Consumatori  -  Redazione P&D  -  24/06/2022

Considerazioni sulle evoluzioni socio – economiche, nel contesto della unificazione europea. - Giovanni Di Salvo

Un approccio alle fragilità nel mercato europeo.

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Considerando gli orientamenti del mercato europeo appare necessario seguirne e favorirne il processo liberista di mercato, pur propugnato dal Trattato istitutivo dell’E.U.

In tale prospettiva, il mercato si presenta come l’insopprimibile strumento della cooperazione sociale, non intesa quale verità teologale. Infatti, esso genera un ininterrotto processo di livellamento fra le economie umane, i così detti indicatori di “correnti di beni e di servizi”, che reciprocamente si scambiano e si prestano attraverso i mezzi della produzione. E dal livellamento, posto in essere per fronteggiare la nostra condizione umana di “esaurimento dell’essere”. Quella condizione permanente di insoddisfazione dei bisogni, che riproducono e riformulano nuovi progetti.

La situazione di disequilibrio originario si sostituisce con una altra situazione di disequilibrio. Il che spinge a ricercare, a ritrovare, a rinnovare la cooperazione. 

Il mercato consegna, pertanto, il libero coordinamento delle azioni umane; dando vita ad un ordine che non è imposto da alcuno. Se non dagli operatori che intervengono per regolarne le funzioni vitali ed esistenziali.

Esso si realizza spontaneamente, attraverso le scelte degli individui, i quali, atomi, mobilitano competenze e conoscenze, largamente ed atomisticamente. Differenziate e sperse all’interno della Società, pur e per poter ottenere, in cambio di quello che offrono, ciò di cui essi hanno, o ritengano di aver, bisogno. Ciascuno, pertanto, è, anche, induttivamente, un attore, sempre e comunque attore, protagonista, stimolato a fare di più e meglio.

Ogni soluzione, attuale, è, perciò, provvisoria. Giacché verso di essa vengono continuamente indirizzate nuove sfide. 

I protagonisti principali di tale processo dovrebbero essere gli imprenditori, responsabili, competenti, sensibili, da intendersi come tutti coloro che siano dotati della prontezza necessaria ad attivare i percettori e ad individuare soluzioni nuove, o bisogni, ma, certamente, pur interpreti dei gusti e delle tendenze. Forse registi sulla scena delle parti produttive. Ed, a volte, protagonisti nella realizzazione di quel concetto mutevole e, quindi, innovativo della “durevole qualità della vita”. Pur richiesto dai consumatori finali. Questi ultimi sono, perciò, i giudici finali. Perché essi da spettatori interattivi, contribuiscono con le loro scelte, con i consumi, (fenomenologiche esteriorizzate), con le contestazioni consumeristiche, a decidere quale imprenditore debba continuare a produrre e quale no. Ovvero, quale prodotto soddisfi quella esigenza esponenziale ed esponenzialmente differenziata del miglioramento della qualità della vita. 

Come dire, assiomaticamente, che il profitto “è propriamente l’indice della capacità di servire i consumatori", di soddisfare i loro bisogni già noti; o di scoprire i bisogni non noti ai concorrenti.

È in tal modo che il mercato non solo spinge verso la massimizzazione dell’uso della “conoscenza” esistente, in un dato momento, ma alimenta, contestualmente, un procedimento di scoperta, che, se pur rimanesse inconcluso, (massificazione del settore di mercato), sarebbe sempre aperta a nuovi flussi di conoscenze e di informazioni.

La logica del mercato è, infatti, dissimile, ma non diversa, da quella della scienza. Dando soluzioni ai problemi, o passando da cattive soluzioni ad altre migliori, il mercato pone in essere un processo, teorico, ma storico, di selezione dei paradigmi produttivi degli stessi mezzi, dei beni offerti e dei servizi prestati. Tuttavia, perché tale selezione si possa autenticamente realizzare, è necessario che la persona, lo status, il ceto, la casta, il clan, la etnia, le idee politiche, il credo, la fede religiosa (monade intimista), del venditore e gli acquirenti siano irrilevanti. L’imprenditore deve poter essere e produrre per chiunque. E gli acquirenti non devono essere obbligati a rivolgersi ad un fornitore specifico.

L’habitat normativo non può che essere, pertanto, lo stato di diritto. E per l’ordinamento italiano lo Stato diritto costituzionale. E per l’altro Europeo lo stato di diritto internazionale.

Le norme giuridiche, quindi, congeniali non devono (o non dovrebbero) prescrivere contenuti tanto prescrittivi da risultare escludenti, emarginanti o discriminatorie. Queste dovrebbero essere autonomamente scelte dagli attori sociali. Le norme dovrebbero indicare, semplicemente e perentoriamente, le forme. Dovrebbero dare vita ad un ordine astratto, che proprio perché non imponga contenuti particolari e si limiti “unicamente” a tracciare i confini fra le azioni, consenta alle iniziative di ciascuno d’essere libere tanto da alimentare, per l’appunto, un permanente procedimento, di scoperta, di disvelamento, di creazione, di realizzazione, di sviluppo.

Tale assunto significa che le norme di mera condotta dello Stato di diritto garantiscano il continuo realizzarsi dell’ordine concreto del mercato. Quale sarà tale ordine concreto non è dato saperlo in anticipo, perché esso dipenderà dalle libere scelte degli individui.

Da ciò deriva che la libertà prima di essere un fatto economico o politico, è un fatto giuridico (monade juri). Inteso quale fenomeno della conoscenza munito di necessaria consapevolezza del proprio essere, non meramente in natura, ma secondo diritto.

Ogni intervento normativo, che vulneri con prescrizioni specifiche l’arretratezza delle norme giuridiche, ridurrebbe la libertà ed impedirebbe ai processi di selezione di potersi autenticamente compiere. Alterando, di tanto, l’arduo e ricercato equilibrio nel rapporto tra diritto e dovere, nel quale risiede, unicamente, il concetto, medesimo, di libertà.

Condotta che esprime favori e favorisce sicuramente, alcuni, mediante la creazione di protezioni e di privilegi. Ma crea, altresì, coazione, corruzioni, interferenze inefficienze, tensioni, criticità. E priva l’intera collettività delle acquisizioni rese possibili dalla libera esplorazione dell’ignoto (concetto relativo). Tanto da prevenire e, spesso, da inibire l’accesso alla conoscenza. Ed allo sviluppo.

Una impostazione eccessivamente “costruttivista” dell’intervento pubblico verrebbe meno a quello che possa essere l’obiettivo primario. La fine della gestione meramente politica del credito (non intesa quale mera monade materiale)(assolutismo costruttivistico). Anche se al riguardo è opportuno ribadire la funzione sociale, pubblica e condivisa degli strumenti di sostegno al reddito, quali il reddito di cittadinanza o le contribuzioni integrative.

Ciò impedirebbe le conseguenze “inintenzionali” delle azioni umane intenzionali. 

Lo stesso costruttivismo, ideologico, etico o moralistico, che contraddistingueva l’epoca, o meglio il millennio ed il secolo trascorso (assolutismo decostruttivistico), contribuiva alla eccessiva castrazione, alla denaturazione del contenuto (o del concetto) etiologico della libertà, identificata con il liberismo, poi con il liberalismo, il libertinaggio, il libero arbitrio, il libero fideismo, la libertà dai fideismi ed altro.

Il successivo decostruttivismo, ora ideologico, ora culturale ora politico, ora sociale, ora liturgico, apportava, presumibilmente, la definitiva compromissione del principio di libertà. E relegava il medesimo, ormai svincolato da ogni debito riferimento, negli ambiti delle diverse, ed ulteriori, categorie dei recenti saperi, o delle improvvise conoscenze, esponenziali; (esponenziale accelerazione delle conoscenze, sul non conoscibile), (costruttivismo relativistico).

Ad oggi, il produttore, il consumatore, l’utente, lo spettatore, il fruitore potrebbe essere vittima, o contestuale, carnefice del proprio essere, libero. Del proprio processo esistenziale. Del progetto esistenziale e di rifioritura, perché non disporrebbe degli strumenti secolarizzati. Necessari ad individuare, o meglio ad intercettare, i limiti ed i confini, oltre i quali la stessa libertà non avrebbe motivo di essere. Ora rinvigorita, ora soggiogata.

Al fine, nel processo di espansione delle “correnti di beni e di servizi”, di risorse, un flusso di beni e di servizi che vengano percepiti ed assimilati quale viatico per l’affermazione del libero individuo, permane la esigenza di dotarsi di strumenti indispensabili. Fondamentali alla massimizzazione dello stesso rapporto, sia con l’individuo multiforme della globalizzazione”, (rapporto: individuo/individui), sia con la esponenziale accelerazione della conoscenza sul non conosciuto. Sia con la tendenza alla massificazione, od al fidelismo, dei bisogni. Seppur accompagnate, filtrate, meditate, desiderate. Sia con le istituzioni complesse ed articolate.

In conclusione dinanzi alla Europa che si integra, al mercato che agisce, ai cittadini che circolano ed alle idee che si esprimono, affinché anche le istituzioni possano interagire, le tutele delle vite e delle libertà, le salvaguardie dei dispositivi di sicurezza e la messa in sicurezza dei nostri diritti, divengono priorità inderogabili, insopprimibili, personalissime, inalienabili e, soprattutto, umane; in vista di un futuro nel quale potremmo non essere più “capaci” di esprimere le nostre volontà, le nostre consapevolezze piene, di badare a noi stessi, dinanzi alle truffe ed ai soprusi dei traffici; o di interagire con le amministrazioni, che possano rappresentarci adeguatamente. E di controllare il corretto esercizio delle funzioni istituzionali.

In allegato l'articolo integrale con note


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