Deboli, svantaggiati  -  Elvira Reale  -  24/11/2022

25 novembre 2022: le donne vittime di violenza e le distorsioni dei tribunali

Quanto emerge dall’inchiesta della Commissione Femminicidio al Senato (1)

Per dire stop al femminicidio sono  necessarie le implementazioni  di misure specifiche (come il braccialetto elettronico per i violenti, l’obbligo del gratuito patrocinio per le vittime, e altro come indicato nella relazione agli atti del Senato) ma soprattutto occorre incidere sui tribunali civili e per i minori per renderli consapevoli e responsabili  dei danni che procurano alle donne vittime di violenza maschile (vittimizzazione secondaria) quando decidono dell’affido dei figli minori in modo penalizzante per loro.

L’inchiesta sulla vittimizzazione secondaria della Commissione femminicidio della legislatura uscente, ha voluto focalizzare l’attenzione su questo fattore di rischio per il femminicidio: la violenza post-separativa (presente per il 55% dei casi e oltre nel rischio femminicidio nelle indagini nazionali e internazionali) e l’uso strumentale dei figli da parte dei padri violenti nelle aule dei tribunali. Le donne infatti oggi più di ieri temono i tribunali e le loro sentenze così poco favorevoli alle vittime; preferiscono quindi non denunciare i partner sottoponendosi poi a rischi gravi per la salute e per la vita.

Le paure delle donne vittime di violenza sono fondate. Questo è quanto  emerge dall’inchiesta sia quantitativa (su circa 1200 fascicoli statisticamente rappresentativi sul territorio nazionale di separazioni e affidi giudiziari) sia qualitativa (su 36 casi speciali analizzati) che ci conferma che la violenza, sottoforma di allegazioni, pur presente nel 34% dei casi circa, sia nei tribunali ordinari che minorili, non viene presa in considerazione e le denunce sono spesso archiviate. Per di più nella generalità dei casi il contesto della violenza viene trasformato in conflittualità reciproca con posizioni e responsabilità ingiustamente paritarie tra i due genitori nei confronti dei figli.

I tribunali civili e minorili in presenza di allegazioni di violenza (referti, denunce, testimonianze) non procedono secondo quanto indicato dalla Convenzione di Istanbul art. 31, rifugiandosi arbitrariamente nel costrutto della conflittualità (che cerca così di eludere il rispetto della Convenzione stessa) e concedono di default l’affido condiviso con visite per i padri, nella maggioranza dei casi, libere o protette per brevissimi periodi.

L’affido condiviso è la prima sconfitta della lotta alla violenza contro le donne madri; esso nega la realtà della violenza denunciata. L’affido condiviso è anche l’omaggio a un male inteso diritto alla bigenitorialità come diritto primario, che non contempla l’interesse superiore del minore (rivolto prima alla sua sicurezza e alla sua salute). 

L’affido condiviso quando c’è violenza è insostenibile: rimette in relazione vittima e carnefice, minando la sicurezza di donne e bambini. Esso ha poi come esito una serie di ricorsi che conducono ad un altro step dell’iter giudiziario: la valutazione delle competenze genitoriali di madre e padre che sono considerati  , una volta espunto il contesto della violenza, parimenti responsabili di una situazione di conflittualità. Destinatari delle richieste di valutazione sono, nella maggioranza dei casi, gli/le operatori/trici dei servizi sociali e sanitari, e in parte minore i/le consulenti tecnici (le CTU sono richieste nel 17,8% dei casi nei tribunali civili e nel 2.3% nei tribunali per i minorenni). 

Nella maggior parte di queste valutazioni, sia di servizi sia di consulenti tecnici, troviamo come criterio fondativo della buona genitorialità il criterio dell’accesso, ovvero il costrutto che definisce genitore migliore e più competente quello che facilita la relazione del bambino con l’altro genitore, favorendo e applicando al meglio il principio della bi e co-genitorialità.

E’ di tutta evidenza che una donna vittima di violenza, e con figli vittime di maltrattamento assistito , non possa avere questo atteggiamento definito di friendly parenting e pertanto, in mancanza di riconoscimento di un contesto di violenza familiare, sarà considerata negativamente nella sua competenza genitoriale e sottoposta, nella maggioranza dei casi, a misure restrittive di vario genere quali, come minimo, la limitazione della responsabilità genitoriale con affido e monitoraggio dei servizi sociali.

In una quota minore di casi, le donne vittime di violenza patiscono anche l’allontanamento del figlio con il collocamento presso il padre o in una struttura: 7,63% di casi delle vittime che denunciano nei tribunali civili e nel 2% dei casi nei tribunali per i minori, dove poi è più alta la quota di donne limitate e sospese dalla responsabilità genitoriale (23,7%).

Tra gli strumenti adottati nei tribunali per giustificare l’allontanamento dei figli dalle madri,  vi è la teoria ascientifica della PAS, o altri costrutti similari, tutti orientati a valutare pregiudizialmente il rifiuto del minore verso il padre, non come effetto della violenza sulla loro madre (maltrattamento assistito), ma come prodotto del comportamento di manipolazione mentale della madre, la quale avrebbe interesse ad alienare il figlio per motivi di vendetta (madre malevola e vendicativa) o a tenerlo legato a sé (madre simbiotica). Sottolineiamo, come hanno detto le sentenze di cassazione (7041/13; 9691/22) che teorie ascientifiche non possono abitare le aule dei tribunali e guidare l’esito dei processi; in più ricordiamo che la manipolazione mentale non può essere introdotta in campo giudiziario perché indimostrabile, come affermato dalla Corte Costituzionale (sent.96/81); inoltre rimanendo nel solo campo della ricerca psicologica senza aspirazioni forensi, la manipolazione mentale non è contemplata tra i fattori che incidono sul maltrattamento all’infanzia, al contrario è proprio la violenza assistita a costituire la seconda causa di maltrattamento all’infanzia dopo l’incuria (2). Di questo dato gli psicologi clinici e forensi dovrebbero tenere conto quando scartano  come ipotesi di maltrattamento ai minori quella più frequente rispetto ad altre.

La valutazione di alienazione/manipolazione del comportamento materno, spesso attribuito ad un disturbo inesistente nel suo profilo di personalità(3), comporta l’allontanamento urgente dalla madre considerata pericolosa per il figlio. Questo intervento di allontanamento altro non è che la misura consigliata dai tecnici che condividono la teoria della PAS (nonostante sia censurata dalla comunità scientifica e ultimamente anche dal Parlamento Europeo(4)) e applicano il suo trattamento, anch’esso privo di scientificità come la teoria di riferimento; si tratta del trattamento che ha per oggetto  i minori cd. ‘manipolati e alienati’ che va sotto il nome transitional site program(5).  

L’allontanamento è più spesso praticato in modo  forzoso e traumatico e per la madre ed il figlio, con impiego delle forze dell’ordine, che utilizzano la forza fisica prelevando anche di peso il bambino e usando violenza contro la madre che si interpone a difesa del figlio. Sono scene raccapriccianti testimoniate da video prodotti sia dalle FFOO che dai familiari delle vittime; il video più diffuso tra questi, e anche forse il primo che scosse l’opinione pubblica, riguarda il prelievo forzoso del bambino di Cittadella nel 2012. Questa modalità di impiego della forza sui minori è stata indicata, dall’Ordinanza di cassazione 9691/22, come “fuori dello stato di diritto”.

Una volta allontanato il minore, la madre è tenuta lontana dal figlio anche anni ed anni. Ciò accade soprattutto se i servizi, una volta allontanata, la valutano ancora come potenzialmente alienante perché considera il padre di suo figlio ancora pericoloso e violento. Alla fine questo percorso giudiziario - partito dal non riconoscimento della volenza e dall’obiettivo improprio, nei casi di violenza,  di raggiungere la bigenitorialità cambiando di collocamento il minore dalla madre al padre, adottando metodi traumatici e illegali (cass. 9691/22) - non ottiene il risultato preventivato di una ritrovata bigenitorialità dopo la separazione, ma solo il passaggio da una monogenitorialità materna ad una monogenitorialità paterna, senza che nessuno però conosca i danni che tale passaggio traumatico ha comportato per il minore o che abbia raccolto il suo grido di aiuto e il suo non consenso all’allontanamento dalla madre.

 La voce del minore è quasi sempre inascoltata e i dati raccolti nell’inchiesta ci dicono che: nel 66,6% casi non viene disposto dai giudici del Tribunale per i minorenni l'ascolto del minore sul suo futuro, sul suo affido e sulla sua collocazione, neanche se la violenza lo riguarda direttamente; quando poi l’ascolto avviene (30,8% dei casi), esso viene delegato nell’85,4% dei casi al tecnico nominato e ai servizi sociali. Solo nel 7,8% dei casi il giudice ha parlato con i bambini.

Questi risultati di sintesi dell’Inchiesta ci dicono che: occultare/nascondere intenzionalmente, per pregiudizio o per mancanza di formazione la violenza maschile sulle donne porta ad una grave distorsione del procedimento giudiziario. 

A queste prassi distorte la Commissione ha già dato una prima risposta, con il suo intervento nella riforma Cartabia (ex art. 1 comma 23; L. 206/21; Dlg.10 ottobre 2022, n. 149) introducendo nel corpo della riforma alcune importanti innovazioni che si possono ricomprendere in una sezione dedicata alla violenza di genere sulle donne: CAPO III - Disposizioni speciali - Sezione I: “Della violenza domestica o di genere” Art. 473-bis.40/46. In questa sezione fa ingresso per la prima volta la tutela della sicurezza di donne e minori nel rispetto della Convenzione di Istanbul. Si introduce nella fase istruttoria l’obbligo di valutare le allegazioni di violenza per dare le prime risposte nel solco giusto della tutela delle donne e dei figli minori da anteporre alla regola dell’affido condiviso desunta dalla legge 54/06 (anch’essa interpretata in modo distorto, in quanto non ha mai previsto di anteporre la bigenitorialità all’interesse superiore del minore, quando ad esempio la presenza di un padre che fa violenza alla madre costituisce un pregiudizio per la salute e la vita stessa dei figli). Inoltre fa divieto di mediazione familiare nel rispetto dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul (art.473-bis.43) e pone come centrale l’ascolto diretto del minore da parte del giudice (art. 473-bis.45).

Altre risposte alle distorsioni psico-giudiziarie sono racchiuse nelle raccomandazioni finali della Commissione.

  • Una formazione obbligatoria per rendere le specializzazioni sulla violenza concrete e affidabili. La formazione prima di tutto per gli operatori della giustizia presenti in tutti i gradi del percorso giudiziario, compresi i giudici di cassazione. E poi una formazione che si auspica sempre obbligatoria per i professionisti che si occupano di minori: psicologi, assistenti sociali, avvocati. 

  • L’esclusione per la valutazione delle capacità genitoriali di riferimenti a costrutti ascientifici e a diagnosi non asseverate, ovvero non desunte da un valido percorso diagnostico definito e condiviso dalla comunità scientifica e comunque non direttamente incidenti sulla capacità genitoriale, con espressa esclusione di ogni riferimento e utilizzazione della cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS) o alienazione parentale (AP) ovvero costrutti analoghi. Corollario di tale raccomandazione è l’esclusione di ogni forma di percorso o trattamento ispirati a tecniche di decondizionamento/condizionamento nei confronti di minori. 

  • L’elaborazione di richieste e di quesiti uniformi da utilizzare nel conferimento da parte dei giudici, di incarichi ai servizi socio-assistenziali e ai consulenti tecnici d’ufficio, che siano specificamente redatti con occhio rivolto  alle ipotesi di violenza domestica e assistita, e con esclusione, in questi specifici casi, del riferimento al cosiddetto « criterio dell’accesso» come elemento di valutazione della competenza genitoriale.

  • In riferimento ai prelievi coattivi con il ricorso alla forza pubblica: 

introdurre disposizioni che disciplinino l’esecuzione dei provvedi menti di affidamento e collocamento dei minori con espresso divieto di disporre il prelievo forzoso dei minori al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso (esempio: abbandono del minore in situazione di imminente pericolo per la vita e la salute);

istituire con urgenza una commissione interministeriale (Ministero della giustizia e Ministero della salute) che esamini l’attuale condizione di tutti i minori allontanati coattivamente dalla loro abitazione, valutandone le conseguenze e gli effetti sui minori stessi e sul genitore dal quale sono stati forzatamente allontanati.

  • Ampliamento dei requisiti di accesso al patrocinio a spese dello Stato, in analogia a quanto previsto per i procedimenti penali.


 1. Relazione sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affida-mento e la responsabilità genitoriale https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1349605.pdf

https://webtv.senato.it/leg18/4623?video_evento=240595

2. Seconda Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia realizzata da Terre des Hommes e CISMAI, 2021 (rilevazione 2018)

3. Cfr “La vittimizzazione secondaria di una madre: l’Ordinanza di Cassazione n. 26279/22” in Persona e Danno

https://www.personaedanno.it/articolo/la-vittimizzazione-secondaria-di-una-madre-lordinanza-di-cassazione-n-26279-22

4. Risoluzione del Parlamento europeo del 6 ottobre 2021 sull'impatto della violenza da parte del partner e dei diritti di affidamento su donne e bambini (2019/2166(INI))

5. Gardner, R. (2001) Should Courts Order Pas Children To Visit/Reside With The Alienated Parent? A Follow-Up Study, The American Journal of Forensic Psychology, 19(3):61-106

In allegato l'articolo integrale


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