Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  25/07/2024

Enti del Terzo settore, attività di interesse generale e attività diverse (con un inciso sulla co-progettazione e relativa rendicontazione) – Cons. St. 6211/24

In un giudizio vertente su un Accordo quadro ex Codice dei contratti pubblici relativo all’aggiudicazione del servizio di noleggio di automediche dotate di autista e infermiere con posizionamento sul territorio aziendale, il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza 11 luglio 2024, n. 6211, si è espresso in ordine alle attività di interesse generale e alle attività diverse svolte dagli ETS.

In primo luogo, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che:

  1. a) ai sensi dell’art. 4, comma 1, d. lgs. n. 117/2017 “sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
  2. b) le attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. n. 117/2017 ricomprendono anche gli “interventi e prestazioni sanitarie”;
  3. c) l’art. 6, comma 1 del Codice del Terzo settore stabilisce che “gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale;
  4. d) la dichiarazione resa da un’organizzazione di volontariato che ha partecipato al RTI che si è aggiudicato la gara in merito al reinvestimento degli utili nell’attività sociale appare coerente con le previsioni contenute nell’art. 8 del D. Lgs. n. 117/2017 secondo cui: a) “Il patrimonio degli enti del Terzo settore, comprensivo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate è utilizzato per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” (comma 1);
  5. e) l’art. 33, comma 3, del Codice del Terzo settore, in materia di disciplina delle organizzazioni di volontariato, prevede che “per l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere, soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6”.

Nel contesto normativo e interpretativo sopra richiamato, il Consiglio di Stato ha inteso riaffermare quanto segue:

  1. l’art. 5 del Codice reca un catalogo chiuso di attività qualificate di “interesse generale” alla cui realizzazione sono destinate, “in via esclusiva o principale”, gli Enti del Terzo Settore;
  2. si tratta di attività che, essendo dirette al perseguimento di obiettivi di elevato carattere sociale, sanitario, umanitario e culturale, a vantaggio soprattutto di persone in condizioni di fragilità economica, sociale o sanitaria, giustificano l’applicazione agli enti de quibus di una disciplina speciale, orientata a favorirne la nascita e lo sviluppo e, nel contempo, a vincolarne l’organizzazione e l’operatività a precisi limiti e condizioni, intesi a garantire la costante coerenza tra la loro azione e le finalità istituzionali, di carattere solidaristico, che li contraddistinguono;
  3. tra i vincoli all’operatività degli Enti in discorso, rientra quello connesso al “perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.;
  4. il Codice del Terzo settore ha dunque inteso dettagliare “una connotazione del modus operandidegli E.T.S. attinente alla “forma” ed agli scopi della loro attività, che si aggiunge a quella di carattere contenutistico delineata dal legislatore sia in termini generali, nel senso della qualificazione come di “interesse generale” dell’attività da essi svolta “in via esclusiva o principale”, sia attraverso le concrete declinazioni operative catalogate dal citato art. 5, comma 1;
  5. il Codice del Terzo settore ha tipizzato gli ETS su due fronti, “connessi funzionalmente ma oggettivamente distinti: da un lato il contenuto delle attività di “interesse generale”, tratteggiato essenzialmente in relazione agli interessi (di carattere sociale, sanitario, umanitario e culturale) che sono dirette a soddisfare, dall’altro la forma e gli scopi del loro svolgimento, i quali devono essere caratterizzati in senso non lucrativo”;
  6. le attività di cui all’art. 6 del Codice del Terzo settore fanno riferimento ad attività che, per i loro contenuti, non sono assimilabili alle tipologie di cui all’elenco recato dall’art. 5;
  7. l’art. 2 del D.M. 10 maggio 2021, n. 107 precisa i “criteri e limiti” nel rispetto dei quali, ai sensi del citato art. 6, le suddette “attività diverse” possono essere esercitate;
  8. il D.M. n. 107 afferma che le stesse attività diverse “si considerano strumentali rispetto alle attività di interesse generale se, indipendentemente dal loro oggetto, sono esercitate dall’ente del Terzo settore, per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente medesimo”;
  9. le “attività diverse” hanno “oggetto” diverso da quelle indicate nell’art. 5, in quanto attengono a contenuti di attività appunto diverse;
  10. le attività diverse devono comunque essere svolte “per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente medesimo”, senza il richiamo all’assenza dello “scopo di lucro”;
  11. il mancato riferimento alla non lucratività per le attività diverse “consente di affermare che questa non costituisce un connotato essenziale” delle medesime,” a differenza di quanto stabilisce l’art. 5, comma 1, per quelle di “interesse generale”, purché siano svolte nel rispetto dei criteri e dei limiti dettati dal predetto D.M.

 

Le considerazioni sopra riportate permettono alla Sezione di evidenziare che “laddove l’art. 6 consente agli Enti del Terzo Settore di svolgere “attività diverse da quelle di cui all’articolo 5”, esso si basa su un criterio di “diversità” oggettiva e non teleologica, quale emerge appunto dal raffronto con il catalogo di cui all’art. 5, comma 1: con la conseguenza che è rispetto a tale attività, oggettivamente connotata, che deve ricorrere la condizione che “l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano”. A giudizio dei giudici di Palazzo Spada, si tratta di una ricostruzione che troverebbe conforto nel disposto del già richiamato art. 33, comma 3, in materia di disciplina delle organizzazioni di volontariato, secondo cui “per l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere, soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6”. La disposizione infatti, nel prevedere la possibilità per le organizzazioni di volontariato di svolgere le attività “di interesse generale” di cui all’art. 5, comma 1, secondo modalità lucrative, ovvero ricavandone un utile, purché sia svolta “quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6”, non afferma che essa debba considerarsi come una attività “diversa” (sì da dover essere prevista in quanto tale nello statuto o nell’atto costitutivo), ma prescrive solo che sia svolta nel rispetto dei limiti e dei criteri che ne assicurano il carattere “secondario e strumentale”.

La circolare ministeriale n. 20/2018 conferma l’assunto test* formulato laddove chiarisce che: “L’esercizio di attività diverse rispetto a quelle di interesse generale ricomprese nell’elenco di cui all’articolo 5 è facoltativo; tuttavia, qualora l’ente intenda esercitarlo, esso è subordinato, ai sensi dell’articolo 6 del codice, a due condizioni: 1) che esse siano secondarie e strumentali rispetto a quelle di interesse generale (secondarietà e strumentalità dovranno essere valutate secondo i criteri e limiti che saranno definiti con decreto interministeriale, avente natura regolamentare); 2) che sia consentito (e quindi specificamente previsto) dall’atto costitutivo o dallo statuto”.

Che cosa è possibile evincere da quanto sopra riportato? Che le “attività diverse” emergono per differenza “rispetto a quelle di interesse generale ricomprese nell’elenco di cui all’articolo 5” e che sono le stesse, così oggettivamente individuate, a dover costituire oggetto di annotazione nell’atto costitutivo o nello statuto.

In conclusione, le attività di “interesse generale” di cui all’art. 5, comma 1, ove svolte con lo scopo di lucro (ovvero attraverso l’ottenimento di un utile), non diventano per ciò solo “diverse” né richiedono quindi, a differenza di quelle anche “oggettivamente” diverse, una specifica iscrizione nell’atto costitutivo o nello statuto, ma possono essere svolte come attività “secondarie e strumentali”, purché nel rispetto dei “criteri e dei limiti” fissati dal citato D.M.

Dalla sentenza qui brevemente annotata è possibile, rinviando ad altro contributo una più specifica analisi, avere la conferma della legittimità per gli ETS di svolgere attività con metodo economico-imprenditoriale, legittimazione che dovrebbe contribuire a far comprendere come nel caso delle procedure di co-progettazione la rendicontazione possa involgere anche tipici elementi connotati da economicità e non soltanto quelli caratterizzati da gratuità.




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