Letteratura  -  Redazione P&D  -  20/11/2024

Ecco perché i toni a metà gennaio - nel duello numero due col giudice Formaldi - erano stati così accesi - P.C.

Cena con conferenza, questa la formula, organizzatore il Lions Club di Milano. M. aveva esordito rimarcando l’opportunità per i fragili di reinserirsi entro la comunità; il che implicava “una seria partecipazione ai circuiti economici”. Formaldi aveva insistito sulla “sicurezza nel mercato quale bene primario”; i malati di mente non dovevano in nessuna circostanza “creare ostacoli ai traffici giuridici”.
 Il professore aveva richiamato alla necessità di “non umiliare creature già sfortunate per proprio conto”; Formaldi aveva parlato di persone “non in grado di sentire alcunché, data la loro condizione”.
Pian piano il clima era trasceso. “Che civiltà quella di uno Stato, - così M., - con gli armadi pieni di camicie di forza?“. “Sbagliato decidere come se le malattie di mente non esistessero, - aveva ribattuto Formaldi, - roba da ingenui, anzi da ipocriti”.
 “È deplorevole si possa fare il magistrato, - di nuovo il professore, - senza aver fatto un corso di psicologia”. “Mai confondere morale e diritto, - aveva tuonato Formaldi, - non è coi buoni sentimenti che si fanno le buone pronunce”.
 In sala qualcuno sorrideva, era palpabile la tensione; non correva buon sangue fra i contendenti. Il moderatore faticava a intervenire; i due neanche si guardavano, ognuno si comportava come fosse il solo oratore presente.
 Finale peggiore dell’altra volta: una stretta di mano per storto, senza sorrisi.




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