Famiglia, relazioni affettive  -  Anna Berghella  -  20/03/2023

Sharenting ovvero i figli in vetrina

Un inglesismo che faremmo bene ad imparare, coniato negli States nel 2010. 

È dato dalla combinazione di due parole, share e parenting, e descrive i comportamenti di chi condivide sui social la propria genitorialità.

Lo Sharenting rappresenta quel fenomeno, ormai sempre più diffuso, di ottenere montagne di like dalle tenerissime pubblicazioni sui social di foto e video dei propri figli minori. 

Si stima che almeno il 50% dei genitori condivide abitualmente contenuti riguardanti il proprio figlio su Facebook, Instagram o TikTok.

Il musetto sporco di gelato, il bacetto sulla bocca con la mamma, il pupo grasso grasso in mezzo ai nonni sorridenti, il cucciolo nudo sul fasciatoio. Per non parlare dei video, dalla caduta sugli sci al balletto esilarante: esposizioni giornaliere di ogni momento della quotidianità dei bambini.  

Il problema nasce dal fatto che questi piccoli saranno adulti in futuro, e che il web non dimentica. Già dalle elementari quelle che sono sembrate foto affettuose e dolcissime si ripercuotono sulla loro vita, non poche volte dando vita a fenomeni di bullismo.

La preoccupazione che nasce è che quando saranno più grandi questi bambini non potranno più tutelare la loro privacy dopo un’esposizione massiva sui social a cui non hanno potuto dare il loro consenso, catapultati nella rete da chi avrebbe dovuto proteggerli.

Molti genitori si ritengono i legittimi ‘gestori’ della privacy dei figli, ma quando questi bambini diventano adolescenti potrebbero desiderare di avere una diversa tutela della loro esposizione mediatica. 

Non a caso, cominciano a far notizia le prime cause intentate dai figli verso i genitori che si rifiutano di rimuovere le loro foto da Facebook.

Consideriamo anche il rischio che le foto dei minori cadano nella rete dei pedofili, che collezionano foto di bambini per il gusto di guardarle. 

Non farebbe piacere a nessun genitore sapere che il loro passerotto è incappato nell’agguato di una persona che è attratta eroticamente da lui. 

Eppure è stato verificato che il 50% delle fotografie scambiate sul forum di pedopornografia sono state pubblicate proprio dai genitori.

Prendiamo atto anche del problema dell’adescamento, perché una serie di notizie pubblicate, con le foto a corredo di esse, consente di conoscere dati, luoghi, abitudini di vita e facilita in modo semplice e diretto il contatto illecito.

Quindi se è pur vero che probabilmente, e dico probabilmente, i nativi digitali svilupperanno un senso della privacy diverso dal nostro, molto più blando essendo appunto cresciuti con il web, i rischi di far involontariamente loro del male è troppo concreto per continuare a “sharentinggare”. 

L’esigenza di tutela di questo fenomeno è molto sentita oltreoceano, ma da qualche tempo anche un po’ in tutto il mondo occidentale, e credo che presto ci saranno nuove norme per custodire, garantire e sorvegliare la vita privata dei bambini. 

Già in Francia si sta discutendo in questi giorni una proposta di legge per limitare questa prassi di pubblicare foto e video di minori che spesso è associata non solo al piacere di ricevere valanghe di like ma anche a lauti guadagni. 

Bruno Studer, fedele a Macron, chiede con il suo progetto di legge di limitare la responsabilità genitoriale sul diritto all’immagine dei propri figli: con questo mira a far comprendere ai genitori che devo proteggere loro per primi la privacy dei loro figli. E le pene non sono solo pecuniarie ma prevedono la sospensione della responsabilità genitoriale ma anche se necessario l’affidamento ad un terzo della tutela della privacy dei bambini sovraesposti.

Quindi, quando pubblichiamo la foto o un video di bambini, chiediamoci se lo esponiamo a qualche rischio, se stiamo ledendo la sua dignità attuale o futura, se una risata di oggi non possa essere un’offesa, una denigrazione, un domani.




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