Deboli, svantaggiati  -  Elvira Reale  -  24/10/2023

Il caso del bambino di Ischia e il prelievo coattivo. Un chiaro esempio di mala giustizia

Elvira Reale, Gabriella Ferrari Bravo, Centro studi e ricerche ‘Protocollo Napoli’

Il caso del bambino di Ischia, Mattia (nome di fantasia), venuto alla ribalta dei mass media in questi giorni, riapre il tema di quei decreti dei tribunali che, in nome della bigenitorialità, prospettano interventi traumatici per prelevare e allontanare dal proprio abituale domicilio minori, con l’uso della forza pubblica.  Interventi che hanno, come prime vittime, i bambini stessi. I metodi usati si ispirano al trattamento proposto da Gardner (1) nella sua PAS (Parental Alienation Syndrome) quando indica che, per riavvicinare il bambino a uno dei genitori, un padre nella generalità dei casi, bisogna allontanare quel bambino dalla madre, collocarlo in una struttura protetta (intermedia, transitional site) senza più contatti o senza più contatti liberi con l’ambiente materno, avendo invece un canale preferenziale nell’accesso al padre, per poterlo riavvicinare a lui superando l’iniziale e consolidato rifiuto. Non importa da cosa sia generato quel rifiuto. 

Rispetto a questo metodo, ricordiamo quanto è stato detto al tempo del prelievo del bambino di Cittadella (2012), dal presidente della Società di psichiatria, Claudio Mencacci, cioè che una sindrome ascientifica - giudicata tale da tutti gli organismi internazionali nonchéé segnalata  dalla Comunità europea  e dall’ONU come strumento per vessare le donne madri vittime di violenza - non può produrre un trattamento condivisibile e valido. “Come è possibile, diceva Mencacci, per una condizione non ascrivibile a disturbo, sindrome o malattia riconosciuta dal mondo scientifico, indicare una terapia?”. Sulla PAS anche la nostra Cassazione si è più volte pronunciata(2). Rileggiamo anche cosa dice la Kayden’s Law quando mette in evidenza la mancanza di senso logico di questi provvedimenti: “Un tribunale non può, al solo fine di migliorare una relazione carente con l'altro genitore di un bambino, rimuovere il bambino da un genitore o da una parte in causa - che è competente, protettivo e non violento fisicamente o sessualmente; un tribunale non può ordinare un trattamento di ricongiungimento basato sull'allontanamento di un figlio da un genitore con cui il figlio è legato”(3).

 

Il bambino di Ischia e l’intervento del tribunale di Napoli

La relazione della signora MR con N inizia nel 2014. Nei primi tempi della relazione l’uomo si mostrava in un atteggiamento accomodante e passivo, rispetto alle decisioni di coppia, mostrando poi, nei momenti immediatamente successivi, aggressività e rabbia rispetto alle iniziative della partner. Dopo che è iniziata la convivenza, alla violenza psicologica espressa attraverso offese, umiliazioni, gesti intimidatori, si è accompagnata anche la violenza fisica, con calci e spintoni. La  donna ha subito maltrattamento psicologico anche durante la gravidanza: il partner si mostrava scostante e offensivo e la signora denuncia i comportamenti maltrattanti su di sé dopo che si è avviato l’iter penale per il minore. Tutto viene successivamente archiviato. Durante la gravidanza la signora si è occupata dell’economia familiare, lavorando sino all’ultimo mese di gestazione, poiché, come riferisce, il partner non aveva un’occupazione stabile. La signora, laureata, e durante la gravidanza impartiva lezioni private a bambini e ragazzi. Mattia  nasce nel 2015 e l’accudimento è stato svolto dalla madre che, pur invitando il partner ad una maggiore partecipazione, ne incontrava il rifiuto. I comportamenti violenti, come denunciato, avvenivano anche in presenza del bambino che reagiva immobilizzandosi o piangendo. 

Nel 2018 la coppia si separava su  iniziativa della signora per il malessere e lo stress che ormai le comportava la relazione.  Nel primo anno di separazione la signora è stata sempre disponibile agli incontri tra il bambino e il padre, lasciando che l’uomo si recasse a casa quando lo volesse, ritenendo che la figura paterna fosse importante per il bambino  e confidando nella possibilità di un accordo sulla crescita di Mattia, ma questi si mostrava agitato durante le visite paterne. Nell’agosto 2019 il piccolo racconta alla madre di subire da parte del padre abusi di tipo sessuale, di cui descrive particolari. A questa rivelazione ha fatto immediatamente seguito una visita in ospedale. L’ospedale, con la segnalazione all’AG, avvia l’iter giudiziario e la signora sporgeva successivamente anche una sua denuncia querela.

Il G.I.P. archiviava con queste motivazioni: “Alla luce dello studio degli atti del procedimento, deve condividersi la richiesta di archiviazione del P.M. in quanto l'accusa non è sostenibile in giudizio. ... Va premesso che il metro di valutazione della consistenza probatoria degli elementi raccolti - nella doverosa proiezione sul giudizio che va operata in questa sede - non può che tenere conto dell'attuale assetto normativo, in particolare del dettato dell'art. 533 co. 1 c. p.p. laddove - a seguito della novella del 2006 - la penale responsabilità può essere affermata solo "oltre ogni ragionevole dubbio”  Non quello della verifica circa la certezza dell'innocenza degli indagati, dunque, ma quello - di segno profondamente diverso - della concreta possibilità di uno sviluppo favorevole all'accusa dovrà essere il parametro esegetico delle fonti di prova raccolte.”

L’archiviazione, con un’accusa che non viene ritenuta infondata ma “non sostenibile in giudizio” non forniva quindi certezze sulla colpevolezza ma restituiva dubbi irrisolti sull’innocenza dell’indagato.

Nel solco di quanto denunciato dall’inchiesta della Commissione femminicidio della scorsa legislatura sulla vittimizzazione secondaria(4), in questo caso l’archiviazione viene letta, nel procedimento civile, come una sorta di pietra tombale sul fatto denunciato. In più, non transita in quel procedimento alcuna documentazione di dettaglio derivata dal penale (testimonianze, SIT ecc.) per proseguire negli accertamenti a tutela del minore. In questo caso, la materia da accertare non è la colpevolezza con conseguente condanna del presunto autore (competenza esclusiva del penale) ma la presenza o meno di condotte pregiudizievoli per la cura e la salute del minore (competenza del processo civile).

In ambito civile viene disposta invece una CTU che, con i suoi strumenti interpretativi, non illumina ulteriormente i fatti ma aggiunge elementi che appaiono attribuibili a  pregiudizi,  in quanto non si tenta neppure di leggere il comportamento della madre come azione a tutela del figlio, in diretta conseguenza delle rivelazioni del bambino, ma come  tratto di personalità persecutorio, da cui deriverebbe l’ostilità verso la figura paterna. 

Ora in questa situazione connotata da  mancanza di approfondimento dei fatti e  mancanza di un ascolto diretto del minore da parte del giudice - ma in presenza comunque di rivelazioni del minore fatte in più occasioni alla stessa CTU e agli operatori del Pronto soccorso - si verifica che il minore rifiuti le visite protette disposte dal tribunale, fin quando non vengono da esso sospese perchéé determinano reazioni che pregiudicano la salute del bambino. 

Ma il tribunale, nonostante il rifiuto e le reazioni negative del bambino alle visite con il padre, al punto da sospenderle, persevera nell’obiettivo di recuperare la relazione padre/figlio, obiettivo legato ad una distorta lettura della bigenitorialità come valore assoluto e preminente, addirittura vista come il cuore dell’interesse del minore. Molto brevemente rinviamo qui alla Cassazione (5)per  la corretta lettura del principio della bigenitorialità come principio non assoluto ma anzi recessivo rispetto all’interesse del minore, e anche ai plurimi interventi della stessa Cassazione(6) sull’incoercibilità della volontà del minore nelle relazioni affettive e sul principio di autodeterminazione del minore.

Il mancato raggiungimento della finalità che il tribunale si era proposta,  cioè la riconnessione tra padre e minore - avendo steso un velo su tutta la vicenda dell’abuso e delle possibili motivazioni concrete, legate ad una esperienza diretta del minore, come base per la sua volontà ostativa all’incontro con il padre - comporta inizialmente la sospensione della responsabilità genitoriale alla madre (non al padre), considerata ostativa e condizionante il minore (PAS strisciante). Comporta inoltre un provvedimento di riavvicinamento alle zie paterne, cercando di trovare comunque, in prospettiva, una strada alternativa alla collocazione del minore presso la madre.

Infine quando anche le visite con le zie, a dire del tribunale, non portano all’altro obiettivo intermedio - cioè riconnettere il bambino al ramo paterno della propria famiglia - scatta l’ultimo insidioso provvedimento di collocazione del bambino in una struttura protetta, con limitazione dei contatti con la madre; sul padre, invece, il tribunale continua a tacere.

Riportiamo la motivazione centrale nel provvedimento del 12 ottobre 2023 del tribunale di Napoli che dà il via agli ordini successivi e ingravescenti di utilizzo della forza pubblica, e su cui si basa la convinzione del giudice sul punto che l’allontanamento del bambino dalla madre sia il male minore: “[la madre] Lo allontana irreversibilmente non solo dal padre, ma da tutta la realtà, precipitandolo in un mondo occupato solo dalla madre (ed in cui tutti gli altri adulti sono nemici) […] reputa il Collegio, sulla scorta di tutti gli elementi acquisiti al giudizio, che sia preferibile il collocamento in comunità, che arrecherà (almeno all’inizio) sofferenza al bambino, ma è l’unica soluzione che dovrebbe scongiurare il gravissimo pregiudizio alla sua condizione psichica derivante dalla frequentazione unica ed esclusiva della madre”.

Gli accertamenti del tribunale sono, con tutta evidenza, insufficienti, visto che risulta a tutti che il bambino frequenta regolarmente la scuola, che è ben inserito nel gruppo di amici e compagni di scuola, che la madre frequenta regolarmente altre madri con bambini, pronte a testimoniare, ma mai sentite dal tribunale. Se ne deduce che  l’isolamento presunto della madre nel suo contesto sociale è una pura affermazione apodittica e infondata; essa va a colpire in modo pregiudiziale una madre di cui si è ventilata anche una insanità mentale, totalmente negata e disconfermata da più certificati medici di servizi pubblici. 

Che la madre e il suo contesto - nonna e zie materne - presenti nella casa non siano persone isolate o che vedono nemici dappertutto, come affermato in modo evidentemente distonico rispetto alla realtà di una madre e di un bambino normalmente socializzati, lo si è visto in questi giorni in cui sia il sindaco, sia i concittadini si sono alternati a difesa della madre e del bambino sotto casa, sottoposta a un vero e proprio assedio, visto che è stata piantonata durante la notte da un servizio di due poliziotti a turno, (e ci chiediamo en passant se le risorse pubbliche  debbano essere così direzionate su obiettivi che non siano quelli della criminalità comune e organizzata) per scongiurare l’assalto ultimo con sfondamento della porta da parte delle FFOO, incuranti della presenza di un bambino dall’altro lato della porta. Un scena da stato di guerra che non avremmo mai voluto vedere, soprattutto quando va a colpire bambini inermi, scolpendo nella loro mente un trauma indelebile.

La corte d’appello, cui la madre era ricorsa avverso il decreto di collocazione in comunità, è stata chiamata in causa per sospendere questo ulteriore provvedimento autoritativo dell’intervento della forza pubblica. La sospensiva è stata concessa nel lasso di poche ore, e di conseguenza il secondo e ultimo dispositivo del tribunale,  su richiesta delle FFOO  che lì schierate chiedevano un ordine scritto su come e con che mezzi procedere per eseguire il provvedimento, è stato emesso fuori tempo massimo, pochi minuti dopo la ricezione della sospensiva.  In esso si autorizzava l’assalto finale alla casa in cui erano Mattia e sua madre:  “il Collegio, ad integrazione del provvedimento depositato in data odierna, autorizza la rimozione degli ostacoli fissi e mobili che possano impedire la esecuzione del provvedimento”. Rimozione di ostacoli fissi significa smontare la porta per entrare nella casa, ma gli ostacoli  mobili? Si tratta di rimuovere solo barricate improvvisate di mobili, giocattoli, pentole e altre suppellettili, o anche di spostare le persone che si oppongono al prelievo, cui magari il bambino si abbracci, e su cui ci sarebbe  licenza di adoperare la forza, la coercizione, la violenza? Dobbiamo constatare che si è trattato di una brutta pagina conseguente ad una prassi, già dichiarata non lecita, da parte del tribunale di Napoli, la cui credibilità è stata salvata in corner dal provvedimento della Corte di appello.

 

Perché non si può e non si deve adoperare la forza pubblica per la costrizione su un minore

Possiamo prevedere come è scritto nel vademecum delle forze dell’ordine del 2014(7) una presenza delle FFOO in ausilio dei servizi sociali, ma  a distanza, senza interventi diretti coercitivi sulle persone  (adoperare la violenza, toccare e trasportare di peso il bambino, ecc. ecc.).

Sull’impiego sconsiderato della forza pubblica, nel caso in cui ci siano minori che non sono in pericolo di vita, né in situazioni di pericolo imminente (e nel nostro caso, anche il pediatra di base su input della madre aveva visitato Mattia entrando nella casa ‘assediata’, trovando il minore in buone condizioni di salute, compatibilmente con il contesto), ma solo perché rifiutano di vedere un genitore, ci soffermiamo ancora una volta valutando quanto la Cassazione, la Corte di appello, la Commissione femminicidio XVIII legislatura, la Cedu e altre istituzioni hanno sancito.

 

- Cassazione Ordinanza n. 9691/22

«può osservarsi che la prospettata ed ordinata esecuzione coattiva del decreto della Corte d'appello in questione, anche con ii successivo decreto del 21.11.2021, consistente nell'uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre ii minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, e a prescindere dai vizi del decreto come sopra rilevati, non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto, in quanto prescinde del tutto dall'età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacita di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che ii minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore».

 

- Cassazione Ordinanza n. 13217/21

“In particolare, la ricorrente si duole che le risultanze peritali non siano state fondate su dati clinici e che la Corte territoriale non abbia effettuato una valutazione comparativa degli effetti sulla minore del trauma dell'allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso, nel senso che il provvedimento impugnato non appariva ispirato al superiore interesse del minore in quanto il dolore della forzata separazione della minore dalla madre era rimasto sullo sfondo rispetto alla ritenuta prevalenza dell'interesse all'attuazione coattiva del diritto alla bigenitorialità”.

Il motivo del ricorso  per la Corte è fondato. “Infatti, a sostegno della pronuncia in esame, la Corte territoriale ha fatto riferimento a "gravi ripercussioni ed effetti sulla minore", a "condotte scellerate" della madre senza però indicarle e specificarle, nonché ad un comportamento "improntato a gravi carenze nella genitorialità con volontà tesa ad estraniare la minore dal padre a fronte di una situazione in cui si denota la buona volontà genitoriale del XXX omettendo di esplicitare quali siano stati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore, peraltro non considerando le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre”.

 

- Cassazione  Ordinanza n. 21425/22

2.6.2. Tali assunti, rivelatori di una motivazione, in parte qua, del tutto apodittica e, come tale, meramente apparente, rappresentano il trionfo di una formula astratta, nell’assoluta indifferenza in ordine alle conseguenze sulla vita delle due figlie minorenni della coppia, private ex abrupto del riferimento alla figura materna con la quale, nel caso concreto, come emerge inequivocabilmente dagli atti, avevano sempre convissuto normalmente, coltivando serenamente i propri interessi di bambine.

2.6.3. Invero, la corte d’appello, come anche il tribunale (per quanto è descritto del relativo

provvedimento nel decreto oggi impugnato), ha del tutto omesso di considerare quali potrebbero

essere le ripercussioni sull’assetto cognitivo delle minori di una brusca e duratura sottrazione delle

stesse dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione delle corrispondenti consuetudini di vita.

2.6.4. Al riguardo, occorre ricordare che il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche è, anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare

relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento

nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta.

Né può essere sottaciuto, come evidenzia anche parte della dottrina, che ogni decisione che si ponga il problema se privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura, al prezzo di produrgli una sofferenza immediata, deve compiere un difficilissimo bilanciamento: la scelta della prospettiva futura può essere ragionevolmente privilegiata solo se è altamente probabile che dia esito positivo nel lungo periodo e al tempo stesso dalla scelta opposta deriverebbe un danno elevato; e, per di più, è necessario che la sofferenza nel breve periodo appaia superabile senza lasciare strascichi troppo traumatici”. 

 

- CEDU

E ancora la Corte EDU si esprime dando dei precisi limiti ai metodi da utilizzare per avvicinare un figlio a un genitore, escludendo la costrizione contraria ai principi europei dei diritti umani.

- La CEDU, con la Sentenza del 10 novembre 2022 - Ricorso n. 25426/20 - Causa I.M. e altri c. Italia ,ha condannato l’Italia per aver costretto un minore ad incontrare un padre violento. Imputa  all’Italia la non applicazione degli artt. 3 (L'art. 3 proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante.) e 8 ( il mancato rispetto della  vita familiare).

- (Dalla cassazione Ord. n.21341/19) “ La Corte Edu chiama invero i giudici nazionali ad una “grande prudenza prima di ricorrere alla coercizione in una materia così delicata” (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, p. 53, 22 novembre 2005), nel rimarcato rilievo che l’art. 8 della Convenzione non autorizza i genitori a far adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del minore (Elsholz c. Germania (GC), n. 25735/94, p.p. 49-50, CEDU 2000 VIII) e la collaborazione alla quale sono tenute le autorità dello Stato al fine di rendere praticabile un percorso di frequentazione e visita tra genitori e figli può spingersi sino all’adozione di ogni “misura necessaria che si possa ragionevolmente esigere” dalle prime allo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di visita (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, p. 128, CEDU 2000 VIII).

 

- PG Cassazione

Gli articoli in base ai quali l’AG rivendica la propria competenza nell’applicare  provvedimenti costrittivi: 330, 333, 403 , sono stati oggetto di  un chiarimento all’interno di una recentissima requisitoria di Cassazione della PG Francesca Ceroni, Ricorso RG. n.21633/21: 

“Si ribadisce poi, per quanto sopra già osservato, che le norme che prevedono l'allontanamento con il ricorso alla forza pubblica (art.330, 333 cod. civ e art.68 cod. proc. civ.) del minore dalla residenza familiare, il suo collocamento in località segreta, il divieto di comunicare, sono rispettose del quadro costituzionale nell’ipotesi in cui la limitazione dei diritti del minore sia limitata nel tempo e strettamente funzionale alla sua incolumità. Solo l'emergenza (cfr. in proposito la circolare del Ministero degli Interni p.77841 del 4.8.2021, per la quale in questo campo la Polizia di Stato svolge funzioni di "pronto soccorso") può giustificare una limitazione della libertà personale, che può essere ristretta "nei soli casi e modi previsti dalla legge' (art. 13 Cost.) e quindi, allo stato della legislazione, può esserlo solo in conseguenza dell'adozione di misure cautelari, misure di sicurezza e misure di prevenzione, queste ultime tuttavia molto contestate. La materia è, come noto, soggetta a riserva assoluta di legge e nel sistema delle fonti che ci occupano non vi è disposizione che preveda "la restrizione della libertà personale " (art. 13 Cost.) del minore in questi casi. La disciplina dell'allontanamento coattivo con l'ausilio della forza pubblica e del collocamento sine die in struttura protetta, del divieto di comunicazione (l'analogia con il 41 bis O.P. non è peregrina), deve trovare espressa e integrale regolamentazione nella legge formale ordinaria o in un atto equiparato, nella specie inesistente, con conseguente illiceità di eventuali arbitrarie costrizioni della libertà personale del minore, che potrebbero anche essere fonte di danni risarcibili”.

- Corte di Appello di Venezia terza sezione civile, del 12.12.22

A seguito di collocazione coattiva di due minori di 4 e 5 anni in una struttura protetta, la Corte di appello di Venezia riporta i due minori dalla madre affermando: “Occorre poi accertare se la C. per propri comportamenti possa o meno dirsi decaduta dalla responsabilità genitoriale come assunto sostanzialmente nel decreto. Specularmente deve esaminarsi se possa dirsi conforme all’interesse dei minori, una volta provate le violazioni della bigenitorialità in capo alla C., la brusca e definitiva sottrazione dalla relazione familiare con la madre stessa, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita. Questo perché (Cass. 9691 del 2022) il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche è, anzitutto, un diritto del minore prima ancora che dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta… Il principio del superiore interesse del minore, disciplinato dagli artt. 337 ter, c.c., e 8 Cedu, è altresì un principio cardine della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia con l. n. 176/91.Quindi la Corte è chiamata ad una delicata interpretazione ermeneutica di bilanciamento la cui specialità consiste nel predicare in ogni caso la preminenza del diritto del minore e la recessività dei diritti che con esso possano collidere”.

 

- Commissione femminicidio della precedente legislatura (8)

“5.2.5. Provvedimenti di allontanamento coattivo dei minori

In particolare nell’esame dei casi emblematici si sono riscontrati prelievi coattivi con il ricorso alla forza pubblica. Poiché tale procedura si rivela molto traumatica per i bambini e le loro madri, che spesso rifiutano l’altro genitore, è indispensabile introdurre delle norme e delle prassi che riducano l’impatto di tali procedure. Come confermato da una recente ordinanza della Corte di cassazione, infatti, tali modalità di prelievo potrebbero causare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare: tali procedure pongono problemi « anche in ordine alla compatibilità con la tutela della dignità della persona »

Al riguardo, appaiono necessari i seguenti interventi:

– introdurre disposizioni che disciplinino l’esecuzione dei provvedimenti di affidamento e collocamento dei minori con espresso divieto di disporre il prelievo forzoso dei minori al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso (esempio: abbandono del minore in situazione di imminente pericolo per la vita e la salute);

– disciplinare le modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori con esclusione di interventi traumatici. Tali interventi, da vietare nella generalità dei casi, risultano vieppiù traumatici se effettuati in strutture particolarmente sensibili per la dignità e la salute del minore come la scuola o l’ospedale”.

 

- La riforma Cartabia

Nell’ attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante la delega al Governo per l’efficienza del processo civile e all’art. 473-bis.38 troviamo i casi di ricorso alla Forza Pubblica(9): 

“Il giudice può autorizzare l’uso della forza pubblica, con provvedimento motivato, soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore. L’intervento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice e con l’ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze”.

Questo articolo non definisce comunque, né poteva farlo, il ricorso a metodi coercitivi e violenti.

 

- Sentenza del Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Penale,  del 23 febbraio 2023.

Infine riportiamo una sentenza del tribunale penale di Lecce, che assolve una donna accusata di aver interferito con l’esecuzione di un provvedimento del tribunale civile, arrecando danni  e lesioni  agli operanti nel prelevamento di un minore, in cui troviamo in maniera esaustiva la discussione sui motivi per cui i provvedimenti che hanno come oggetto i prelievi coattivi  dei minori devono avvenire per ragioni straordinarie e devono in corso d’opera poter  essere sospesi se arrecano trauma ai minori. 

In questa sentenza, la madre del bambino e i nonni vengono assolti perché il fatto - di avere aggredito verbalmente e fisicamente gli operanti preposti al prelievo del minore - non sussiste e la motivazione è: (manca) “l’elemento soggettivo del dolo” in quanto  ( il comportamento ostacolante e oppositivo)  era “finalizzato esclusivamente a preservare ii minore dal distacco traumatico che egli stava vivendo in quelle circostanze concrete”.

Il giudice monocratico si pronuncia anche sulla legittimità dell’operazione affermando : “Sebbene vi sia stato un effettivo ostacolo all' esecuzione del provvedimento del tribunale, dubbia è la legittimità della stessa con riguardo alle modalità poste in essere in concreto”.

Si rileva poi dalla trattazione del caso un’ampia disamina del perché il prelievo forzoso non sia procedura adeguata per legge. Infatti dopo un’ampia escussione dei testi, Assistenti Sociali e Forze dell’ordine presenti al prelevamento del bambino  dall’ospedale, il giudice ha rilevato che: “dalle videoregistrazioni è emerso chiaramente che le modalità di prelievo e accompagnamento del minore si sono poste in contrasto con quanto statuito dal Tribunale (essendo stato in tutto e per tutto delegato dai Servizi Sociali alle Forze di Polizia), nonché in difformità con le linee guida da adottare nello svolgimento di tali operazioni, sconosciute (come emerso dall'istruttoria dibattimentale) dagli operanti. A riscontro di quanto affermato, sintomatico è il fatto che il prelievo del bambino, recalcitrante e disperato, fu eseguito dall'ispettore XXX e dal responsabile dell'ufficio dei minori, XXX, il quale, peraltro, ha riferito - nel corso della sua deposizione - che l'operazione dovesse essere eseguita 'a tutti i costi '. Difatti, dalle evidenze probatorie disponibili, è emerso che le operazioni si siano svolte senza l'adeguato intervento delle assistenti sociali che, sebbene si siano dichiarate presenti e collaborative al momento de! fatto, si sono -in concreto -dimostrate marginali durante lo svolgimento delle operazioni (come si evince dalla visione dei video)”.

Il giudice dà rilievo anche al fatto che non si era prevista la sospensione dell’esecuzione date le modalità fortemente traumatiche per il bambino: “ ( l’assistente sociale) ha riferito che precedentemente ai fatti di causa, furono organizzati vari incontri con la madre per carpirne la collaborazione e che il rifiuto del bambino fosse stato preventivato sebbene non fosse stata vagliata la possibilità che - in tali situazioni così drammatiche - l'esecuzione de! provvedimento potesse essere sospesa”.

Il giudice poi esplora la tematica del prelevamento forzoso, giungendo a censurare le modalità forzose adoperate verso il bambino e da qui procede a sollevare la madre e i nonni dall’accusa di aver operato per danneggiare gli operanti ( FFOO e Assistenti Sociali).

“Infine, giova precisare che in materia di esecuzione di provvedimenti di famiglia, è emerso un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale a proposito delle insormontabili difficoltà che si riscontrano allorquando l'esecuzione abbia come soggetto passivo i minori, a causa soprattutto delle lacune normative riguardanti il necessario rapporto che deve sussistere tra magistrato che emette il provvedimento ed ufficiale giudiziario o forza pubblica che lo esegue. II Tribunale di Torino con una decisione del 15/06/2009 rimasto pressoché isolato ma condivisibile dispose che non possa mai essere seguito con la forza pubblica ex articolo 612 c.p.c. un provvedimento riguardante un minore ma che debba sempre solo farsi corso al rimedio dell'articolo 709 ter, ovvero al giudice del merito. Allo stato le uniche disposizioni normative applicabili sembrano essere i soli articoli 605 e 612 cpc. Il ricorso all'esecuzione forzata viene considerato da alcuna dottrina inattuabile per i provvedimenti in tema di famiglia e minori di talché gli stessi diverrebbero ineseguibili ex lege. Fatto è che comunque per l'esecuzione dei provvedimenti si ricorre alle due suddette norme. In particolare l'articolo 612 c.p.c. appare più adatto in quanto lasciato alla discrezionalità del giudice dell'esecuzione, ii quale può bilanciare gli interessi di causa. In particolare viene evidenziato dalla dottrina che se il minore non intende ottemperare e si oppone, nessun organo delegato all'esecuzione può porre coazione fisica nei confronti dello stesso, e di fronte al rifiuto categorico l'attuazione dell'obbligo deve necessariamente arrestarsi rimettendo gli atti al giudice dell’esecuzione; che quando nemmeno con l'ausilio di coadiutori professionali (quali psicologi, personale medico, assistenti sociali) si riesce a dare esecuzione senza causare stress (attuale o anche solo potenziale) al minore, si dovranno rimettere gli atti al giudice ex artt. 608 - 610 c.p.c.; ancora è stata messa in rilievo dalla dottrina l' esigenza che l'attuazione concreta del provvedimento giurisdizionale richieda accortezze particolari: vi è la necessità certamente di una attuazione celere, ma esso non può essere eseguito causando traumi ed occorrendo la collaborazione del minore; la oppositività forte del minore costituisce un problema effettivo; a tale proposito la Corte di Cassazione con la pronuncia numero 6312 del 1999 ha statuito che ogni qualvolta un minore manifesta sentimenti di ripulsa ed ostilità nei confronti di un genitore, il giudice deve sospendere gli incontri, indipendentemente dalle cause, dalle responsabilità dei genitori e dalle motivazioni addotte dal minore: ciò che rileva è tutelare immediatamente il minore, salvo verificare in altra sede la responsabilità del genitore a livello individuale”.

“Ciò posto, nel caso di specie, è emerso che il bambino - fortemente turbato dalle modalità esecutive del provvedimento - fosse totalmente contrario all'esecuzione dello stesso, dimostrando (con pianti e urla) di non voler staccarsi dalla nonna che lo cingeva a sé. Ciononostante, pur potendosi sospendere l' esecuzione, si è proceduto oltre distaccando coattivamente il minore dalla situazione contingente (peraltro in una situazione di particolare delicatezza quale la degenza in ospedale), ad opera di personale maschile che ha usato la forza fisica quale mezzo esclusivo di coazione, e non anche l'ausilio psicologico dei servizi sociali (rimasti di fatto inerti nella circostanza)”.



1. Gardner, R. (2001) Should Courts Order Pas Children To Visit/Reside With The Alienated Parent? A Follow-Up Study, The American Journal of Forensic Psychology, 19(3):61-106.

2. Cassazione   n. 7041/13; 13274/19; 13217/21; 9691/22. Infine l’ultima pronuncia internazionale  contro l’alienazione parentale e costrutti similari delle Nazioni Unite: General Assembly, Human Rights Council , Fifty-third session, 19 June–14 July 2023. Custody, violence against women and violence against children, Report of the Special Rapporteur on violence against women and girls, its causes and consequences, Reem Alsalem.

3. La  Kayden’s Law fa parte di un pacchetto di misure che riguardano la violenza domestica contro le donne e costituisce precisamente il  titolo XV (TITLE XV—Keeping Children Safe from Family Violence) dell’Atto  di ri-autorizzazione  sulla violenza contro le donne  (The reauthorization of the Violence Against Women Act)  firmata da Joe Biden il 16 marzo 2022.

4. Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, XVIII legislatura. Relazione sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affida-mento e la responsabilità genitoriale, aprile 122. Doc. XXII-bis n. 10.

5. Cassazione (bigenitorialità)  n. 24683/13; n. 12954/18; n. 21341 /19 ; 9691/22; 21425/22.

6. Cassazione  (autodeterminazione e incoercibilità) n. 20107/16; n. 30826/18 ; 11170/19; 19153/19; 21341/19; 6741/2020.

7. Ministero dell’Interno e Autorità garante per l’infanzia e dell’adolescenza (2014)  GARANTIRE I DIRITTI DEI MINORENNI - Vademecum per le forze di polizia.

8. Relazione sulla vittimizzazione secondaria cit. pag.100.

9. DECRETO LEGISLATIVO 10 Ottobre 2022, n. 149.


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