La questione delle concessioni balneari potrebbe collocarsi tra le previsioni del Codice dei contratti pubblici, che, da un lato, prevedono il divieto di proroga dei contratti di concessione scaduti ed escludono la prorogabilità dei contratti affidati senza procedura competitiva.
E, ciò nonostante, il diverso orientamento della giurisprudenza che esclude l’obbligo di applicazione del codice dei contratti per la speciale materia. Occorre ricordare, infatti, che si esclude l’applicabilità alle concessioni demaniali marittime della disciplina in materia di appalti pubblici, ferma restando l’esigenza di osservare il principio generale, di derivazione europea, dell’evidenza pubblica. (cfr. ex multis, per il principio, CGARS, 22 maggio 2023, n. 350; Cons. St., Sez. VI, 17 luglio 2020, n. 4610; Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2020, n. 7837; Tar Abruzzo – Pescara, Sez. I, 12 luglio 2023, n. 266).
E questo anche perché le scarne prerevisioni di procedure di evidenza pubblica del Codice della Navigazione, sono ritenute sufficienti e compatibili con gli obblighi di applicazione della Direttiva 2006/123/Ce relativa ai servizi nel mercato interno.
Invero, secondo la univoca giurisprudenza amministrativa di vertice, “il modello procedimentale previsto dagli artt. 37 Cod. nav. e 18 reg. att. […] soddisfa gli obblighi di trasparenza, imparzialità, rispetto della par condicio e confronto concorrenziale, attraverso il meccanismo pubblicitario e gli oneri istruttori e motivazionali” (Cfr. Cons. Stato, 9 dicembre 2020, n. 7837: sul principio, da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, 30 novembre 2023, n. 10378, Comune Castiglione della Pescaia, che conferma TAR Toscana, n. 1340/2021; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 7 maggio 2024 n. 576). Il principio è stato di recente ribadito, pur in presenza delle note decisioni dell’Adunanza Planaria 17 e 18 2001 e della CGUE, da Cons. Stato, Sez. VII, n. 10378/2023 citata. Il numero non elevato di sentenze è dovuto al fatto che, in realtà, pochi comuni hanno fatto applicazione delle citate disposizioni del Codice della navigazione, pretendendo di adagiarsi sulle proroghe automatiche, con gli esiti infausti che stiamo osservando).
La proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative è in contrasto con il diritto Ue e le norme legislative nazionali che la dispongono (e che in futuro dovessero ancora disporla) non devono essere applicate né dai giudici, né dalle pubbliche amministrazioni.
La necessità di svolgere le gare è stata più volte affermata dalla giurisprudenza nazionale ed europea: la Corte di giustizia dell’Ue, sez. terza, con sentenza del 20 aprile 2023 (causa C-348/22), ha ribadito l’obbligo di gara discendente dall'applicazione dell'articolo 12 della Direttiva n. 123/2006. L’ articolo in parola dispone che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.
Nel mese di agosto 2024, anche l'Autorità per la tutela della concorrenza e del mercato ha ribadito “l’importanza del ricorso a modalità di assegnazione competitive delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l'esercizio delle attività turistico ricreative e sportive, evitando ulteriori proroghe e rinnovi automatici.
Se, da un lato, gli Stati membri conservano un certo margine di discrezionalità, che si può concretizzare a monte delle scelte di adottare disposizioni destinate a garantire concretamente l'imparzialità e la trasparenza di una procedura di selezione, dall’altro, detta discrezionalità non può legittimare affidamenti diretti.
Gli stessi margini di discrezionalità, nell’ambito dei quali occorre valutare l’interesse pubblico rilevante, si potrebbe giungere ad ipotizzare che escludere che alcuni tratti di costa non siano beni economici, ma servizi non economici di interesse generale, decidendo di non affidarli necessariamente a soggetti privati imprenditoriali (il diritto Ue interviene solo ove lo Stato decida di affidare i beni ai privati per finalità economiche)?
Non potrebbe l’interesse pubblico anche essere rappresentato quale interesse paesaggistico a mantenere liberi tratti di costa di singolare bellezza rimasti non edificati ovvero come interesse pubblico all'accesso della popolazione al mare gratis per scopi di benessere e tutela della salute?
Quali margini di apprezzamento conserva dunque lo Stato (e gli enti territoriali) al fine di tutelare l’interesse pubblico, che risulta spesso trascurato e dimenticato o, peggio, secondario rispetto alle “esigenze del mercato"?
Nei giorni scorsi, è stata presentata una proposta parlamentare secondo la quale si ricorrerebbe allo schema giuridico del partenariato pubblico-privato, attraverso il quale “vincolare i titolari delle concessioni, altrimenti chiamati a gare pubbliche, a rispettare l’impegno di realizzare opere d'interesse per la comunità, per esempio quelle per la tutela e sostenibilità ambientale.”
Lo schema giuridico del PPP contempla una gamma di diversi strumenti applicativi, tra cui rientrano anche le attuali concessioni (alcune amministrazioni comunali hanno in questi mesi adottato specifici regolamenti per disciplinare le “nuove” concessioni balneari). Per vero, alla luce del d. lgs. n. 36/2023, i bandi pubblici potrebbero essere incentrati su un maggiore equilibrio finanziario (canoni concessori aumentati in linea con i valori di mercato) e una più attenta selezione di clausole sociali o ambientali (sempre a tutela del pubblico e/o delle fasce più deboli della popolazione). Accanto ai PPP di natura contrattuale, possono costituirsi società cd. miste pubblico-private, il cui operatore economico è selezionato sulla base di una procedura definita a doppio oggetto (PPP di natura istituzionalizzata). Muovendo dall’esigenza di esperire procedure ad evidenza pubblica di natura competitiva, i diversi modelli di PPP (rafforzati nell’attuale versione del Codice dei contratti pubblici) potrebbero, almeno in linea teorica, essere utilizzati. Essi presentano l’indubbio vantaggio di “funzionalizzare” l’apporto del/i soggetto/i economici, che non dimentichiamo devono sopportare una parte significativa del rischio connesso all’attività da svolgere, al perseguimento di un interesse di rilevanza pubblica.
Ma è possibile ipotizzare di ricorrere anche agli strumenti giuridici di natura cooperativa previsti dal Codice del Terzo settore? Può un ente locale stabilire percorsi di co-programmazione e di co-progettazione con gli Enti del Terzo settore per definire interventi e azioni che prevedano un utilizzo del demanio marittimo funzionale al perseguimento di finalità sociali, di inclusione socio-lavorativa ovvero di tutela ambientale?
Le attività sopra richiamate potrebbero invero rientrare tra quelle indicate, rispettivamente, nell’art. 2, d. lgs. n. 112/2017 e 4, d. lgs. n. 117/2017 (interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio).
Come è noto, gli istituti giuridici collaborativi permettono all’ente pubblico di coinvolgere in modo attivo gli ETS, che possono rappresentare componenti imprenditoriali, organizzazioni di advocacy e di tutela di interessi diffusi, nonché le forme di rappresentanza della cittadinanza attiva.
Sotto il profilo più strettamente giuridico-amministrativo, come confermato nella nota sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020, regole della concorrenza e istituti giuridici cooperativi devono considerarsi, ancorché rispondenti ad obiettivi diversi, equiordinati tra loro.
Da ciò discende che, in forza della discrezionalità amministrativa di cui le pubbliche amministrazioni sono dotate, gli enti territoriali possono prendere in considerazione le finalità, gli obiettivi, le attività, le modalità di svolgimento delle stesse e sulla base di valutazioni e ponderazioni attente e approfondite decidere in merito a quale procedura risulti più funzionale al perseguimento e allo svolgimento delle finalità e delle attività individuate.
Quanto sopra brevemente descritto dovrebbe far concludere che la gestione del demanio non può essere ricondotta soltanto all’obbligo (o meno) di fare le gare. Essa dovrebbe invece essere collocata nell’alveo del buon andamento nella gestione dei beni pubblici, così da superare la (ormai per molti versi anacronistica) contrapposizione tra “pubblico” e “privato”. Su questo specifico aspetto, gli enti locali (i quali, secondo le ultime indiscrezioni di stampa, potranno avviare le gare anche prima della ipotizzata scadenza del 2027) possono invero “fare la differenza”.
In quest’ottica, le procedure possono infatti aiutare a “centrare” l’obiettivo pubblico che si intende perseguire.
(Desidero ringraziare l’arch. Alberto Bagnolini e il prof. Diego de Carolis per i loro commenti e suggerimenti)