Cultura, società  -  Cecilia De Luca  -  08/11/2024

Una incidentale per il prof. Gazzoni

Gentilissimo prof. Cendon, trasmettendoLe questo mio breve scritto, mi inserisco “in via incidentale” in un dibattito apertosi qualche mese fa, ed ora in uno stato – sembra – di quiescenza, relativamente alla vicenda che ha visto coinvolto il prof. Gazzoni, e ne approfitto per rendere qui una mia osservazione nonché verità – credo.

Tra le tanti voci che, allora, erano entrate in gioco, onestamente, per pigrizia e per negligenza, non avendo “ben letto”, né essendomi soffermata nella postuma riflessione fisiologica – come spesso a molti, se non a tutti, accade –, (sul)la parte del Manuale dell’Autore oggetto di critica, si ingenerò in me la credenza che quanto si stesse raccontando rappresentasse il vero, ma personalmente non vi badai perché, sebbene io appartenga alla c.d. “categoria delle donne”, non “appartiene” al mio modo di essere “prendere posizione” quando non ve ne è “necessità”: quando cioè – e qui l’intelligenza “voluta”, ossia che da ciascuno di noi dipende, opera il suo importante ruolo – si alimentano discussioni solo per “far parlare”, magari per poter dar voce a turbamenti personali, che siano giustificati o meno, ma che dal mio punto di vista anche se fondati non dovrebbero mai vedere un soggetto come “vittima”, ma, a maggior ragione, per il “potere e privilegio” – non a tutti concesso, ma a troppi sì – del “dono” del linguaggio, come (com)partecipe, “partner” – termine che va di moda – dialogante, insieme agli altri, in un dovuto – questo sì – scambio di opinioni purché costruttivo – la c.d. “democrazia ideale”.

Tutto nacque credo da una scorretta “interpretazione”, e a priori da una “non ben letta” costruzione, della sintassi del periodo gazzoniano – sebbene siano altre le “parti da rompicapo”, della Sua opera, e non questa sezione a dover generare difficoltà interpretative nello studio e nell’apprendimento, credo – relativamente alla quale egli “espressamente” osserva che “i magistrati entrano in ruolo in base ad un mero concorso per laureati in giurisprudenza e appartengono in maggioranza al genere femminile,” – mi sembra che fin qui si stia rappresentando la realtà, con una sotteso convincimento positivo, quasi di soddisfazione personale, in relazione ad essa – “che giudica non di rado in modo eccellente” – e qui trova conferma la mia osservazione – “ma è in equilibrio molto instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli.” – qui non possono esprimere alcun tipo di opinione limitandomi ad osservare che forse quanto dichiara l’Autore è il frutto di una esperienza della realtà attuale.

Dopo qualche proposizione, Egli, l’Autore, prosegue affermando che “essi non di rado appartengono alla categoria degli “psicolabili”, come ha scritto un giudice non corporativo, ecc.”.

“Essi”, presumo, se la mia capacità di lettura e di comprensione del testo come ci insegnavano nelle aule delle scuole le nostre “adorabili e materne maestre” può considerarsi “buona”, fa riferimento, palesemente, alla categoria concettuale, nell’incipit del periodo utilizzato, di “magistrati”, non alla sub-categoria menzionata solo in relazione ad un aspetto, secondario, quale è quella del “genere femminile”, ma che non è l’“oggetto” del discorso né tanto meno del periodo gazzoniano.

Quello che tutto ciò mi porta a concludere non “ha molto a che fare” con la natura dell’intenzione, ed il fine che si voleva raggiungere, sottesa alla critica avverso il prof. Gazzoni, ma con una questione, credo, molto più rilevante: la consapevolezza del valore della componente linguistica di un popolo, di una cultura, ossia del linguaggio.

Se per negligenza, come nel mio caso, per volontà sorretta da altri fini, o per difficoltà di comprensione, viene non correttamente interpretato quanto qualcuno afferma, e su questo si costruiscono le basi del nostro parlare, argomentare, discutere, dialogare, ossia del nostro linguaggio, una componente culturale fondamentale – forse la più importante – di un popolo, attraverso cui questo si presenta, vive, si rappresenta nel tempo, e si evolve, non si può che concludere per una già riconosciuta da più alte ed altre autorevoli voci “regressione” – altro che “progresso/ione” – della nostra società, della nostra cultura e della sua identità.

Su questi temi inviterei a spostare l’attenzione e non tanto su qualche affermazione che può anche risultare “offensiva”, “sbagliata”, non “appropriata” al contesto “tecnico”, ma che, a mio avviso, non rappresenta problematiche ben più serie, esistenti eppure velate, urgenti, eppure passanti per inosservate, che permettono già ad oggi di (pre)vedere quale sarà lo stato delle future generazioni e della nostra società.

Da una studiosa di periferia,

Cecilia 




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