Si riporta qui un caso non più recentissimo ma qualificante per il profilo del collegamento negoziale tra più negozi giuridici.
Si tratta della Corte di Appello di Perugia, Sez. Civile, Sentenza 20/10/2014, n. 598 mediante cui la concessione di un finanziamento per l’acquisto di un bene attuata dal mutuante attraverso il pagamento diretto del venditore da luogo ad un collegamento negoziale tra il contratto di mutuo di scopo e quello di vendita.
Pertanto in caso di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del venditore, viene meno anche lo scopo del contratto di finanziamento e l’obbligo di restituzione dell’importo mutuato grava direttamente sul venditore, anche quando sussista una clausola di rinuncia a far valere l’inadempimento. Quest’ultima seppur astrattamente valida, quale espressione della libertà negoziale delle parti, deve essere valutata in concreto, alla luce dei principi di buona fede e correttezza, risultando invalida qualora, nell’equilibrio degli opposti interessi, accordi protezione ad una pretesa priva di meritorietà.
la Corte di appello di Perugia richiama la Cassazione, sez. III civile sentenza 19/7/2012, nr. 12454 in cui, a fronte del caso, risultava nell'excursu giudiziario civile che il Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto di vendita per colpa del venditore inadempiente, ma riteneva valide le pattuizioni contenute nel contratto di mutuo concluso dalla donna, ai sensi delle quali ella si impegnava ad effettuare i singoli pagamenti mensili a favore della mutuante anche in caso di inadempienze di qualsiasi genere da parte del fornitore, ivi compresa la mancata consegna del bene.
Anche la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione principale sulla base del fatto che non ravvisavano la nullità delle clausole del contratto di mutuo non avendone ritenuto la vessatorietà, ma soprattutto il rapporto tra la donna e la finanziaria era diverso anche se collegato a quello di compravendita intervenuto tra l’acquirente e la società.
La Corte d'appello, nel rigettare l’appello, fondato sulla mancata declaratoria di risoluzione, oltre che del contratto di compravendita, anche del contratto di mutuo, per la nullità delle relative clausole, vessatorie e contrarie a buona fede, aveva ritenuto che non potesse condividersi l’assunto degli appellanti, in quanto non si ravvisava la dedotta nullità delle clausole del contratto di mutuo, facendo salva l’obbligazione della mutuataria anche nell’ipotesi di mancata consegna del bene da parte del venditore. Il rapporto di cui si controverteva, infatti, era quello di mutuo, diverso sebbene collegato rispetto a quello di compravendita.
Emerge senz'altro che il finanziatore, sebbene non sia parte del contratto di vendita, tuttavia non può neppure ritenersi ‘terzo’ ai sensi e ai fini dell’art. 1372 c.c.: egli ha infatti un interesse proprio nell’operazione. In tale quadro non si ha più una posizione di terzietà,
nell’accezione dell’art. 1372 c.c.: ciò che rileva è non già la (formale) terzietà rispetto ad un altro contratto della medesima operazione e del programma negoziale nella sua complessità, bensì la partecipazione ad uno dei contratti che quell’operazione concorrono a formare. In pratica ogni contraente è parte dell’operazione complessiva e, per ciò stesso, non può qualificarsi terzo all’interno di essa.
In sostanza ed atteso che i contratti collegati vanno interpretati e disciplinati unitariamente, ciascun contratto non potrà dirsi con riguardo ai contraenti dell’altro, una res inter alios acta, proprio perché unitario è il programma economico e, soprattutto, unitario il regolamento divisato, pur nella formale pluralità degli strumenti negoziali posti in essere.
Dalla Cassazione, sez. III civile sentenza 19/7/2012, nr. 12454, la riforma della precedenti decisioni di merito:
" G..L. e M..C. convennero, davanti al tribunale di Roma, la xxxxxxxxx e la xxxxxxxxx chiedendo fosse dichiarata la risoluzione di diritto del contratto di compravendita di un’autovettura, concluso fra la xxxxxxx ed il L. , dichiarando altresì che la C. – che aveva garantito la restituzione della somma versata a titolo di mutuo per l’acquisto dell’autovettura da parte della xxxxxxxxxx – nulla doveva a tale titolo; con l’ulteriore risarcimento dei danni.
Il tribunale, con sentenza del 26.11.2002, dichiarò la risoluzione, per colpa del venditore inadempiente, del contratto di compravendita, ritenendo, invece, valide le pattuizioni relative al contratto di mutuo concluso dalla C. .
Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 27.7.2006, rigettò l’impugnazione principale del L. e della C. e quella incidentale della xxxxxxxxx .
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La Corte d’Appello ha valutato i due contratti – di compravendita e di mutuo – ritenendo l’autonomia del rapporto intercorso fra la mutuataria e la società finanziatrice rispetto a quello relativo al contratto di compravendita, affermando che fosse “diverso sebbene collegato”.
Nulla ha detto, invece, circa un potenziale collegamento negoziale rivendicato dagli attuali ricorrenti nella specie.
A tal fine debbono premettersi alcune considerazioni in tema di collegamento negoziale.
Il collegamento negoziale – espressione dell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c. – è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato, non attraverso un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicché le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro.
Ciò che vuoi dire che, pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi (v. anche Cass. 10.7.2008 n. 18884).
Perché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico – che impone la considerazione unitaria della fattispecie – sono quindi necessari due requisiti.
Il primo è quello oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, finalizzati alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario.
Il secondo è quello soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione. di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (v. per tutte Cass. 17.5.2010 n. 11974; Cass. 16.3.2006 n. 5851).
Sul piano processuale, poi, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito; ma un tale apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, solo se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Cass. 17.5.2010 n. 11974).
Nella specie, la Corte di merito, nell’affermare l’autonomia dei due rapporti – quello di compravendita e quello di mutuo “diverso sebbene collegato” -. non ha considerato, né messo in rilievo le seguenti circostanze.
a) Lo stretto legame funzionale esistente fra il contratto di compravendita e quello di mutuo destinato a finanziare l’acquisto del veicolo oggetto della compravendita;
b) La circostanza che le trattative per la concessione del mutuo erano state condotte all’interno dei locali della venditrice dell’autovettura (Tontini Auto srl);
c) La qualità delle parti, coniugi: il L. acquirente del veicolo, la C. mutuataria;
d) La destinazione immediata della somma mutuata alla società venditrice dell’autovettura.
Tali circostanze, se complessivamente considerate, avrebbero reso evidente che il contratto di mutuo concluso dalla C. era finalizzato soltanto all’acquisto del veicolo del coniuge.
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In questo contesto, poi, alcun rilievo riveste la circostanza che i singoli contratti fossero stati stipulati tra soggetti diversi, posto che la fattispecie del collegamento negoziale è configurabile anche in questo caso, a patto che gli stessi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo voluto dalle parti (Cass. 16.9.2004 n. 18655; Cass. 5.6.2007 n. 13164).
È altresì evidente che in ipotesi del genere, il contratto di mutuo si atteggi quale mutuo di scopo in relazione alle concrete previsioni contrattuali che prevedevano, tra l’altro, la specifica destinazione del finanziamento all’acquisto del veicolo in oggetto.
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Il mutuo di scopo – va sottolineato – generalmente è caratterizzato dalla consegna al mutuatario di somme di denaro od altre cose fungibili allo scopo esclusivo di raggiungere una determinata finalità espressamente inserita nel sinallagma contrattuale (v. anche Cass. 11.2.2011 n. 3392).
Nel caso in esame – come si desume dagli atti difensivi – su delega della mutuataria, la somma era stata versata direttamente al venditore dell’auto.
La Corte di legittimità si è già pronunciata in analoghe circostanze (v. da ultimo Cass. 16.2.2010 n. 3589), enunciando il principio per il quale, nell’ipotesi di contratto di mutuo, in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, sussiste il collegamento negoziale tra tali contratti (di compravendita e di mutuo), per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione.
Da ciò deriva che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene – che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo – legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore (Cass. 19.5.2003 n. 7773; Cass. 23.4.2001 n. 5966; Cass. 21.7.1998 n. 7116; Cass. 20.1.1994 n. 474).
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Da ultimo, qualche considerazione merita l’argomento legato alle clausole del contratto di mutuo 1 e 3 secondo cui “il cliente conferisce sin d’ora disposizione perché l’importo richiesto a xxxxxxxx venga versato direttamente a favore del fornitore, senza obbligo di rendiconto alcuno e dopo aver ricevuto da questi dichiarazione di disponibilità del bene e, comunque, indipendentemente dalla sua effettiva consegna” e 4 secondo cui “il cliente si impegna ad effettuare i singoli pagamenti mensili a favore di xxxxxxxxxx nei modi e nei termini convenuti anche in caso di inadempienze di qualsiasi genere da parte del fornitore, ivi compresa la mancata consegna del bene richiesto”, che avrebbero fatti salvi gli effetti obbligatori derivanti dal contratto di mutuo anche nel caso in cui fossero venuti meno quelli del contratto di compravendita e che – secondo la Corte di merito – non erano contrarie ai principi di buona fede, “dovendo escludersi un comportamento della xxxxxxxxx lesivo della buona fede della C. “.
Una clausola come quella enunciata al n. 4 – di rinuncia a far valere nei confronti del mutuante l’eccezione di mancata consegna del veicolo -, e che sarebbe potuta essere considerata astrattamente valida quale espressione della libertà negoziale delle parti, tale da far gravare il rischio della mancata consegna sul mutuatario, il quale non avrebbe potuto opporre al mutuante l’eccezione di inadempimento (così Cass. 24.5.2003 n. 8253) – nell’attuale contesto deve essere interpretata alla luce dei principi di buona fede e di correttezza.
Questi, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all’inderogabile dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., costituiscono un canone oggettivo ed una clausola generale che attiene, non soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale ed alla sua interpretazione, ma che si pone come limite all’agire processuale nei suoi diversi profili (v. anche Cass. 22.12.2011 n. 28286).
Il criterio della buona fede costituisce, quindi, strumento, per il giudice, atto a controllare, non solo lo statuto negoziale nelle sue varie fasi, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, ma anche a prevenire forme di abuso della tutela giurisdizionale latamente considerata (v. ad es. Cass. 3.12.2008 n. 28719; Cass. 11.6.2008 n. 15476).
Ora, il giusto equilibrio degli opposti interessi – il balancing test – attraverso il quale deve essere interpretata la clausola negoziale in esame non è stato effettuato dal giudice del merito che l’ha ritenuta tout court pienamente valida alla luce di una pregressa giurisprudenza di questa Corte richiamata, ormai superata dalla evoluzione del principio di buona fede quale canone generale e criterio di interpretazione costituzionalmente tutelato e riconosciuto dalla più recente giurisprudenza di legittimità.
In sostanza, ciò che si vuol dire è che la meritorietà della tutela, nella interpretazione della Corte di Cassazione, si è evoluta fino ad acquisire un ruolo determinante come ratio decidendi della controversia; nel senso che non può essere accordata protezione ad una pretesa priva di meritorietà. Ora, nella specie, una siffatta clausola di rinuncia a far valere l’eccezione di mancata consegna del veicolo a fronte della consegna diretta della somma dal mutuante al venditore e della clausola del contratto di mutuo secondo la quale questo s’intendeva perfezionato con la messa a disposizione del venditore dell’importo finanziato, deve, invece essere interpretata alla luce dei principi enunciati tenendo presente, da un lato, l’interesse del mutuante che avrebbe la possibilità di ripetere la somma dal venditore al quale l’aveva direttamente consegnata e, dall’altro, la condizione del mutuatario che, anche a fronte della mancata consegna del bene, dovrebbe continuare a restituire somme, mai percepite, ma entrate direttamente nella sfera di disponibilità del venditore favorito dalla diretta consegna, da parte del mutuante, della somma, pur senza avere adempiuto all’obbligazione di consegna dell’autovettura (v. anche Cass. 11.2.2011 n. 3392).
D’altra parte, nella specie, l’interpretazione della volontà negoziale – ai sensi degli artt. 1175 e 1375 – deve essere condotta alla luce degli evidenziati elementi di un collegamento negoziale in cui le condotte di buona fede delle parti s’inseriscono.
Questi sono i principi alla luce dei quali il giudice del rinvio dovrà esaminare la fattispecie in esame.
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Riportiamo qui anche l'interessante pronuncia della Cassazione, sentenza n.18884 del 10 luglio 2008 del per cui:
" .... da un lato, che il collegamento negoziale non da luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.
Pertanto, in ipotesi siffatte, il collegamento, pur potendo determinare un vincolo di reciproca
dipendenza tra i contratti, non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica (Cass. 12 luglio 2005, n. 14611), come puntualmente affermato dai giudici del merito allorchè hanno evidenziato che il grave
inadempimento, al contratto di affitto, della M.D. che pur garantito la disponibilità dell'immobile fino al 2006, aveva, invece, in forza del diverso contratto di locazione, titolo per disporne solo fino al 1996, e poi al 1999; ".
Ciò che è importante evidenziare è che, ancora una volta, ciò che rileva nella elaborazione del fenomeno di cui al titolo è la causa del contratto, più che nella sua accessione di funzione economico sociale in quella concreta ed individuale ovvero identificativa nella ragione pratica dell’operazione negoziale, l’assetto di interessi al quale le parti intendono dare vita attraverso il negozio da loro posto in essere. L’accertamento della sussistenza della causa sembra relativamente semplice con riferimento a quelle operazioni negoziali che il legislatore provvede a regolare espressamente: queste operazioni vengono comunemente definite come contratti tipici, ed hanno una causa già individuata e riconosciuta dall’ordinamento come idonea a giustificarne la realizzazione. Si parla in detti casi di tipicità negoziali, con riguardo alla causa in astratto, di funzione economico-sociale del negozio
giuridico.
E' diverso il tema circa la valutazione se il contratto materialmente concluso dalle parti, riconducibile ad uno dei tipi regolati dall’ordinamento, possa, nella sua concreta individualità risultare idoneo a realizzare quel determinato assetto di interessi che i contraenti perseguono attraverso la materiale stipulazione di un determinato negozio, la ragione pratica che, nella realtà, induce le parti a concludere quel contratto, Si avrebbe con riguardo alla causa in concreto una reale funzione economico-individuale del negozio giuridico. D'altra parte l’art. 1322 c.c. riconosce il diritto alla conclusione di contratti non corrispondenti ai tipi previsti dal legislatore, i c.d. contratti atipici o innominati, che i privati possono concludere allorquando gli schemi negoziali contemplati dall’ordinamento non consentono di realizzare l’assetto di interessi da questi perseguito.
Si tornerà sull'argomento.