Ringrazio per quello che ho imparato. Sono la madre di un uomo disabile, potrei dire un ragazzo, non ha ancora compiuto trent’anni.
Ha sempre avuto grossi problemi, ultimamente si sono accentuati. Per questo sono venuta qui oggi; non abitiamo a Bologna, viviamo in un paesino distante qualche chilometro da qui. Mio marito è rimasto a casa a fare compagnia a Giulio, così si chiama nostro figlio; gli racconterò poi quanto ho sentito da voi. Ho solo un’osservazione da fare. Non siamo più tanto giovani, mio marito e io, Giulio è arrivato tardi; da un po’ di tempo come mamma e papà ci sono venuti certi pensieri. Sarebbe meglio fare le cose fin che si è in tempo. Vedete, è di sicuro importante quello che avete detto sui problemi economici dei tipi come Giulio, una volta che non ci siano più i genitori. Mi sono dimenticata di precisare che Giulio è figlio unico, esiste uno zio con dei cugini, per parte mia, vivono all’estero però, abbiamo pochi rapporti con loro. Ecco, per dire che il giorno che noi non ci saremo più, lui resterà davvero solo al mondo. E per quel giorno, aggiungo, le domande che io e mio marito ci poniamo, le più importanti per noi, non hanno tanto a che fare con la casa, con i risparmi in banca, coi vincoli su certi terreni di nostra proprietà. Pensiamo soprattutto - ecco quello che volevo dire - a chi si occuperà di Giulio dal punto di vista personale. Chi in questa sala ha una situazione simile alla mia è in grado di comprendermi. Ha grosse difficoltà a relazionarsi con gli altri, Giulio. Soffre di una forma di autismo grave, e insieme non è che abbia un carattere facile; cosa che gli deriva dalla sensibilità, enorme, che si porta dietro fin da quando è nato. È pieno di esigenze, di punti deboli, direbbe qualcuno, vive in un mondo suo; non parla praticamente, non sa scrivere a mano; venti volte al giorno gli capita di aver bisogno di qualcuno, che lo aiuti, per questo o quel motivo. Fa gesti tutti suoi, emette suoni speciali; ma ha anche cento maniere di non dire nulla, di non chiedere niente. Pretende però di essere capito lo stesso. Con noi si è abituato che lo comprendiamo al volo, che lo accontentiamo, nei limiti del possibile, un secondo dopo anzi già prima. Se noi perdiamo dei colpi, quando aspettiamo troppo, è facile gli venga una crisi; se va tutto bene, allora è subito felice, ride, batte le mani, oppure non fa commenti, dipende. Da anni abbiamo imparato a prevenire le emergenze, le necessità dovrei dire, provvediamo in automatico; sappiamo quando arrivano le ombre, i pericoli, e quante volte nel corso delle ventiquattro ore. Solo se si va in vacanza o se qualcuno si ammala o a Natale, cambia qualcosa; ma anche là siamo ormai abituati. Ecco la preoccupazione che dicevo. Che nel momento in cui non ci saremo più, io e mio marito, e prima o poi succederà, tutto quanto diventi impossibile. Cosa importi di più adesso non saprei. C’è il mangiare ad esempio, il condimento, la salsa, il punto di cottura; non conosco al mondo uno più delicato di Giulio, più ostinato dovrei dire. E poi gli odori, la musica, i vestiti, non saprei; la televisione, le coccole, i rumori, la pioggia, lavarsi. E i suoi hobby soprattutto, le specialità per cui è un mezzo genio: per certe cose è come se avesse tre lauree, c’è di che esserne fieri, per altre è un gattino appena nato. Ecco a cosa penso sempre, con mio marito, che ha dieci anni più di me, là dove stiamo in campagna.