La volontaria giurisdizione non vanta, oggi come ieri, presso i magistrati, un’immagine granché attraente.  Soltanto una minoranza tra i vincitori di concorso è disposta a occuparsene; a vederla come un buon tramite, da sperimentare utilmente per un lawyer.

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  La progressione di carriera non è strutturata - a livello cartaceo, negli incentivi formali, coi premi al merito -   per valorizzare il lavoro dedicato agli esseri meno felici, sulla terra, agli scarti, ai   più inanimati della schiera cittadina.

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  Un ‘’mestiere da donne’’, quello del giudice tutelare, un impegno ‘’da assistenti sociali’’, pensano tanti (anche se non sempre lo si dice).   Una professione in cui i decreti dell’AdS varranno poco o niente come titoli; dove otterranno blandi riscontri, per salire di grado, i pomeriggi spesi a colloquiare con gli assistiti, le mattinate a sondarli pazientemente.  Dove garbo e premura rispetto ai derelitti, ai perdenti del milieu, lasciano il tempo che trovano.

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   Col numero dei beneficiari in forte aumento, poi, con fascicoli mai stabilizzati, nel contenuto, stanti le continue novità diurne e notturne: fatiche aggiuntive nel lavoro, altrettanti accomodamenti richiesti per il dossier, che non promettono avanzamenti di sorta, per chi se ne dovrà occupare.

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  Non era meglio tutto sommato – si chiedono alcuni – non tentare nulla di funambolesco, nel 2004, non era più saggio accantonare allora i fremiti da Don Chisciotte? Non c’era più umiltà nell’arrendersi al fato, filosoficamente, rinunciando ai sogni di grandezza legislativa, volando bassi con le riforme?

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  Non era raccomandabile – quel fine 2003 - astenersi dal proposito di voler cambiare il mondo, a colpi di diritto? Non era più sensato volgere le spalle ai bei sogni, al buonismo quale linfa ideale, non conveniva lasciare che i poveretti si arrangiassero sulla terra, che se la cavassero da soli, come sempre, ognuno per i fatti propri?