Relazione al CONVEGNO organizzato da ‘DIRITTI SENZA BARRIERE’
Ripensare la salute mentale – La tutela della vulnerabilità – criticità, urgenze e priorità
Bologna 5/5/2023
Tutela-interdizione e amministrazione di sostegno non sono neanche paragonabili, per natura , effetti, elasticità/possibilità di intervento , cultura, rispetto della dignità assoluta della persona, di ogni persona, quali che siano le sue “condizioni personali e sociali” ( art.3, primo comma Costituzione).
L’amministrazione di sostegno costituisce il superamento della logica dell’interdizione (inabilitazione), che resta quella del giudizio ‘definitivo’ e ‘definitorio’( “condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”) sulla (contro) la persona ( interdetto, inabilitato), del suo “esame”( art.419 CC ) anziché del suo “ascolto” ( il “sentire personalmente” il beneficiario come obbligo del GT : art.407 CC).
La logica dell’interdizione ( e conseguentemente quella della tutela/curatela ) è quella rigida del ‘ divieto’ incapacitante’, astratto e lontano, del ‘deve’ ( “sono interdetti”- art.414 CC prima della l.6/2004 ) e non del “può”, dell’interesse della società e della famiglia che sostituisce quello al benessere della persona fragile; è quella della garanzia e della certezza solo per coloro ( gli ‘altri’,i ‘normali’) che entrano in rapporti – in particolare economici - con l’interdetto. Ma questa garanzia è attuata togliendo di mezzo l’interdetto stesso, cancellandolo dalla circolazione/relazionalità giuridico-economica e, in definitiva, esistenziale.
Le sue conseguenze esistenziali e relazionali sono dunque annullanti ( nonostante le possibili attenuazioni previste dal ‘nuovo’ primo comma dell’art. 427 CC), predeterminate una volta per tutte dalla legge senza alcuna valutazione del caso concreto In questo senso ( al di là del riferimento anche “al meccanismo di sostegno amministrativo dell’amministrazione di sostegno”), va limitato correttamente all’automatismo dell’effetto incapacitante, tipico dell’interdizione, l’auspicio ( espresso dal Comitato ONU 2016) che vengano cancellate le leggi che prevedono la sostituzione da parte di un rappresentante legale nelle decisioni di una persona fragile; esso infatti va necessariamente letto nel quadro generale di convenzioni internazionali (quale quella di Oviedo), che pretendono che la persona sprovvista di autonomia decisionale venga rappresentata da una persona individuata con atto privato o dall’Autorità secondo la legge (per quanto possibile valorizzando le sue scelte).
L’interdizione-tutela ( ma anche l’inabilitazione/curatela) era (ed è ancora, seppur con alcune umanizzazioni) ‘settoriale’ (limitata alle cd. ‘categorie tipizzanti’, quali l’infermo di mente abituale, il tossicodipendente o l’alcoldipendente, il prodigo…), ‘sostitutiva’ ed alienante, ghettizzante, ‘cancellante’ (eliminazione della ‘capacità di agire’), ‘paramanicomiale’. Essa non è leggibile ( o quantomeno non è piu’ leggibile) come misura di protezione a favore della persona ma solo come strumento di compressione delle persone giudicate affette da ‘abituale infermità mentale’. Da ciò discende anche il tentativo del suo ‘mascheramento riduttivo’ attuato dalla stessa l. 6/2004 attraverso la previsione espressa della sua ‘strumentalità funzionale’, prevista dall’art.414 CC : “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”).
L’interdizione ( e conseguentemente la permanenza della stessa tutela ) finisce per contrastare, nell’attuale assetto normativo, il riconoscimento e la garanzia costituzionale dell’inviolabile diritto alla pari dignità di ogni persona umana ( artt. 2-3 Cost.).
In questo senso e in questi limiti concordo ovviamente anch’io -a prescindere dalla tecnicalità giuridica- con il principio, contenuto nella proposta di riforma dell’amministrazione di sostegno avanzata dall’associazione radicale ‘Diritti alla follia’, qui oggi caldeggiata dall’avv. Capano ( ma inserita in pressochè tutte le proposte di miglioramento ed aggiornamento della l. 6/2004), della necessità ed urgenza costituzionale della completa cancellazione dal nostro ordinamento degli istituti dell’interdizione/inabilitazione e, conseguentemente, della tutela/curatela; e pertanto anche con la previsione di immediata trasformazione ex lege delle tutele/curatele attualmente in essere con l’amministrazione di sostegno.
La logica dell’amministrazione di sostegno è opposta a quella dell’interdizione; basti in tal senso la lettura del fondamentale art.1- cuore della legge, in connessione con l’art. 404 CC – da cui emerge come compito essenziale di questo strumento di protezione attiva delle persone fragili sia quello di offrire al beneficiario la possibilità di superare, limitare, contenere per quanto possibile, gli effetti negativi delle sue condizioni, temporanee o permanenti, di insufficiente “autonomia ( causata da qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica o psichica”) nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”; l’unico “interesse” valorizzabile pertanto è (e deve essere) quello del beneficiario, al cui “ beneficio” deve essere funzionale l’eventuale decreto del GT ( che deve comunque tentar di realizzare, hic et nunc, le migliori condizioni di benessere possibile per il beneficiario).
Per ‘rafforzare’ la portata fondamentale e unificante dei principi dell’art.1 della l. 6/2004 ( ancor oggi non adeguatamente valorizzato per la sua ‘estromissione’ dal codice civile, attuata plasticamente anche da molte delle redazioni codicistiche piu’ famose, che non riportano la norma neanche in nota ), faccio mia la richiesta –già avanzata da autorevoli commentatori anche attraverso proposte legislative di adeguamento della legge 6/2004 e delle disposizioni codicistiche relative- di inserimento diretto nel codice civile di questa disposizione ‘quadro’ come prima delle norme dedicate alla protezione delle persone non autonome dal capo primo del titolo dodicesimo del CC.
Il GT “può” ( e non “deve”) emettere il decreto di cui all’art. 405 CC ( che costituisce il ‘progetto di sostegno individuale’ del beneficiario, la cui ampiezza è correlata soltanto alle esigenze del beneficiario ) programmando e coordinando gli interventi di sostegno utili sulla base delle indicazioni/”richieste” dello stesso beneficiario, che lo stesso GT “deve sentire personalmente” anche “recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questi si trova” . Per quanto necessario o utile il GT potrà avvalersi, per realizzare il miglior progetto di sostegno del beneficiario, non solo dell’amministratore di sostegno ( che deve esser scelto per quanto possibile tra familiari e conviventi – art. 408 CC-, normalmente ‘preferendo’ la persona indicata dallo stesso beneficiario) ma anche di tutte le persone nonchè delle organizzazioni e degli enti che – in quanto necessario od utile - possono e/o debbono concorrere in una coordinata ed integrata attività di presa in carico e di ‘cura’a suo favore (artt. 407, 408,406, c.3 CC – “i responsabili dei servizi sanitare e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona”, nonché art.344, sec.comma CC).
Il ‘punto di vista’ essenziale deve sempre essere quello del beneficiario, anche per il GT al momento della redazione del decreto. Gli è richiesta una sorta di volontà/capacità di ‘immedesimazione’ nella sua posizione di sofferenza e di fragilità, non per ‘giudicare’ della ‘capacità di agire’ del beneficiario ( che deve essere salvaguardata nei limiti massimi compatibili con “gli interessi e le esigenze di protezione della persona” - principio di conservazione di cui all’art. 409 CC, come già previsto dall’articolo 1 della legge ) ma per immergersi nella sua esistenziale “impossibilità di agire”, superandone, per quanto possibile con i suoi provvedimenti, limiti e condizionamenti. Il provvedimento del GT, nella sua concreta e coordinata attuazione, è, quando e per quanto necessario o effettivamente utile ( principio di strumentalità e sussidiarietà funzionale di ogni intervento diretto alla protezione della persona) il modo giuridicamente regolato, regolante e impegnativo di garantire, con “ l’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”, gli stessi diritti involabili della persona fragile che si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi” in maniera autonoma.
Sottolineo che l’amministrazione di sostegno ha carattere essenzialmente esistenziale ( autonomia nello “svolgimento delle funzioni della vita quotidiana”, “cura” ) e che l’amministrazione-conservazione del patrimonio deve essere meramente strumentale al raggiungimento del maggior benessere esistenziale possibile della persona sofferente-beneficiario ( art. 405, comma 4 CC e art. 405, comma 5 n. 6 – è richiesta all’amministratore di sostegno una “relazione periodica sulle attività svolte e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario” e non un “rendiconto”).
La legge 6/2004 permette così di realizzare in concreto i doveri inderogabili di solidarietà sociale rimuovendo gli ostacoli che, “limitando di fatto libertà ed eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” ( artt. 2 e 3 della Costituzione).
Per questo il GT può “chiedere l’assistenza degli organi della P.A. e di tutti gli enti ( pubblici e privati ) i cui scopi corrispondono alle sue funzioni” ( art. 344, sec. comma CC in relazione all’art.406, c.3 CC) . E proprio per questo ‘potere/dovere di interlocuzione’ in relazione ai suoi compiti a favore delle persone fragili, il GT non è e non deve essere (solo)un giudice ‘imparziale’, ma un operatore qualificato di solidarietà che non può e non deve mai esser lasciato solo, né ‘sentirsi solo’.
Il GT diviene l’attore-equilibratore-coordinatore dell’assistenza alla persona in difficoltà che, per superare queste sue condizioni, ha bisogno di un’assistenza ‘giuridicizzata’ ma non schematizzata, realizzabile attraverso un progetto di sostegno -quando necessario anche urgente e provvisorio- personalizzato (modulabile nell’ambito dell’art. 405 commi 4 e 5 CC ) che sappia essere, secondo le necessità, ampio o limitato, temporaneo o tendenzialmente permanente, elastico e non rigido e burocratico, sempre modulabile, integrabile e revocabile ( artt. 407, u.c. CC e 413 CC). Questo progetto necessita normalmente, per la sua attuazione, non solo dell’intervento di quel ‘fiduciario del GT’ che è l’amministratore di sostegno ( per la cui designazione le scelte e le indicazioni dirette o indirette del beneficiario costituiscono elemento privilegiato di individuazione, prima ancora della possibilità di preferenza per le persone del nucleo familiare, secondo quanto previsto dall’art. 408 CC); ma anche della condivisione e della cooperazione, nelle diverse vesti e nei diversi ruoli, di tutte le persone e realtà che ( di fatto o per obbligo che lo stesso GT può stabilire) concorrono e/o sono tenuti a concorrere al percorso di cura ed assistenza delineato dal GT.
In questo percorso devono esser adeguatamente valorizzati non solo i bisogni e le richieste del beneficiario, ma anche i suoi dissensi e le sue stesse soggettive “aspirazioni” ; essi devono ‘personalizzare’ a tal punto lo “svolgimento dei compiti dell’amministratore di sostegno” che ogni sua negligenza o insufficienza in tal senso può costituire causa di revoca immediata( art. 410 CC).
Tutto questo altissimo intrecciarsi di principi fondamentali e di esigenze pratiche, di possibili, costanti o saltuarie connessioni delle “funzioni della vita quotidiana” con atti giuridicamente rilevanti e/o patrimonialmente sensibili, rende evidente la necessità che, senza alcuna pretesa di perfezione ( va sempre tenuto presente che quello dell’amministrazione di sostegno è il terreno dell’insufficienza e della provvisorietà cui non deve mai corrispondere un provvedimento esaustivo e ‘perfetto’, ma sempre un adattamento progressivo all’evoluzione del percorso esistenziale del beneficiario e delle sue autonomie) , tuttavia l’operare dei diversi protagonisti dello strumento di protezione ( quantomeno di chi opera con ruoli istituzionali ) sia orientato dall’acquisizione di un livello adeguato di conoscenza e professionalità.
Per questo, ad esempio, il ruolo del GT esige una adeguata formazione ed una specifica sensibilità. Così è indispensabile che venga anche normativamente prevista una adeguata specializzazione a questa funzione; e che la relativa professionalità venga adeguatamente valorizzata anche nell’ambito delle valutazioni nella ‘carriera’ del magistrato, escludendosi ogni sottovalutazione del suo delicatissimo operato. Al contempo non può certo ritenersi che la professionalità e la sensibilità relativa sia acquisibile solo dai cd. magistrati togati; invece possono e debbono, senza fariseismi normativi, essere utilizzabili senza timori o ubbie esclusivistiche le acquisizioni di formazione e sensibilità rintracciabili in molti magistrati onorari, senza che essi vengano organizzativamente o nei fatti addetti a ruoli vicari o subordinati e ‘nascosti’ .
Parallelamente tali professionalità e sensibilità vanno normativamente richieste e formate anche nei responsabili e negli operatori dei servizi socio-sanitari; essi devono saper operare, anche assieme ai magistrati incaricati del ruolo di GT, superando ogni logica di competenze esclusive e nell’ottica della multidimensionalità e della multidisciplinarietà ; nella condivisione, ai livelli organizzativi ed a quelli ( caso per caso, persona per persona) applicativi, di un servizio essenziale per persone tra le piu’ fragili della comunità.
Tra queste persone ci sono certamente coloro che, in diversa misura e con diverse caratteristiche patologiche, possono in qualche modo esser ritenuti rientrare tra le persone affette da malattie mentali. Certamente anche a loro favore può esser attivata dal GT, laddove ciò venga ritenuto “idoneo a realizzare la tutela del beneficiario”, un’amministrazione di sostegno, con le modalità caso per caso e momento per momento valutate piu’ adeguate a questi fini ( fondamentali, ma non esclusive, potranno essere le indicazioni espresse dai centri di salute mentale ).
Personalmente sono davvero contento di aver concorso, come GT, a realizzare finalmente, nel primo decennio degli anni 2000, la completa chiusura delle strutture psichiatriche (ex manicomiali) di Venezia, attraverso l’utilizzazione cogestita e condivisa dello strumento dell’amministrazione di sostegno; e valorizzando sempre, nei limiti massimi del possibile, le indicazioni di beneficiari spesso simpaticissimi ma talora anche ‘pericolosi’ “avuto riguardo al loro stesso interesse”, soprattutto in relazione all’ampiezza delle grandi libertà ad ognuno di loro riconosciute dai singoli provvedimenti ( in applicazione costante dei principi di conservazione della capacità di agire e delle possibilità di agire, di cui all’art. 409 , primo e secondo comma CC).
Ma , pur ritendo (nella quasi totalità degli oltre un migliaio di casi seguiti nel mio percorso professionale presso i Tribunali prima di Venezia e poi di Belluno) del tutto inutile ed irragionevole il ricorso a qualsiasi seppur limitata forma di incapacitazione o ai divieti di cui all’art. art. 411, ultimo comma CC ( trovo e trovavo addirittura ridicolo, ad esempio, il ricorso a queste limitazioni nei casi di persone in coma ), non ho mai voluto demonizzare tali possibilità normative se applicate solo eccezionalmente e nell’esclusivo interesse del beneficiario. Ma questa è una questione di sensibilità, professionalità e cultura che non è certo coltivabile attraverso l’eliminazione o la burocratizzazione di una limitata possibilità di applicazione, ma attraverso il continuo aggiornamento e l’ampliamento della formazione multidisciplinare richiesta a chi ( in particolare ma non soltanto al GT) eserciti un ruolo istituzionale per la protezione delle persone non autonome.
Così anche ora trovo che la totale esclusione normativa della possibilità di un ricorso eccezionale e limitato a qualsiasi disposizione incapacitante o, ancor di piu’, la sua possibilità di adozione solo con un burocratico procedimento e provvedimento collegiale, costituisca nella realtà solo una ‘foglia di fico’ del tutto inidonea a garantire nella sostanza la correttezza della loro applicazione; introducendo anche per questa via un ulteriore elemento di contrasto con i principi di tempestività, snellimento e sburocratizzazione che ‘devono’ presiedere all’applicazione di questo strumento di protezione attiva.
Considerazioni analoghe valgono ancor di piu’ per ogni limite frapposto ( come l’obbligo di assistenza dell’avvocato) alla presentazione del ricorso addirittura da parte dello stesso beneficiario , secondo quanto sembra previsto dalla proposta radicale; così come per la necessità del ricorso alla “mediazione”, preventiva o alternativa al vero e proprio ricorso per la nomina di amministratore di sostegno .
La sfiducia nello strumento stesso dell’amministrazione di sostegno, che può trovare qualche ‘motivo di giustificazione’ in alcuni (piu’ o meno) pubblicizzati e talora gravissimi casi di vera e propria ‘controapplicazione’ di questa misura di protezione ( in alcuni o in tutti i suoi aspetti), ma anche in una solo apparente applicazione spesso realizzata con il ricorso ad una modulistica generalizzante e preconfezionata, disincarnata, spersonalizzata ed algida, non fa venir meno l’esigenza di una normativa come quella dettata dalla legge 6/2004, basata sulla necessità dell’ascolto personale di ogni persona non autonoma che abbia bisogno di una qualche forma di assistenza giuridicizzata per superare per quanto possibile i limiti conseguenti a sue infermità o menomazioni.
Non è certo rendendo sempre piu’ difficile, macchinoso, accidentato ed oneroso il ricorso e la applicazione di quest’unico strumento giuridico finalizzato davvero alla protezione delle persone fragili, che si potrà ovviare alle carenze collegate proprio ad una sua talora inadeguata, insufficiente o burocratica attuazione, comunque quasi sempre connessa a mancanza di conoscenza, formazione e/o sensibilizzazione, quando non a prevenzione e volontà ‘deflattiva’; carenze queste derivanti anche dalla sottovalutazione e dalla svalorizzazione, nei diversi settori, dei ruoli e delle funzioni di coloro che sono chiamati ad organizzare e ad applicare l’amministrazione di sostegno. Essa è certamente bisognosa, dopo quasi 20 anni di vigenza, di un ‘tagliando’ e di interventi migliorativi connessi alle criticità che ha progressivamente evidenziato in un’ applicazione che spesso è stata anche ostacolata e perfino osteggiata.
Ma non può certo sopportare , né essere positivamente supportata, da proposte che, come quella radicale, prevedano, ad esempio, l’eliminazione della parola “menomazione” tra i suoi presupposti di applicazione (dovrebbe restare soltanto il riferimento alla “infermità” quale causa presupposta dall’impossibilità di agire del beneficiario) e/o della parola “temporanea” come caratteristica legittimante dell’ impossibilità di provvedere autonomamente ai propri interessi (l’impossibilità legittimante del ricorso, connessa alla carente autonomia, dovrebbe diventare così , secondo la stessa proposta radicale, solo quella ‘definitiva’ o comunque ‘permanente’). Né può avere effetti positivi il confuso e generico riferimento alternativo alle ‘condizioni fisiologiche tali da richiedere un trattamento sociosanitario’, che sembra voler innestare malamente la disciplina dei TSO in quella dell’amministrazione di sostegno.
In sostanza ritengo indispensabile che si rafforzi a tutti i livelli, anche attraverso interventi politici e normativi che presuppongano la volontà di porsi davvero accanto alla persona fragile, l’applicazione di questo strumento di ‘rimozione degli ostacoli all’eguaglianza sostanziale delle persone’ anche in settori in cui essa è già specificamente richiamata dalle disposizioni di legge ( ad esempio nel campo del consenso informato ai trattamenti sanitari di cui alla l. 2i9/2017-in particolare art.3-); che si faciliti, si umanizzi e personalizzi in ogni modo il ricorso ed il percorso di questa misura ; che si superino le difficoltà organizzative ed i problemi concreti che si sono presentati nell’attuazione di un un servizio unitario essenziale che richiede condivisione, multidimensionalità e ‘passione per l’uomo’; che si ‘spenda’ a tutti i livelli per ottenere una informazione ed una formazione adeguata nonché personale sufficiente e motivato, nei diversi ruoli, per questo impegno essenziale, difficile e delicatissimo .
E che contemporaneamente si abbandoni la pessima idea che alcune cattive prassi applicative possano legittimare il sostanziale abbandono ed il rifiuto di quello che resta un essenziale strumento di civiltà; e non impongano invece un sereno confronto, senza pregiudizi, per riorganizzarne insieme l’applicazione nella maniera piu’ efficace.