1.Ci avviciniamo al termine di questo inquadramento preliminare dei temi della giustizia, svolto alla luce di una impostazione che si pretende nuova e comunque non consueta, illustrata nel contributo introduttivo. Dopo aver esaminato, nel secondo contributo, le dinamiche assunte nel nostro Paese dal rapporto tra politica e giustizia, pare doveroso in questo momento storico tenere conto delle importanti novità intervenute in questa legislatura, ovvero le riforme già approvate della giustizia penale, della giustizia civile e - da ultimo - dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Non è casuale che nell’arco di pochi mesi il Parlamento italiano abbia licenziato testi di riforma che interessano gli aspetti dominanti e nevralgici del sistema giustizia ( almeno della c.d. giustizia ordinaria ), poiché l’occasione è stata data dalla disponibilità di ingenti fondi europei ( c.d. Recovery Fund ), condizionati però - tra le altre cose - da una sensibile riduzione dei tempi della giustizia italiana ( cfr. Gaetano Azzariti, “ Parlare di giustizia “, in Politica del diritto n. 4/2021, p. 517 : “ Il fattore esterno è ben noto : tra le condizioni per poter utilizzare i fondi europei per la ripresa ( Recovery fund ) il nostro Paese si è impegnato a ridurre i tempi della giustizia. Una diminuzione assai significativa : 40% per il processo civile, 25% per quello penale. E’ evidente che per conseguire un tale risultato non basta agire sui termini, ma si tratta di ripensare per intero i processi, il loro andamento, l’assetto della giustizia nel suo complesso. “ ).
La riduzione dei tempi della giustizia civile e penale, ecco l’obiettivo di fondo di questi interventi di riforma ( almeno di quelli sul processo civile e penale ) : non è certo una questione nuova quella della eccessiva durata dei nostri processi, nonostante che dal 1999, con la modifica dell’art.111 Cost., sia un obbligo costituzionale quello di assicurare la “ragionevole durata “ di ogni processo. Ora la particolare contingenza storica sopra accennata, però, impone di accelerare e concentrare gli sforzi per raggiungere questo difficile obiettivo : in un certo senso, ce lo chiede l’Euro pa, l’Unione Europea.
L’occasione è dunque, nel contempo, propizia e decisiva : ne deriva l’immagine ( e non solo l’immagine ) dell’Italia nel contesto europeo e, insieme, l’assetto della nostra giustizia, che si è già detto non essere, a tutt’oggi, particolarmente brillante e soddisfacente.
Si deve passare ad esaminare, naturalmente in modo sintetico, gli interventi di riforma in questione : il compito non è facile, dato che occorre “ una riflessione ad ampio spettro “, anche perché “ ampio è lo spettro delle riforme in discussione “ ( G. Azzariti, op. cit.,
p. 517 ).
2. Cominciamo dalla riforma della giustizia penale, la prima intervenuta in ordine di tempo
( legge 27 settembre 2021, n.134, che reca il titolo “ Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari “ ). La legge in esame si compone di due articoli, il primo ( art. 1 ) che prevede una serie di deleghe al Governo e il secondo ( art. 2 ) che contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive ( cfr. Armando Spataro, “ La riforma del processo penale ( legge 27 settembre 2021, n.134 )”, in Politica del diritto n.4/2021, p. 643 ). Già da un esame sommario del testo legislativo ci si avvede che esso ha un esteso raggio di azione, non limitato agli aspetti processuali ma relativo anche agli aspetti sostanziali ( cfr. Francesco Palazzo, “ Prima lettura della riforma penale : aspetti sostanziali “, in Politica del diritto n.4/2021, p. 626, secondo il quale si tratta di “ una riforma quantitativamente imponente, che opera su una molteplicità di fronti, anche organizzativi e strutturali “, nonché Massimo Donini, “ Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità “, in Politica del diritto n.4/2021, p. 593, secondo il quale “ L’intreccio tra diritto sostanziale e processo rimane il tratto più evidente che esprime lo spirito complessivo della riforma…” ).
Di fronte a questa evidente ampiezza dell’ambito di applicazione della riforma penale, sottolineata da autorevoli penalisti, stupisce che il dibattito politico e giornalistico si sia concentrato su una sola questione, pur rilevante, cioè quella della prescrizione e dell’improcedibilità, peraltro in termini astratti e sostanzialmente ideologici, con la forzata contrapposizione tra “giustizialisti” e “garantisti “ ( cfr. G. Azzariti, op. cit., p.515 ). Ma tanto è : le polemiche e il dibattito mediatico sui temi della giustizia, nel nostro Paese, sono molto spesso dominate da impostazioni ideologiche, che snaturano e falsano i termini reali delle questioni ( a cui contribuiscono talvolta, sia detto per inciso, anche professionisti della giustizia ).
Ciò detto, vediamo quali sono, esemplificativamente, alcuni dei “molteplici fronti “ sui quali opera la riforma in questione : digitalizzazione e processo penale telematico, previsioni finalizzate a garantire maggiore selettività nell’esercizio dell’azione penale e nell’accesso al dibattimento, interventi sulla durata delle indagini preliminari e sull’iscrizione della notizia di reato, attribuzione al Parlamento della individuazione con legge dei “criteri di priorità” per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, incentivazione del ricorso ai riti speciali del patteggiamento, del giudizio abbreviato, etc. ( cfr., per una puntuale elencazione, A. Spataro, op. cit., p. 645 e ss. ). Ancora, sul terreno del diritto penale sostanziale, spiccano gli interventi sul sistema sanzionatorio, oggetto di delega al Governo, con la modifica della disciplina delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa ( art. 1 commi 17 e 18 l.134 / 2021 ). Questi interventi sono tutt’altro che marginali o di trascurabile portata : infatti, con riguardo alla modifica delle sanzioni sostitutive si è rilevato che “ Quando il giudice può decidere in primo grado considerando a quale tipo di esecuzione destinare la persona che condanna, almeno nei limiti delle sanzioni sostitutive ( fino a quattro anni di pena detentiva applicata ), le strategie sanzionatorie si moltiplicano e la commisurazione diventa più seria : non può essere una generica condanna a pena detentiva “ ( M. Donini, op. cit.,
p. 605 ). Quanto, poi, alla giustizia riparativa, non è certo esagerato affermare che “ Un passo davvero importante e quasi rivoluzionario è quello che il legislatore delegante ha compiuto a favore della giustizia riparativa …”, ricordando come questa “ ..costituisca un paradigma di giustizia radicalmente alternativa a quella punitiva tradizionale…” ( F. Palazzo, op. cit., p. 637 ).
Più nello specifico si è osservato che “ …la scelta legislativa per limitare l’incidenza delle pene carcerarie brevi ha privilegiato il sistema della sostituzione in concreto da parte del giudice piuttosto che quello della previsione in astratto da parte del legislatore di pene non carcerarie edittali “, ma in modo tale che “ Il meccanismo della sostituzione sanzionatoria di contenimento della pena carceraria è interamente affidato al giudice ( di cognizione ) e alla sua discrezionalità : una discrezionalità che riguarda non solo l’an, come è ovvio, ma anche il quomodo “ ( F. Palazzo, op. cit., p. 633 e p. 636 ).
Per la giustizia riparativa occorre peraltro evidenziare che la legge delega si è limitata a
“ prevedere che l’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena …” ( art. 1 comma 18 lett. e ) : disposizione, indubbiamente, assai generica, di talchè “ Toccherà, dunque, al legislatore delegato sciogliere questo che è il vero nodo, anche dal punto di vista tecnico, della giustizia riparativa : cioè, quello degli effetti del buon esito del percorso riparativo sul processo penale e sulla responsabilità dell’autore “ ( F. Palazzo, op. cit., p. 638 ).
D’altronde, è chiaro che una riforma impostata prevalentemente come delega al Governo, ai sensi dell’art.76 Cost., non può che lasciare rilevanti spazi al legislatore delegato e alla sua opera di attuazione, pur nel quadro di “principi e criteri direttivi “ precisamente determinati : sicchè “ Il legislatore delegato…dovrà arricchire il carattere vincolato di questa discrezionalità, a tratti carente in alcuni punti della legge n.134/2021 “ , caratterizzandosi questa, inevitabilmente, come una “ riforma in fieri “ ( M. Donini, op. cit., p. 608 ).
Riforma “in fieri “, certamente, ma ricca di contenuti innovativi sul piano processuale ed anche sostanziale, così da poter essere qualificata come “ …una riforma di sistema che attraversa l’intero settore della giurisdizione penale …” ( così A. Spataro, op. cit., p. 660 ).
Venendo solo per un momento al punto della riforma sul quale si è concentrato il dibattito politico e mediatico, cioè al tema della prescrizione e della improcedibilità, è indubbio che la scelta legislativa adottata ( v. art. 2, commi 1 e 2 ) sia opinabile e suscettibile di critiche sul piano tecnico, come testimoniato dagli interventi di segno diverso degli studiosi : ciò che non si può accettare, tuttavia, sono le critiche scomposte e aprioristiche alla introduzione dei termini di improcedibilità nei giudizi di impugnazione ( di cui al nuovo art.344-bis c.p.p.), mosse “ con toni da crociata “ anche da “ alcuni magistrati “, essendosi osservato proprio da un ex-Procuratore della Repubblica che “ …si è diffuso un allarmismo mediatico sugli esiti della improcedibilità ( definita una sorta di amnistia mascherata che creerebbe sacche d’impunità o manderebbe in fumo centinaia di migliaia di processi ) davvero fuori misura, se si considerano le misure preventive già ricordate, finalizzate anche a evitare che un largo numero di processi approdi in appello. “ ( A. Spataro, op. cit., p. 656 ).
Insomma vanno bene le critiche, purchè argomentate e non preconcette e soprattutto non tali da falsare la discussione e snaturare il testo della riforma di cui si tratta ; chi scrive condivide l'opinione secondo la quale “ …si deve riconoscere alla riforma il coraggio di aver effettuato una scelta drastica in un senso che a noi pare di civiltà, al di là del fatto che possa non piacere dal punto di vista dogmatico l’ibridismo tra prescrizione ( sostanziale) e improcedibilità ( processuale ). “ ( F. Palazzo, op. cit., p. 629 ).
Del resto, non tutte le linee di fondo della riforma penale in questione sono assolutamente condivisibili e aliene da critiche di sorta : ad esempio, l’attribuzione al Parlamento della individuazione dei criteri generali di priorità in ordine all’esercizio dell’azione penale ( art.1 comma 9 lett. i ) induce a qualche fondata perplessità, potendosi obiettare che “ …la selezione delle priorità di intervento dei pubblici ministeri, anche solo nell’ambito di linee guida generali e non di un cogente catalogo di reati, non può essere materia di competenza del Parlamento ( e, conseguentemente, delle maggioranze esistenti ), perché ciò aprirebbe la strada a seri pericoli per l’autonomia della magistratura e dei pubblici ministeri in particolare, e finirebbe con il determinare seri rischi per il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale, che garantisce anche l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. “ ( A. Spataro, op. cit., pp. 646-647 ).
In conclusione, la riforma Cartabia del settore penale non è certamente perfetta né completa, richiede di essere integrata e migliorata dal legislatore delegato, ma non può essere liquidata solo come l’intervento che ha introdotto le “tagliole” dei termini di improcedibilità nei giudizi di appello e di cassazione, perché ciò non è vero ed è contraddetto proprio dal vasto contenuto dell’intervento riformatore, che si è cercato in precedenza di sottolineare. Una legge, quindi, dal contenuto ampio ed ambizioso, che mira
a modificare vari aspetti e snodi non secondari del sistema penale, processuale e pure sostanziale, nell’ottica non solo dell’efficienza ma anche del rispetto delle garanzie e della realizzazione di un processo effettivamente “giusto” ( art.111 Cost. ).
3. Se si passa alla riforma della giustizia civile, approvata con legge 26 novembre 2021,
n.206 ( “ Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata “ ), i temi e gli argomenti sono ovviamente diversi da quelli del settore penale esaminati nel paragrafo 2. E’ opportuno evidenziare in limine che,
mentre nel settore penale il dibattito si è acceso soltanto sui temi della prescrizione e della improcedibilità, nel settore civile “ …la disattenzione appare massima “, visto che
“ L’informazione sul punto è distratta, troppo tecniche le questioni trattate perché possano appassionare i commentatori o i leader politici “ : anche se “ …forse ancor più che nel caso del penale, il mal funzionamento di questi processi incide direttamente sulle garanzie dei diritti e sulla vita concreta di tutti i consociati “ ( così, condivisibilmente, G. Azzariti, op. cit., p. 515 ).
Ciò premesso, va rimarcato che la riforma del processo civile è strutturata come delega al Governo ad adottare “ uno o più decreti legislativi recanti il riassetto formale e sostanziale del processo civile, mediante novelle al codice di procedura civile e alle leggi processuali speciali, in funzione di obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio…” ( art. 1 comma 1 ).
L’intervento di riforma consta di un unico articolo ( art. 1 ), che si compone di ben 44 commi e contiene disposizioni applicabili ai procedimenti instaurati a decorrere dal 180° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, ossia dal 22.6.2022 ( art. 1 comma 37 ).
Si è detto che il “ …titolo della legge delega, destinato all’efficienza del processo civile, e che corrisponde agli intenti del piano nazionale di ripresa e resilienza ( PNRR ) … pone in modo autonomo, rispetto alla riforma delle vie alternative alla giurisdizione, la necessità di un intervento riformatore della giustizia civile, al fine di velocizzare e rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti, nella cognizione come nell’esecuzione, con un intervento sistematico che non deve solo riguardare il rito e il processo, ma anche l’organizzazione dell’ufficio e delle funzioni amministrative correlate “ ( Claudio Cecchella, “ Contributo a una giustizia civile. Una prima lettura della legge delega Cartabia sul processo civile “, in Politica del diritto n.4/2021, pp. 526-527 ). Questo autore aggiunge che “ …quest’ultimo aspetto è meno risolto nella legge delega, la quale si limita ad alcuni principi direttivi sul processo digitale e, sui temi centrali relativi all’ufficio del processo e agli strumenti di cui si può dotare, ignora l’uso di metodologie elettroniche, anche di intelligenza artificiale
( determinandone i limiti ), e gli aspetti ordinamentali e di organico, per una migliore organizzazione delle funzioni relative alla giustizia civile “ ( C. Cecchella, op. cit., p. 527 ).
Il punto è in effetti rilevante, perché l’intervento normativo per essere efficace non può limitarsi a disciplinare il rito e gli aspetti processuali, ma deve riguardare anche, in maniera compiuta, gli aspetti organizzativi e ordinamentali correlati alla disciplina processuale.
Anzi, si concorda con Cecchella che “ …l’attenzione del riformatore, come dello studioso e dell’operatore, deve distogliersi da un intervento che riguardi le sole regole applicate alle attività difensive delle parti, in una concezione bocciata dalla storia, dove il risparmio del tempo viene esclusivamente affidato alla compressione delle azioni, difese e del contraddittorio “ : invece, “ I temi da esaminare sono quelli della tecnologia applicata al processo, dell’organizzazione dell’ufficio e degli organici, a cui si aggiunge una nuova regolamentazione dell’auto-responsabilità delle parti “ ( op. cit., pp. 529-530 ).
Dalla lettura del testo della riforma si evince che uno dei punti qualificanti della stessa è l’anticipazione delle attività difensive delle parti ad un momento antecedente all’udienza di prima comparizione ex art.183 c.p.c. ( v. art. 1 comma 5 lettere c), e), f), g ) : per quanto si possa comprendere l’esigenza di accelerare la fase introduttiva e di trattazione rispetto al sistema vigente, dominato dalle memorie post-udienza ex art.183 comma 6 c.p.c., si deve riconoscere che l’introduzione di “ preclusioni eccessivamente anticipate “ non appare opportuna, in quanto “ ..la rapidità di un giudizio…non è conseguenza immediata e diretta della presenza di preclusioni collegate agli atti introduttivi…” ( Ilaria Pagni, “ Gli obiettivi del disegno di legge delega tra efficienza del processo, effettività della tutela e ragionevole durata “ , in Politica del diritto n.4/2021, p. 579 ). Piuttosto, va sottolineato un dato ben conosciuto ma talvolta dimenticato, cioè che “ …le ragioni della crisi della giustizia debbano ravvisarsi soprattutto nel carico dei ruoli e nel numero insufficiente dei magistrati, e i rimedi anche nell’esigenza di un rafforzamento dell’apparato amministrativo “ ( I. Pagni, op. cit., p. 577 ).
Quindi, sembra condivisibile l’opposizione di studiosi e avvocati all’anticipazione delle preclusioni al momento degli atti introduttivi, anche perché “ Adottare un sistema di preclusioni concentrato in limine litis può giustificarsi in ordine a controversie civili con fattispecie tipiche stereotipate, ciò che spesso accade nella materia del lavoro o delle locazioni, diversamente nel caso in cui le fattispecie, a valere per la maggior parte della materia civile, sono rette da fattispecie atipiche, risultato di una regolamentazione offerta esclusivamente dall’autonomia dei privati “ : “ Tutto ciò nel processo comune a cognizione piena rende ragione di una gradualità delle preclusioni …” ( C. Cecchella, op. cit, p. 538 ).
Altri punti qualificanti della riforma in esame possono ravvisarsi nella possibilità per il giudice di primo grado, su istanza di parte, di pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento o di rigetto della domanda, ordinanza reclamabile dinanzi al Collegio ( art. 1 comma 5 lett. o) e p ) ; nella riduzione dei casi in cui il Tribunale giudica in composizione collegiale ( art. 1 comma 6 lett. a ) ; nella possibilità per il giudice di merito, “ quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto “ ( art. 1 comma 9 lett. g ). Con riguardo a quest’ultima ipotesi, del rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di Cassazione, si è osservato che
“ Si tratta di un tentativo - tutto da verificare in sede applicativa - verso una maggior certezza del diritto e di un’uniformità interpretativa, esaltando la funzione nomofilattica del giudice di legittimità “ ( C. Cecchella, op. cit., p. 543 ).
Un’altra innovazione importante della riforma riguarda il procedimento attualmente previsto dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c., che si prevede debba essere sistematicamente collocato nel libro II del c.p.c. e debba assumere la denominazione - in luogo di “procedimento sommario di cognizione “ - di “procedimento semplificato di cognizione “ ( art. 1 comma 5 lett. n) n.1) e 2). Questa innovazione è stata commentata per lo più positivamente, rilevandosi come sia opportuna la ricollocazione del procedimento de quo nel II libro del codice di rito, quale “alternativa al rito ordinario “, e la sua ridenominazione come “procedimento semplificato di cognizione”, “ a sottolinearne la natura di procedimento non a cognizione sommaria ma semplificata “ ( così I. Pagni, op. cit., p. 575 ). Si può aggiungere che, coerentemente con la nuova configurazione del procedimento, esso si deve concludere con sentenza e non più con ordinanza ( lett. n) n. 5).
Su un piano più generale, è interessante la notazione che non vi sia identità tra “efficienza del processo “ ( primo obiettivo della legge delega n.206 / 2021 ) ed “effettività della
tutela “ : “ l’efficienza, infatti, opera soprattutto sul piano dell’interesse generale, della garanzia che il sistema funzioni nel suo insieme, mentre l’effettività muove essenzialmente da una prospettiva individuale, dall’esigenza, cioè, che il singolo ottenga col processo ‘tutto quello e proprio quello che gli è garantito dal diritto sostanziale‘ “ ( I. Pagni, op. cit., p. 585).
Sicuramente non si può ottenere un processo civile efficiente senza adeguati interventi ordinamentali e organizzativi, previsti sì dalla legge delega ma che richiedono opportune integrazioni e puntualizzazioni da parte del legislatore delegato, in materia di digitalizzazione del processo e processo civile telematico, di ufficio per il processo, di potenziamento dell’apparato amministrativo della giustizia ( v. art. 1 commi 17, 18 e 19 ).
Da ultimo, in una trattazione seppur sintetica della legge delega n.206 / 2021 non si può non accennare alle “misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie “, perché si tratta di un intervento davvero importante, atteso e innovativo : si è detto che “ ..il profilo più convincente della riforma …è costituito dall’intervento sull’ordinamento e sul rito nella materia del diritto delle persone, delle famiglie e dei minori “, essendosi realizzata “ una importante riforma ordinamentale “, con la quale “ si supera finalmente un ordinamento, ereditato dalla legislazione del ventennio “ ed “ è archiviata l’assurda ripartizione delle competenze innanzi a due giudici diversi : il Tribunale per i minorenni e il Tribunale ordinario… “ ( C. Cecchella, op. cit., pp. 543-544 ).
In effetti, l’intervento appare articolato, volto alla realizzazione di un rito unificato denominato “ procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie “ dinanzi al neo-istituito “tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie “ ( cfr. art. 1 commi 23 e 24 ), così da superare il risalente ordinamento precedente e le sue non più adeguate disposizioni, ad esempio in tema di ripartizione delle competenze fra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario ( art. 38 disp.att. c.c., modificato dall’art. 1 comma 28 della riforma ). C’è da augurarsi che il legislatore delegato completi e perfezioni l’impianto della legge delega, così da pervenire finalmente ad un ordinamento delle persone, dei minorenni e delle famiglie aggiornato e adeguato ai tempi.
Anche la riforma del processo civile, in definitiva, si caratterizza come un intervento non di corto respiro, che cerca di ovviare ad alcuni reali problemi e criticità della disciplina esistente, seppur con modalità non sempre convincenti ( in tema di anticipazione delle preclusioni, come già osservato ) : l’auspicio è che “ qualche aggiustamento sia ancora possibile nella declinazione a opera dei decreti delegati “, ma “ quel che è certo è che questo è il momento storico migliore, viste le risorse economiche disponibili, per un’azione combinata sulle norme e sull’organizzazione …” ( I. Pagni, op. cit., p. 587 ).
4. Last but non least, qualche accenno alla riforma intervenuta per ultima, quella dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura ( legge 17 giugno 2022, n.71, “ Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura “ ).
Anche in questo caso, nonostante da tempo l’attenzione dell’opinione pubblica sia incentrata sulla questione morale in magistratura dopo il “caso Palamara”, vi è da prendere atto che
“ il dibattito politico e la discussione pubblica sull’ordinamento giudiziario si sono concentrati su un solo punto che, per quanto rilevante, viene trattato guardando più al contingente che non entro una prospettiva strategica e d’insieme “, cioè “ il sistema di elezione dei membri togati al CSM “, con lo “ scopo dichiarato…di limitare il potere delle correnti nella scelta dei giudici “ ( G. Azzariti, op. cit., p. 516 ). Non che il problema non esista, beninteso, ma non può essere isolato e non può assorbire ogni altra e più complessa questione : “ Basterebbe riflettere sul fatto che una volta eletto - quale che sia il sistema prescelto - il CSM deve essere messo in grado di svolgere il suo ruolo ed esercitare le sue funzioni costituzionali “ ; inoltre “ Se si vuole migliorare il funzionamento della giurisdizione
ci si deve necessariamente occupare anche di altro, della Scuola Superiore della Magistratura, ad esempio…” ( G. Azzariti, op. cit., pp. 516-517 ).
Tanto premesso, va evidenziato che il provvedimento di riforma si articola in due parti, una prima relativa al riassetto della magistratura ed affidata ad una delega al Governo da attuarsi entro un anno, con possibilità nell’anno successivo di adeguamento ed integrazione
( artt. 1-6 e art. 40 per la magistratura militare ) ; una seconda relativa all’assetto della magistratura e del Consiglio superiore, anche in relazione alla sua organizzazione e al personale ( artt. 7-39 : cfr. Giorgio Spangher, “ La riforma dell’ordinamento giudiziario : le aree di intervento immediato “, in www.altalex.com 30.06.2022, p. 1 ).
Con riferimento al “nucleo centrale della riforma “ ovvero alla modifica del sistema elettorale del CSM si è osservato che “ Ad una prima ‘lettura’, non pare che il nuovo sistema determinerà risultati non solo non risolutivi, ma neppure significativi, dovendosi escludere, anche alla luce delle elezioni dell’ANM nelle varie sedi, grossi spostamenti, considerati i radicamenti strutturali dei vari gruppi e la loro capacità di adeguare le strategie di indirizzo dei voti alla diversità delle situazioni “ ( G. Spangher, op. cit., p. 2 ).
D’altra parte, occorre tenere conto di “ un dato della realtà : finchè le ‘correnti’ ( anzi le realtà associative della magistratura, come più correttamente si esprime la Relazione ) raccolgono consensi tra i magistrati, quale che sia il sistema elettorale, esse interverranno a sostenere i candidati che a quel gruppo fanno riferimento, vi sia o no la formale presentazione di una lista “ : al riguardo “ Il nodo fondamentale è che il sistema elettorale non induca, né consenta agli apparati di vertice dei gruppi di bloccare le indicazioni di voto…” ( così Edmondo Bruti Liberati, “ CSM e ordinamento giudiziario. Quali riforme ? “,
in Politica del diritto n. 4 / 2021, p. 677 ).
In linea generale, si ritiene sbagliata “ l’idea che le associazioni della magistratura siano il male assoluto da sradicare, mentre quel che va superato è il ‘correntismo’ corporativo e spartitorio, con un recupero della funzione politico-culturale delle associazioni che in passato ha contribuito allo svecchiamento della magistratura e alla ‘scoperta’ della Costituzione come punto di riferimento supremo nell'esercizio della funzione giurisdizionale “
( Mauro Volpi, “ Una proposta positiva con qualche rilievo critico “, in Politica del diritto
n. 4 / 2021, p. 708 ). Naturalmente, non è facile superare il “correntismo corporativo e spartitorio “ e nel contempo recuperare l’originaria funzione politico-culturale delle stesse correnti, quale può essere riconosciuta dai magistrati o comunque da chi abbia vissuto le stagioni degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso : ma il tentativo, a parere di chi scrive, va fatto, se non si vuole buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
Concludendo sulla modifica del sistema elettorale del CSM appare opportuno richiamare una preziosa considerazione finale della Commissione Luciani, dai cui lavori è scaturito il testo della riforma approvato in via definitiva dal Parlamento : “ …nessun intervento riformatore può avere successo senza un profondo rinnovamento culturale, del quale devono essere partecipi la politica, i mezzi di informazione, l’opinione pubblica e - soprattutto - la stessa magistratura “ ( dalla Relazione finale della Commissione presieduta dal Prof. Massimo Luciani ).
Passando rapidamente agli altri aspetti oggetto della legge di riforma n.71 del 17.6.2022, vanno richiamati i nuovi criteri in materia di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi ( art. 2 ), le modifiche al sistema di funzionamento dei Consigli giudiziari e delle valutazioni di professionalità, “ con attribuzione alla componente degli avvocati della facoltà di esprimere un voto unitario sulla base del contenuto delle segnalazioni di fatti specifici, positivi o negativi, incidenti sulla professionalità del magistrato in valutazione, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia effettuato le predette segnalazioni sul magistrato in valutazione …” ( art. 3 comma 1 lett. a ) ; la modifica alla disciplina dell’accesso in magistratura con riduzione dei tempi per l’accesso ( art. 4 ), il riordino della
disciplina sul collocamento fuori ruolo dei magistrati ( art. 5 ), alcune modifiche al d.lgs. 109/2006 in materia di illeciti disciplinari ( art. 11 ), le nuove disposizioni in materia di eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale, regionale o locale
( artt. 15-20 ). Riguardo a quest’ultimo aspetto, noto giornalisticamente come fenomeno delle “porte girevoli” tra magistratura e politica, sembra apprezzabile l’intento del legislatore di
“ evitare il rapporto sia originario al momento della candidatura ovvero dell’incarico, sia successivo all’esaurimento e cessazione ( anche in caso di mancata elezione ) con il territorio ( regionale o provinciale, a seconda della tipologia del ruolo da ricoprire ) nel quale il magistrato ha svolto le sue funzioni “ ; inoltre, “ Quanto ai ricollocamenti, una volta esaurite le riferite attività, si prevede che i magistrati siano collocati fuori ruolo presso i ministeri o la presidenza del consiglio, ovvero ai rispettivi organi di autogoverno per lo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali né giudicanti né requirenti “ ( G. Spangher, op. cit., pp. 3-4 ).
In conclusione, anche questa riforma assai delicata dell’ordinamento giudiziario e del CSM, resasi necessaria a seguito delle gravi e note vicende originate dal caso Palamara, approvata dopo non poche polemiche tra le forze politiche e con la forte opposizione della magistratura associata, appare nel complesso accettabile ed equilibrata, “ affronta alcune questioni di fondo della struttura ordinamentale della giustizia, come sono emerse in alcune vicende recenti “ e, grazie alla “ mutata sensibilità del Paese per alcune delle tematiche affrontate “, riesce a “ toccare alcuni aspetti sensibili del tema della logica di appartenenza o del rapporto tra politica e magistratura “ ( G. Spangher, op. cit., p. 4 ).
Non è poco, mi sembra, in questi tempi caratterizzati da incertezza e confusione, non solo a livello politico : è necessario peraltro, come già ricordato, un “profondo rinnovamento culturale “ della politica, dell’opinione pubblica, della stessa magistratura e - mi permetto di aggiungere - degli altri operatori della giustizia ( avvocati, docenti universitari ), il cui ruolo è centrale in questo momento di transizione.