamento dei termini del procedimento disciplinare proprio allo scopo di evitare ritardi collegati alla prima valutazione delle infrazioni da parte degli uffici”.

Anche in questa sede di riforma occorre precisare che i termini iniziali e finali del procedimento sono considerati decadenziali, per cui una conclusione tardiva del procedimento determina il compimento di atti in carenza di potere. 

 In riferimento ai termini endo-procedimentali, invece, si rileva che con il D.lgs. n. 75 del 2017 il legislatore abbia voluto prevedere una clausola, definita da alcuni commentatori di salvaguardia, e ciò al fine di evitare che il mancato rispetto dei termini intermedi del procedimento potesse portare all’impossibilità di comminare la sanzione per vizio procedurale e dunque anche in questo caso di inficiare il provvedimento finale dell’ufficio. 

IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA DELLA CONTESTAZIONE

Come è stato già preannunciato, il primo atto del procedimento disciplinare è la contestazione dell’addebito, la cui tempestività preserva gli effetti del provvedimento finale.

 Il concetto di tempestività fa riferimento al più generico principio di immediatezza della contestazione contenuto nell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori.

Come nell’impiego privato anche in quello pubblico (privatizzato o meno) l’iter disciplinare deve essere tempestivo, e cioè immediato nel suo inizio e rapido nella sua conclusione. 

La tempestività è garanzia sia dell’effettività del diritto di difesa dell’incolpato (ciò in quanto minore sarà il lasso di tempo tra la commissione della presunta infrazione ed il procedimento disciplinare, maggiore sarà la possibilità per l’incolpato di reperire valide argomentazioni difensive e prove di supporto) sia dell’interesse del datore di lavoro a una reazione congrua ed esemplare per gli altri lavoratori, soprattutto per evitare la dannosa permanenza in servizio di soggetti autori di fatti gravissimi da espungere rapidamente dalle pubbliche funzioni. 

Posto che il principio di immediatezza funga da architrave del sistema disciplinare, l’amministrazione o l’ente che viene a conoscenza dell’infrazione commessa dal dipendente è tenuta alla celere contestazione dell’addebito in modo tale che quest’ultimo possa giustificarsi adeguatamente.

 La ratio del principio è quella di garantire la parità delle parti, e dunque, se da un lato la norma consente al datore di lavoro pubblico di muovere un rimprovero al lavoratore inadempiente, dall’altro lato, consente a quest’ultimo la possibilità di predisporre una propria difesa in ordine ai fatti contestati. 

La tempestività si relaziona non al momento in cui il dipendente commette l’infrazione, bensì al momento in cui il datore di lavoro ne è venuto a conoscenza.

 In particolare, una contestazione può considerarsi tempestiva quando il lasso di tempo che incorre tra il momento della conoscenza dell’illecito da parte del datore di lavoro e il momento della sua comunicazione sia breve; 

Il principio di immediatezza della contestazione si presta al concetto di relatività, ovvero “alla specifica natura dell’illecito disciplinare e del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini e della procedura.

Ciononostante, la relatività è necessariamente collegata e calibrata alla ratio essendi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, ovverosia al diritto di difesa del lavoratore, sottoposto al pericolo di lesione qualora l’accertamento dell’illecito si dilazioni abbondantemente e in modo ingiustificato. Ed invero, il rapporto di stretta connessione temporale tra la contestazione ed i fatti addebitati conserva quell’attitudine alla predisposizione di una puntuale difesa.  

Infine, giova precisarsi che differentemente dall’impiego privato in cui il senso dell’immediatezza, quale principio relativo ed elastico, non è quasi mai rilegato in un espresso termine contrattuale poiché il suo rispetto è valutato in rapporto alla complessità del caso concreto, nel pubblico impiego, invece, il principio è scandito dalla fissazione di un termine di 30 giorni decorrenti dal ricevimento della segnalazione o comunque dalla conoscenza piena del fatto.

In allegato l'articolo integrale con note.


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