Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Claudia Trani  -  03/01/2023

Violenza verbale e il fascino del carnefice

Recenti ricerche criminologiche hanno dato particolare attenzione agli ambienti sociali in cui più frequentemente si assiste ad un abuso di violenza sia psicologica che verbale e fisica.

I luoghi in cui si verificano tali fenomeni sono gli ambienti tradizionali della famiglia, della scuola e del lavoro.

Si tratta di realtà violente fatte di percosse fisiche, visibili, attestabili che possono sfociare  nella morte della vittima.

Più raramente ci si ferma a riflettere su tutte quelle forme di abusi e maltrattamenti invisibili che portano ad una forma subdola di crudeltà, fatta di parole violente e minacce che annientano la vittima interferendo nella vita, nel suo orgoglio di persona,  provocando penetranti ferite psicologiche dure a guarire.

Le parole sono uno strumento di potere e, con la costruzione delle frasi, si orienta l’interpretazione di chi le ascolta, decidendo di rappresentare la realtà come fa più comodo: “una parola, dopo una parola, dopo una parola è il potere”(Margaret Atwood).

Viene spontaneamente da chiedersi se di questa umanità violenta fanno parte solo i folli.  Ponti e Fornari nel libro “Il fascino del male”, dopo aver esaminato gli autori di tre delitti eclatanti (Luigi Chiatti – il mostro di Foligno, Marco Bergamo – il mostro di Bolzano, Giancarlo Giudice – il mostro di Torino) lo escludono, affermando che sono semplicemente uomini i quali liberamente e consapevolmente hanno scelto il male.

L’espressione crea l’interpellato e se il linguaggio usato è ingiurioso ed offensivo, si esercita un potere sulla vittima che è quello di sminuirla e svilirla e, nel momento dell’ascolto, si sentirà socialmente inadeguata. Tant’è che la filosofa Judith Butler, nella sua lotta da femminista e scrittrice attiva, ha affrontato spesso il problema del linguaggio sia verbale che corporeo e del vuoto che riesce a creare, affermando, con un’osservazione profonda, che “le parole ti fanno stare al proprio posto” ed è il mezzo più spesso usato in maniera malevola verso la donna (considerata estremamente fragile e condizionabile). La stessa studiosa ha anche aggiunto che il linguaggio può ugualmente funzionare in positivo e “mettere al proprio posto” la persona.

La società attuale si identifica proprio per la quantità di bravi parlatori che facilmente seducono e sono grandi affabulatori di parole vuote e ingannatrici.

Ci si domanda il perché di questo “vuoto espressivo” e forse la risposta la si può trovare nell’opera Parole e Amore di F. Ebner e nel suo convincimento che la “parola umana, vera e solidale, che sa farsi dono, è capace di dire e di essere amore” in qualunque situazione: nel fallimento come nel semplice insuccesso, ma il parlatore dovrà dapprima accantonare ogni forma di emozione e sentimento, di egoismo ed egocentrismo, lasciando spazio a quella che Baron-Cohen (in la Scienza del male) chiama double-minded, ovvero il potere di concentrarsi con attenzione doppia che permette di entrare in empatia con l’altro, ascoltare, valorizzare e rispettare i pensieri e i sentimenti dell’altro. Se invece ci si trova di fronte ad una persona “single-minded” la sua attenzione sarà concentrata solo su sé stesso e l’empatia “si spegnerà” facendo perdere la consapevolezza del SE’ e del mezzo che gli permette di vedersi dentro. Preverrà l’egoismo e l’egocentrismo favorendo la supremazia della violenza.

L’intento del manipolatore malvagio è di “trasformare le persone in oggetti” di sua proprietà da usare come e quando desidera, senza nutrire alcun sentimento compassionevole verso la vittima ma solo consapevole di esercitare un fascino malevolo.

Tuttavia, può accadere (più raramente) che il carnefice sia mosso da un desiderio di proteggere la fragilità della controparte, da lui deumanizzata proprio per soddisfare il desiderio di protezione della persona forte.

Nonostante tutte le diverse e numerose considerazioni, il male affascina perché il male è presente in tutti noi in maniera similare, con la differenza che lo psicopatico-criminale si attiva per compierlo, la persona comune invece lo reprime e, se perseguitato, lo subisce.

Il perverso-violento dimostra di sapere tanto più della sua vittima e glielo fa capire con fiumi di parole seducenti e ingannatrici, usa la strategia del gaslighting fino a farla dubitare della realtà dei fatti e dei suoi pensieri, a disgregarla dalla famiglia e dalle amicizie in modo da controllare totalmente la sua vita.

Tutto ciò porta a considerare che il fascino esercitato dal male sia assimilabile al rapporto esistente tra il potere e la morale, dove il potere ha il sopravvento mentre il timore del fragile di perdere il sostegno esterno o di essere abbandonato lo motiva ad arrendersi all’altro e ad esserne dipendente, quasi a sfidare sé stesso.

E’ stato riscontrato che in certe situazioni il “male”, inteso come comportamento violento, può essere originato da un’attrazione al crimine per soddisfare le proprie pulsioni, frustrazioni ambientali e familiari ed in particolare per colmare l’assenza di prospettive positive (sensazioni comuni ad entrambe le parti) che rappresentano l’immaturità nel sopportare la propria delusione.

Si tratta dell’incapacità di convogliare i nostri impulsi psicologici e psichici verso ideali socialmente accettati anziché verso i primordiali istintivi violenti, motore dell’azione malevola.




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