Cass., sez. III civ., 11 giugno – 30 settembre 2014, n. 20547
Inizia nell"ormai lontano 1998 la travagliata vicenda di una famiglia che, a seguito della perdita della madre e coniuge per i postumi di un esame diagnostico (quasi del tutto routinario!), convenivano in giudizio, per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti, l"azienda ospedaliera ove la donna era stata ricoverata ed il medico che aveva eseguito l"esame.
La paziente era stata sottoposta ad un esame endoscopico, non necessario e senza consenso informato a seguito del quale riportava un'ampia lacerazione del duodeno che aveva reso necessario un successivo intervento di suturazione. A distanza di pochi giorni dall" operazione quest"ultima sarebbe deceduta.
l'Azienda ospedaliera, convenuta in giudizio, negava ogni responsabilità del personale sanitario in presenza di un quadro clinico già compromesso per le gravi patologie cardiache che affliggevano la donna, non essendosi verificata alcuna omissione di cure e di assistenza da parte dei propri dipendenti. Il medico, dal canto suo, negava ogni sua responsabilità, adducendo il difetto di nesso di causalità fra il suo comportamento e il decesso della paziente.
La domanda degli attori viene rigettata in primo grado e successivamente anche in appello. Approda quindi in Cassazione, ove finalmente viene accolta.
Apprezzabile è infatti il passaggio della pronuncia in cui si osserva che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore (medico e/o struttura sanitaria) dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non sia stato eziologicamente rilevante (Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. 21 luglio 2011, n. 15993; Cass. 12 settembre 2013, n. 20904 e Cass. 12 dicembre 2013, n. 27855). Osserva la Corte che nell'accertamento del fatto il giudice del merito deve ispirarsi a criteri logico-giuridici corretti: nella fattispecie provato l'inadempimento ascritto, che è astrattamente idoneo a determinare l'evento dannoso, in assenza di prova contraria, che doveva fornire il debitore/danneggiante, la Corte di appello non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi in tema del riparto probatorio e la decisione non è supportata da argomentazioni sufficienti a tale riguardo, sicché la motivazione della sentenza impugnata risulta viziata sotto il profilo logico-giuridico. Si evidenzia, peraltro che, nella specie, l'ausiliare del giudice ha assegnato alle due cause tecnicamente ipotizzabili (tromboembolia polmonare e scompenso cardiaco acuto su basi ischemica e/o aritmica) un identico grado di possibilità, con conseguente stallo, in tema di accertamento di nesso di causalità fra intervento e il decesso, e che ciò va a carico del danneggiante che non ha provato che l'inadempimento non ha causato il decesso.
I ricorrenti, inoltre, lamentano la mancata esecuzione di esame autoptico che avrebbe potuto in concreto individuare le cause del decesso: ai sensi del regolamento di polizia mortuaria, la richiesta di autopsia per riscontro diagnostico "é dovuta quando il medico ha dubbi sulla causa della morte". Nel caso di specie, proprio in ciò si sostanzia la contraddittorietà evidente della sentenza di merito impugnata: se infatti da un lato si ritengono dubbie le cause del decesso, tanto da non poter individuare un nesso causale tra condotta del medico e morte della paziente, dall"altro si afferma che "giustamente non ebbe dubbi sulle cause naturali della morte il sanitario che non dispose l'autopsia".
La S.C. osserva, ancora, che era stato richiesto il risarcimento di tutti i danni connessi "all'azione endoscopica ai danni della paziente" e che la Corte di merito, in considerazione dei dubbi sulle due cause della morte ritenute di identico grado di possibilità e dunque esclusa la prova del nesso causale del decesso con il comportamento dei sanitari, abbia rigettato la domanda di risarcimento, omettendo di pronunciarsi sui danni derivanti dalla lesione del duodeno, imputabile certamente a colpa del sanitario: non vi sarebbe dubbio, viceversa, che l'erronea esecuzione dell'ERCP con la conseguente lesione abbia di per sé determinato gravi danni patrimoniali e non patrimoniali imputabili al medico, il cui risarcimento avrebbe dovuto essere disposto in ogni caso.
In allegato il testo integrale della sentenza.