Nella legislazione italiana , così come in nessuna delle previsioni delle Nazioni Unite, è rinvenibile una definizione precisa del terrorismo e, solo nel 1978 viene inserito nel codice penale l’art.289 bis, che punisce il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione. Si ricorre pertanto al reato di associazione sovversiva (art.270 ), alla propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale (art.272), all’insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art 284), alla cospirazione politica mediante accordo( art 304), alla banda armata: formazione e partecipazione (art 306) previsti dall’allora codice penale. Ma questi articoli si ponevano in contrasto con la carta costituzionale ed in particolare con la garanzia della libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, tant’è che alcuni terroristi furono assolti in appello e in Cassazione.
In Italia, durante gli anni di piombo, periodo storico che va dagli anni ’60 agli anni ’80, ed in particolare dopo il sequestro dell’on. Moro, si è sentita la necessità di inserire nel nostro codice penale l’art. 289 bis dove al 1° comma si leggeva “Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, sequestra una persona è punito con la reclusione da 25 a 30 anni”.
Nel 1980 viene ulteriormente novellata la materia introducendo il reato di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico tramite l’art.270 bis c. p., in cui la finalità di terrorismo è elemento costitutivo del reato ed è oggetto di dolo specifico e non più di pericolo presunto (il pericolo è la ragione dell'incriminazione e non un elemento costitutivo del reato).
Gli atti terroristici del settembre 2011 hanno inoltre dato una forte spinta al nostro legislatore con la previsione del reato di terrorismo internazionale, con particolare riguardo ai connessi reati finanziari.
E’ l’Europol che nel 2007 dà una definizione più precisa del terrorismo, ovvero il terrorismo non è un’ideologia o un movimento, ma una tattica o un metodo per raggiungere obiettivi politici.
Questa specifica è importante perche, al di là delle credenze comuni, il terrorismo moderno è un metodo di comunicazione violenta che trasmette in maniera spettacolare un messaggio dove l’attentato e la vittima non sono il fine. Lo si vede in modo chiaro nella violenza che si è diffusa nel mondo arabo-islamico quale reazione alla supremazia dell’occidente.
Già trent’anni fa il prof. Ferracuti affermava che l’azione terroristica è, per chi la compie, un’autogiustificazione necessaria per fugare la riconducibilità dell’agìto a bisogni pulsionali personali, dando invece preminenza a presunti e superiori significati collettivi, sociali ed ideologici.
Si desume pertanto che il terrorismo è criminologico e come tale va indagato tra gli individui operanti in clandestinità o sotto copertura all’interno di gruppi con l’intento comune di colpire un bersaglio in maniera eclatante.
A tal proposito, si rileva che la differenza che intercorre tra terrorismo e lotta armata (violenza politica): di quest’ultima ne fanno parte coloro che agiscono a “viso aperto” quando non trovano alternative diverse per affermare l’ideologia di appartenenza, mentre, ad un’analisi criminologica, il terrorista non è visibile, vive in anonimato, è una persona qualunque che può o meno far parte di un gruppo che agisce in clandestinità, evitando meticolosamente intercettazioni, pedinamenti, ecc. In generale risulta essere una persona stressata, che conduce una doppia vita perché da un lato ha un lavoro stabile, è sposato, ha figli, genitori a carico ecc., dall’altro si assume l’impegno di organizzare o partecipare ad atti violenti.
La maggior parte dei criminali arrestati in Europa sono uomini di età compresa tra i 20 ed i 60 anni, per lo più cittadini dei paesi in cui sono stati arrestati ed in possesso di beni atti a facilitare l’azione violenta, catturati perché lo stress a cui sono sottoposti comporta inevitabilmente alla commissione di errori.
Ricordando i tre pilastri della criminologia ovvero quello della psichiatria, quello giuridico e quello psico-sociologico, oggi si può ben parlare di riscaldamento cognitivo (in ambito sociologico) che altro non è se non un disorientamento del pensiero: gli effetti e gli stimoli psicologici della persona vengono da essa percepiti in maniera distorta creando una propria realtà soggettiva dove la vittima viene degradata a simbolo.
La spettacolarizzazione del gesto è la ricerca di una soddisfazione propria e, di conseguenza, il terrorismo muore quando non se ne parla più, quando l’azione non fa più scalpore.
Lo stesso Alfredo Maria Bonanno, teorico anarco-insurrezionalista degli anni ‘70/’80 , considerato tra i maggiori teorici dell’anarchismo italiano, in “Teoria pratica dell’insurrezione” scrive che …. “ non bisogna dimenticare l’effetto di riproduzione che l’atto insurrezionale possiede …”.
La diffusione del gesto trova nei mass-media la sua più alta divulgazione e la caratteristica del successo o insuccesso dell’atto stesso, è la capacità illimitata di raggiungere il mondo che decreta la riuscita della violenza terroristica, oltrepassando tutti i tipi di barriere e, purtroppo, incentivando anche emulazioni.
In tutto questo, si ritrova un diritto penale indebolito, non più garantista ma percepito come un sistema inadeguato che chiede pene esemplari nell’illusione che esse possano garantire un sistema di sicurezza ai cittadini. Ma è il sistema sociale che deve essere indagato per capire il singolo, la fragilità emotiva delle persone, la loro facile manipolazione e i conseguenti comportamenti criminali, non è solo l’inasprimento delle pene che guarirà la società, non è il diritto positivo che può far fronte alla recrudescenza del terrorismo, forse si potrebbe pensare alla rinascita di un giusnaturalismo in chiave moderna che tiene conto, come affermato da Hobbes, che la “natura umana è sostanzialmente competitiva ed egoista”.