Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  26/08/2024

Convenzioni tra gratuità e concorrenza – Cons. St. 7020/24

L’art. 56, comma 1, d. lgs. n. 117/17 (Codice del terzo settore) stabilisce quanto segue: “Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato (OdV) e le associazioni di promozione sociale (APS), iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato.”

La disposizione individua:

  1. a) I soggetti giuridici non profit ammessi alle convenzioni;
  2. b) I requisiti che i medesimi soggetti devono possedere per accedere alle convenzioni;
  3. c) La finalità che le convenzioni sono chiamate a realizzare;
  4. d) Quando le P.A. possono ricorrere alle convenzioni.

L’art. 56 individua – confermando una impostazione giuridica già presente nelle l. n. 266/1991, 328/2000 e 383/2000 - “altera” rispetto alle logiche di mercato, in quanto stabilisce un rapporto collaborativo e non competitivo tra enti pubblici e soggetti non lucrativi

Da ciò consegue che i rapporti che si instaurano tra associazioni ed enti pubblici non costituiscono contratti a prestazioni sinallagmatiche, atteso che il quantum economico che gli enti pubblici riconoscono alle OdV e alle APS si configura alla stregua di un rimborso delle spese sostenute e documentate.

La previsione secondo cui alle OdV e alle APS spetti soltanto il rimborso delle spese sostenute e documentate non esclude tuttavia che le stesse possano avvalersi di personale retribuito per lo svolgimento delle proprie attività. Si tratta di una possibilità già disciplinata nelle l. n. 266/1991 e 383/2000 e confermata dal CTS, a condizione che il numero del personale retribuito non sia superiore al 50% del numero dei volontari.

Il Tar Toscana (Sezione I), con sentenza del 1 giugno 2020, n. 666, aveva ravvisato l’illegittimità di un avviso pubblico di un comune che invitava, ai sensi dell’art. 56 CTS, le OdV e le APS a presentare proposte per l’organizzazione e gestione di corsi di lingua straniera.

In quell’occasione, la Sezione ha riconosciuto che:

  1. l’esclusione di una forma societaria dall’avviso pubblico in oggetto doveva considerarsi un ostacolo alla concorrenza;
  2. la convenzione “non possa dar luogo a qualunque forma diretta o indiretta di remunerazione a carico del soggetto pubblico affidante, quale ne sia la formale denominazione, al personale volontario o dipendente e direttivo dell’ente affidatario”.

Quanto statuito in quella sentenza è stato ribadito (e quindi è stato respinto il ricorso in appello del comune allora soccombente) dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 7 agosto 2024, n. 7020.

Nello specifico, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che l’interpretazione del concetto di “gratuità/onerosità” risulta funzionale “all’esigenza di evitare l’abuso del ricorso agli affidamenti ad enti non profit, contro il quale la Corte di Giustizia ha messo in guardia con la sentenza resa nella causa C-50/2016, laddove essa evidenziava che simili affidamenti debbono rispondere anche all’esigenza di contenere i costi della finanza pubblica e, in tal modo, di mantenere l’efficienza del sistema in generale, ed anche che le associazioni di volontariato possono avvalersi di dipendenti solo “nei limiti necessari al suo regolare funzionamento”.

In quest’ottica, la Sezione ha censurato il comportamento del comune, tra l’altro, in quanto:

  1. non ha previsto alcuna disposizione ovvero non ha avviato un’adeguata istruttoria per verificare che l’attività oggetto dell’avviso pubblico fosse svolta anche attraverso il contributo dei volontari;
  2. non avrebbe valutato l’effettiva economicità del servizio, cioè l’effettiva convenienza nell’affidare il servizio in convenzione ad una Associazione di volontariato, piuttosto che all’esito di una normale procedura di gara aperta ad ogni operatore del settore;
  3. nell’avviso pubblico, non ha fissato un tetto massimo al rimborso, limitandosi a stimare l’importo presunto del servizio annuo, di cui una parte cospicua finanziati con le quote di iscrizione (ai corsi di formazione);
  4. ha previsto una copertura totale dei costi dell’attività svolta, anche quelli non direttamente correlati allo svolgimento dell’attività, sia pure nella quota idealmente ascrivibile all’attività oggetto della convenzione. Questo specifico impegno dell’ente locale fa ritenere – a giudizio della Sezione – che “pare evidente che una associazione che si avvalga di tale modalità di rimborso svolgendo attività per più enti, si trovi ad essere coperta in tutti i costi, generali e non, diretti e indiretti, mediante affidamenti che ha ottenuto senza concorrere con altri operatori economici specializzati: è chiaro che una simile situazione porta a un abuso del ricorso alle associazioni non lucrative, poiché tali soggetti non operano in perdita e si comportano esattamente come altri operatori economici, da essi differenziandosi solo perché adottano la forma giuridica dell’associazione non lucrativa”;
  5. si era impegnato a rimborsare all’APS Nel contesto sopra brevemente descritto, il Consiglio di Stato ha inteso (ancora una volta) confermare che “solo in presenza di una parziale non copertura dei costi diretti ascrivibili alla attività oggetto della convenzione, questa risulta non economica e fuori mercato, perciò giustificandosi la deroga dagli obblighi discendenti dal Codice dei contratti pubblici.”

La sentenza de qua permette di svolgere tre brevi riflessioni conclusive. La prima riguarda la necessità che gli enti locali che intendano ricorrere alle convenzioni ex art. 56 del Codice del Terzo settore prestino molta attenzione sia all’attività oggetto della convenzione da sottoscrivere con gli ETS sia alle modalità di “esecuzione” di quella medesima attività. La seconda, invece, attiene al rapporto (sempre più delicato) tra gratuità/economicità/concorrenza/collaborazione. Sebbene (anche) la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 abbia chiaramente ribadito l’equiordinazione tra i due sistemi, segnatamente, quello dei contratti pubblici e quello cristallizzato nel d. lgs. n. 117/2017, il principio di concorrenza risulta oggettivamente “preferito” dall’interpretazione della giurisprudenza amministrativa. Ne consegue che gli enti locali, nel caso specifico delle convenzioni ex art. 56 CTS, siano chiamati a motivare adeguatamente la ragione e gli scopi (oltre che le modalità di organizzazione, gestione ed esecuzione delle attività oggetto della convenzione, come peraltro confermato in più occasioni dalla giurisprudenza eurounitaria, richiamata anche nella sentenza de qua) che li sollecita a ricorrere a forme di collaborazione in alternativa all’espletamento di procedure competitive. La terza ed ultima riflessione chiama in causa il legislatore e gli operatori del settore affinché si consideri se le disposizioni contenute nell’art. 56 possano dirsi soddisfacenti a rispondere alle istanze di coinvolgimento delle organizzazioni di terzo settore. Qualora la risposta fosse negativa, occorre allora interrogarsi sul perimetro di azione delle organizzazioni di volontariato e di quelle di promozione sociale, nonché sulla capacità di tenuta dell’art. 56 rispetto ad attività dal forte connotato imprenditoriale.




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