Ero , nel 2004, Presidente della Sezione Diritti della Persona e famiglia, con funzioni di GT, presso il Tribunale di Venezia quando, a fine marzo 2004, entrò in vigore la legge 6/2004; essa, voluta e ‘combattuta’ per anni da un gruppetto di ‘illusi’ capeggiati instancabilmente dal prof. Paolo Cendon, istituiva l’amministrazione di sostegno.
Come Presidente e GT della Sezione del Tribunale di Venezia che si occupava dei diritti della persona ho affrontato, con un po’ di preparazione condivisa ( con i servizi sociali - in particolare del Comune di Venezia- il Centro di salute mentale, organizzazioni del volontariato, parenti di persone non autonome , ma anche diverse persone non autonome, possibili beneficiari -) e tanto entusiasmo la sua applicazione fin dal primo giorno della sua entrata in vigore.
Ragionevolmente avendo trovato ‘ascolto’ e, spesso, una possibile prima risposta ad esigenze di persone fragili non ‘coperte’ dalla ghettizzante ed annullante logica dell’interdizione, a metà marzo 2005, a seguito di ricorsi che si moltiplicavano, erano già state aperte davanti al GT di Venezia ( che inizialmente ero solo io, successivamente supportato da alcuni GOT prima disponibili e poi entusiasti partecipi ) circa 650 amministrazioni di sostegno, tentando per ogni beneficiario, quasi sempre direttamente ‘ascoltato’ a casa sua, un vero e proprio progetto di sostegno personalizzato e condiviso.
Finalmente poteva diventare ed era diventata la persona - e la persona sofferente in particolare – il centro, il ‘soggetto’ ( e non l’oggetto ) del procedimento ; la persona non autonoma, e perciò comunque ‘fragile’, era il vero protagonista del procedimento, non in astratto ma nella concretezza degli ‘odori’ della sua casa e delle sue cose, tra persone che erano - o dovevano essergli- vicine ( operatori dei servizi sociosanitari inclusi ) ; le sue “ esigenze”, le sue “scelte”, le sue “aspirazioni” costituivano il cuore ed i limiti dello stesso intervento di un giudice tutelare , ragione ed argine dei poteri-doveri di coordinamento ed indirizzo del GT.
Il “benessere” relativo e possibile della persona non autonoma, inserita nel suo tessuto di vita ( famiglia, società, amicizie, prossimità, servizi ) era lo scopo del procedimento e le stesse “esigenze di protezione” dovevano essere commisurate a quest’unicum esistenziale ( “compatibilmente”).
L’ascolto diretto della persona era diventato il metodo-base del procedere del GT; il ‘potere’ dello Stato si poneva ( o doveva porsi ) al servizio della persona fragile ( “sentire personalmente…recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova”); il GT assumeva un vero potere-dovere coordinatorio, anche e soprattutto nei suoi rapporti diretti con i servizi sociali, cui poteva-doveva chiedere l’assistenza necessaria ( art. 344, sec. comma CC; art. 407, terzo comma CC ).
Si doveva lavorare in équipe; e questa collaborazione-condivisione io ho avuto la fortuna di poterla cercare e di trovarla, subito.
Alla domanda …”ma si può ?” , dopo un anno potevo rispondere “sì, si può” ; ma mi rendevo ben conto delle difficoltà burocratiche, organizzative, finanziarie, logistiche, di formazione, di sensibilità, di cultura personale, di logiche da competenza esclusiva, di difficoltà nel superamento di ruoli diversamente castali e sacerdotali che ostacolavano di fatto l’adempimento di questo “dovere inderogabile di solidarietà sociale”.
Un anno dopo, a metà aprile 2005, sono stato chiamato a Roma, a parlare della mia esperienza al primo corso organizzato dal CSM sull’amministrazione di sostegno.
Intendo solo accennare agli atteggiamenti di sorpresa ed alle contestazioni , ma anche agli entusiasmi (per tutti menziono solo Gloria Carlesso, da allora diventata il “GT per sempre” a Trieste) che provocò il mio intervento.
Per comprendere il suo contenuto ‘eversivo’ rispetto al giudicare definitivo della giurisdizione, basta leggere anche solo l’indice della mia relazione scritta, che si trova ancora su internet (https://www.studiolegalemarcellino.it/allegati/26-0/trentanovi-la-protezione-delle-persone-prive-di-autonomia.pdf) ; lo riporto in nota perché ritengo che ancora, alla luce delle diverse, non omogenee e spesso funzionalmente discontinue esperienze sul campo, possa esser utile per misurare in concreto l’attualità ed i fallimenti dello stesso magnifico e talora perfino lirico strumento di protezione attiva e proattiva delle persone fragili che è – o dovrebbe e potrebbe essere – l’amministrazione di sostegno.
Senza voler fare polemiche specifiche in questa sede penso che, realisticamente, si possa constatare che sono state erose progressivamente le forze del servizio sociosanitario pubblico, per antiche ma sempre maggiori carenze di finanziamenti, di organici, di capacità e di volontà di assegnare priorità negli interventi ‘politici’ e di programmare una radicale riforma valorizzante del SSN - dall’unitario punto di vista sanitario e sociale -; eppure il SSN pubblico costituisce esigenza primaria della persona secondo la nostra stessa Costituzione (artt.2-3-32 Cost.)!
Parallelamente anche le possibilità di attuare ed attualizzare dappertutto, concretamente, la logica liberante della legge 6/2004 e dell’amministrazione di sostegno, strumento di civiltà necessario ( anche se inevitabilmente ‘aggiornabile’, integrabile e modificabile sulla base di vent’anni di esperienze diverse ), lieve, modulabile, multiforme e, per sua natura, esso stesso insufficiente e fragile, mai definitorio e definitivo, rischia di corrodersi, affievolirsi ed inaridirsi nella burocratica apparenza della sua applicazione con disapplicazione; eppure questo stesso strumento si rivela spesso indispensabile, con la rete che può realizzare o consacrare, per superare o ridurre, curare assieme le difficoltà di ogni essere umano ‘ridotto’ nelle sue possibilità esistenziali.
Questa latitanza politica si accompagna purtroppo a quella, anche culturale, nell’organizzazione delle attività delle AG, che non sono certo aiutate – anche qui per carenze prevalentemente politiche - a valorizzare e formare adeguatamente l’attività del GT ; e, in particolar modo, quella specifica dei GT cui è affidata la protezione delle persone non autonome. Questione di scelte e, nell’organizzazione concreta dei servizi, della stessa possibilità di scelta.
Ma bisogna comunque continuare a sperare, contro ogni speranza !
Pieno di voci di speranza, perfino quando descrive una tragedia, è anche il nuovo libro del Paolo Cendon romanziere – “Ombre in cerca di ascolto”- che solo in un episodio ricorre direttamente all’amministrazione di sostegno per ‘ascoltare’ le diversità di persone comunque fragili, protagoniste dei suoi racconti.
Cendon si spoglia delle vesti di grande giurista esistenziale, creativo ed immaginifico, per assumere il ruolo di scrittore ‘semplice’, tenero ed attento nel farsi ispirare dal vissuto ( concreto anche quando di fantasia ) di personaggi quali Marcus o di Claire, ma talora anche di sé stesso, ‘ascoltando ed ascoltandosi’ nella realtà o nella creazione della fantasia .
Un bel libro davvero, che raggiunge talora momenti di vera poesia; così come nelle parole di Geneviève che scende gli scalini del giardino fiorito : “non so i fiori…se preferire quelli che stanno diritti da soli….oppure quelli che si appoggiano a qualcosa…..sceglierei i secondi forse, tentano di farsi perdonare per essere poco autonomi….e ci regalano in questo modo i profumi piu’ dolci”.
In fondo in tutti gli episodi si posa sul prossimo - come dovrebbe avvenire per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno ( ma sostanzialmente per la stessa applicazione nel singolo caso della giustizia nel diritto ) – uno sguardo ‘sincero’ : “…uno sguardo che prima di ogni cosa è uno sguardo attento, con il quale l’anima si svuota completamente del proprio contenuto per accogliere in sé l’essere che sta guardando così com’è, in tutta la sua verità. Di un simile sguardo è capace solo colui che sa prestare attenzione” (Tommaso Greco – Curare il mondo con Simone Weil, Ed. Laterza, pg. 39).