1. La Corte di Cassazione, con la recente pronuncia che qui si commenta ( Cass. civ. sez.III ord. 11 gennaio 2023, n.509 ), ha esaminato in maniera specifica e dettagliata la problematica del Trattamento sanitario obbligatorio ( TSO ) per malattia mentale, disciplinato dagli artt.33 e ss. legge 833/1978, precisando la natura dello stesso e le condizioni in presenza delle quali esso può essere legittimamente disposto.
Nel caso pervenuto in ultima istanza alla Suprema Corte il ricorrente chiedeva il risarcimento dei danni subiti per essere stato sottoposto a un Trattamento sanitario obbligatorio, allorquando veniva trattenuto nei locali del Centro di Salute Mentale ove si era recato, a causa della manifestazione di “ un disturbo delirante cronico in fase di scompenso”, non avendo il ricorrente inizialmente accettato gli interventi terapeutici proposti ( mentre, dopo 16 giorni di trattamento, egli dichiarava di accettare volontariamente la prosecuzione dei trattamenti ). La domanda risarcitoria del ricorrente veniva respinta in entrambi i giudizi dal medesimo promossi, sia in primo grado che in appello, rilevandosi il difetto di legittimazione passiva del Comune originariamente convenuto in giudizio, la mancanza di qualsiasi ipotesi di “contatto sociale” che giustificasse la proposizione di una richiesta risarcitoria a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti del Ministero dell’Interno,
il difetto di prova di una responsabilità contrattuale in capo all’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata del luogo, infine la tardività della domanda di risarcimento del danno da mancato consenso informato ( cfr. “Svolgimento del processo“ della pronuncia in oggetto ).
2. La Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che il ricorso proposto dall’interessato “nell’esposizione del fatto, si pone ai limiti dell’ammissibilità “ ( come prescritto dall’art.366 n.3) c.p.c. e interpretato dalla giurisprudenza della Corte ), procede a vagliare nel merito i motivi di ricorso e a ritenerli infondati. Nella prima parte della sua motivazione la Corte di legittimità ribadisce e conferma il suo indirizzo in materia di consenso informato, secondo il quale “la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli “, sicchè il diritto del paziente al consenso informato “va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza “ ovvero che non “si tratti di trattamento sanitario obbligatorio “ ( cfr. “Motivi della decisione”, paragrafo 5.1 ).
Ecco, quindi, che la Suprema Corte introduce il tema specifico e peculiare della fattispecie in esame, cioè il Trattamento sanitario obbligatorio ( TSO ) per persone affette da malattia mentale, disciplinato, sulla scorta e in conformità all’art.32 comma 2 Cost., dagli artt.33, 34 e 35 legge 833 /1978 : infatti, in presenza delle condizioni previste da tali disposizioni normative “ si può prescindere dal consenso del paziente “ ( paragrafo 5.2 ).
Peraltro, ciò implica la centralità del consenso alla prestazione di cure mediche, poiché il TSO per malattia mentale - come precisato dalla Suprema Corte - “deve essere attivato solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa possibile, il consenso del paziente ad un intervento volontario “ ( cfr., per questa linea interpretativa, A. Palmieri, TSO per malattia mentale : i presupposti per la liceità , in www.Il Quotidiano Giuridico.it, 17 febbraio 2023 ).
Le tre condizioni che devono essere contemporaneamente presenti affinchè si possa ricorrere al Trattamento sanitario obbligatorio sono stabilite dall’art.34, quarto comma, l. 833/78 e sono testualmente richiamate dall’ordinanza della Cassazione che qui si commenta : a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali richiedere urgenti interventi terapeutici ; b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti ; c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.
Se non sussistano tutte e tre queste condizioni non si può legittimamente far ricorso al TSO per malattia mentale : dunque, l’intervento eventualmente effettuato in assenza di una o più di tali condizioni deve considerarsi illegittimo ( cfr. altresì, in materia penale, Cass. pen. sez. IV 14 novembre 2007, n.10795, secondo cui il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera può essere disposto solamente in presenza dei tre presupposti sopra menzionati, tra i quali vi è il rifiuto o mancata accettazione delle cure da parte del paziente ).
Inoltre, la Cassazione puntualizza che il Trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di persona affetta da malattia mentale “richiede una specifica procedura “, attivata da parte di un medico che verifica l’esistenza della convalida della sua proposta da parte di un altro medico dipendente pubblico, dell’emanazione da parte del Sindaco nella sua qualità di “autorità sanitaria” dell’ordinanza esecutiva ( entro 48 ore ) e della notifica di quest’ultima al Giudice Tutelare ( entro le successive 48 ore ), il quale provvede a convalidare o meno il provvedimento e a darne comunicazione al Sindaco ( l’iter procedimentale in oggetto è delineato dai menzionati artt.33, 34 e 35 l. 833/78 ). E’ chiaro che, data la delicatezza della materia, la specifica procedura disegnata dal legislatore è volta a tutelare proprio la condizione del paziente affetto da disturbo psichico che è il destinatario del provvedimento, prevedendo il concorso nella procedura di organi sanitari e giudiziari con tempi rapidi e certi : di qui la cessazione del TSO da parte del Sindaco in caso di mancata convalida del provvedimento da parte del Giudice Tutelare ( art. 35 comma 2 ), di qui anche la facoltà del soggetto sottoposto a TSO ( e di “chiunque vi abbia interesse” ) di proporre ricorso al Tribunale competente per territorio contro il provvedimento convalidato dal Giudice Tutelare ( art. 35 comma 8 ).
In questo senso è indubbio che - come chiarito dalla Suprema Corte nell’ordinanza che ci occupa - il Trattamento sanitario obbligatorio sia “un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente - ed ove queste lo consentano - per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario “ ( così il ‘principio di diritto’ enunciato dalla Corte, par. 5.3 della decisione ).
3. Dopo aver enunciato il principio di diritto, nei termini appena riferiti, la Corte di Cassazione osserva che nel caso di specie sono state rispettate le condizioni ed i presupposti procedurali per far luogo al TSO, giacchè l’interessato era affetto da un disturbo delirante cronico in fase di scompenso e “aveva ripetutamente rifiutato gli interventi terapeutici proposti “, con conseguente “comprovata sussistenza dei tre presupposti poc’anzi indicati “ ; inoltre, il provvedimento di trattenimento del paziente presso i locali della struttura psichiatrica ove si era recato era stato proposto da un medico e convalidato da un altro medico della struttura sanitaria pubblica, quindi era stato ordinato dal Sindaco del Comune in questione nella sua qualità di Ufficiale di Governo ed infine convalidato dal Giudice Tutelare.
La conclusione della Corte, nel senso del rigetto della domanda risarcitoria del ricorrente, pare corretta e necessitata, alla luce degli elementi di fatto della vicenda sinteticamente descritti nello “Svolgimento del processo “ ; corretto e condivisibile è il principio di diritto enunciato dalla stessa e sopra riportato.
Da ultimo, si intende valorizzare un passaggio della motivazione in cui il Giudice di legittimità rileva che “Nonostante, dal punto di vista normativo, un paziente sia considerato, secondo una visione dicotomica, capace oppure incapace, la realtà clinica suggerisce che possano esistere degli spazi di autonomia e libertà decisionale residui anche in pazienti sottoposti a TSO “ ( par. 5.2 ). Si tratta di un passaggio argomentativo “significativo “ ( cfr. anche, in tal senso, A. Palmieri, op. cit. ), perché mette in evidenza la sensibilità e duttilità dell’approccio della Corte al tema del TSO per disturbo mentale, approccio attento alle risultanze della “realtà clinica”, le quali possono incrinare la visione dicotomica sulla capacità/incapacità del paziente a prestare un valido consenso alle cure : dunque, anche un paziente sottoposto a TSO può avere degli spazi residui di autonomia e libertà decisionale.
In questa prospettiva è ancora più evidente la centralità della questione del consenso informato del paziente, considerato appunto che - come sottolineato dalla pronuncia in oggetto - si può ricorrere al Trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa in concreto possibile, il consenso del paziente ad un trattamento volontario.
Massimo Niro
( giurista, ex magistrato )
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