Famiglia, relazioni affettive  -  Redazione P&D  -  11/11/2022

Bimbi incontrano il padre violento, l'Italia condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani

Bimbi incontrano il padre violento, l'Italia condannata dalla Corte europea dei diritti umani

E' stato accolto il ricorso dell'avvocatessa dell'associazione Differenza Donna: "I tribunali civili italiani hanno turbato l'equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, costretti ad incontrare l'uomo in un ambiente in cui non è stata garantita loro protezione"

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La Corte europea dei diritti umani ha accolto il ricorso della avvocatessa Rossella Benedetti dell'ufficio legale di Differenza Donna per una donna seguita dal centro antiviolenza Casa rifugio Villa Pamphili di Roma Capitale; l'Italia è stata condannata per aver violato l'articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e non protetto i figli minorenni della donna costringendoli per tre anni ad incontrare il padre accusato di maltrattamenti e nonostante lo stesso continuasse ad esercitare violenza e minacce durante gli incontri protetti disposti dal Tribunale.

La Cedu - che è la Convenzione europea dei diritti umani sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 dai paesi appartenenti al Consiglio d'Europa, con oggetto la salvaguardia dei diritti umani  e delle libertà fondamentali - ha rilevato come i tribunali civili italiani, con le loro sentenze, abbiano turbato l'equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, costretti ad incontrare il padre in un ambiente in cui non è stata garantita loro protezione. In tal modo non hanno agito nell' l'interesse superiore del minore. Un interesse disatteso, dice la Corte, in quanto non protetti dalla violenza che il padre continuava ad esercitare anche durante gli incontri.

La Corte Edu ha condannato l'Italia per la prassi diffusa nei tribunali civili di considerare le donne vittime di violenza domestica che non adempiono all'obbligo di effettuare gli incontri dei figli con il padre e che si oppongono all'affidamento condiviso,  quali genitori "non collaborativi" e quindi "madri inadatte" meritevoli di punizione. La Corte Edu ha quindi riconosciuto che il comportamento protettivo della madre sia stato l'unica modalità adeguata a tutelare "l'interesse superiore dei bambini".

 




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