-  Mazzon Riccardo  -  06/11/2014

RISARCIMENTO CONSEGUENTE A RESPONSABILITA' DELLA PERSONA GIURIDICA: FATTO PROPRIO O FATTO ALTRUI? - RM

- la portata del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231

- responsabilità per fatto proprio o per fatto altrui?

- la normativa, lungi dal prevedere un caso di responsabilità di tipo indiretto, ha introdotto, nel nostro sistema giuridico, un illecito risarcibile ex articolo 2043 del codice civile, conseguente a responsabilità da fatto proprio: diversa, invece, è la responsabilità ex art. 2049 c.c. (caso tipico di responsabilità da "fatto altrui".

Il nostro ordinamento giuridico non è affatto digiuno di ipotesi normative (si pensi anche al c.d. danno erariale:

"la responsabilità per l'illecito produttivo di danno erariale commesso dall'amministratore di una società di capitali, ancorché questi abbia agito con dolo e per interessi suoi personali, si estende alla stessa società, salvo che quest'ultima provi di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire illeciti della stessa specie") (Corte dei Conti, sez. I, 23 novembre 2009, n. 651, RCC, 2009, 6, 122),

che prevedono, per le società, responsabilità autonome e dirette, ben distinte da quella delineata dall'articolo 2049 del codice civile: si pensi, ad esempio, alla norma di cui all'art. 2504 quater c.c. (per la quale "Resta salvo il diritto al risarcimento del danno" anche quando l'invalidità dell'atto deliberativo non può più essere pronunciata), la quale evidenzia che, quanto alla società, il risarcimento del danno derivante dalla delibera illegittima involge una "responsabilità oggettivamente derivante dall'accertamento dei vizi di invalidità della deliberazione nonché dalla lesività della stessa rispetto al patrimonio del socio, il cui carattere esclude la necessità di ulteriore dimostrazione di condotte negligenti di soggetti impersonanti gli organi sociali"; si tratta di una responsabilità autonoma e diretta, cui può aggiungersi quella indiretta ex art. 2049 c.c. per il fatto dei suoi amministratori: ben può esserci, infatti, il concorso della responsabilità di questi ultimi per l'aver predisposto il progetto con quel rapporto di cambio e per aver eseguito una delibera invalida; sicché con la responsabilità diretta e contrattuale della società concorrerà quella extracontrattuale della stessa "dato che il medesimo fatto viola contemporaneamente tanto i diritti derivanti agli azionisti dal contratto, quanto i diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso":

"Conforta l'attribuzione di una responsabilità diretta alla società deliberante la considerazione che sul piano giuridico esiste un chiaro criterio di imputabilità degli atti delle persone fisiche alI'ente collettivo (cd. persona giuridica) onde la delibera, frutto dell'espressione di volontà dei singoli soci, è per l'appunto un atto della società; peraltro detto atto costituisce il mezzo attraverso il quale i soci danno esecuzione al contratto sociale, sicché, se la delibera ha costituito un atto illecito (come è nella specie per violazione del diritto dei soci ad un congruo rapporto di cambio), essa non può che dar luogo alla responsabilità contrattuale diretta della società; questa, però, potrà rivalersi sulle persone fisiche (singoli soci ed amministratori) le quali, agendo illegittimamente (rispettivamente abusando del voto o violando nella gestione i doveri imposti dalla legge), abbiano coinvolto la società proprio in forza dei meccanismi di imputazione che presiedono al concetto di persona giuridica, determinando il sorgere di una sua responsabilità patrimoniale ed esponendola al danno del risarcimento" (Trib. Milano, sez. VIII, 27 novembre 2008, n. 14099, GiustM, 2008, 11, 74);

si confronti, ulteriormente, la pronuncia che segue, la quale evidenzia come la responsabilità dell'ente non sia necessariamente collegata ad un accertamento di responsabilità colposa o dolosa dei suoi dipendenti, poiché le norme che regolano l'Audit delle società quotate sono indirizzate alla società di revisione in quanto unico soggetto - persona giuridica - abilitato a svolgere detta attività; sicché non si tratta di responsabilità indiretta dell'ente per attività di persone fisiche, alla stregua dell'art. 2049 c.c., ma di responsabilità diretta che si riflette, in via discendente, nella sfera delle persone fisiche che hanno agito nel suo interesse (e paragonabile pertanto al modello di responsabilità della società controllante oggi prevista anche nell'art. 2497 c.c. in riferimento all'attività di controllo e di direzione del gruppo):

"di conseguenza, la verifica sul corretto svolgimento dell'attività di Audit porta l'interprete ad emettere primariamente un giudizio sulle modalità con cui è stato espletato il controllo contabile attraverso la struttura organizzativa con cui opera, la valutazione non ricollegandosi necessariamente alle condotte assunte dai singoli professionisti incaricati: per questo motivo risulta essenziale verificare se nel corso delI'Audit sono state eseguite le procedure che dall'esterno regolano e ritmano la sua attività. L'atteggiamento d'inosservanza di norme di comportamento professionale, legislativamente normali, può determinare il simultaneo concorso delle due fattispecie di responsabilità - contrattuale ed extracontrattuale -" (Trib. Milano, sez. VIII, 4 novembre 2008, n. 12949, GiustM, 2008, 11, 76).

Ciò premesso, in tema di responsabilità oggettiva delle società, è preliminarmente opportuno chiarire la portata del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (in Gazzetta Ufficiale 19 giugno, n. 140), che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300; esso, infatti, lungi dal prevedere un caso di responsabilità di tipo indiretto, ha introdotto, nel nostro sistema giuridico, un illecito risarcibile ex articolo 2043 del codice civile, conseguente a responsabilità da fatto proprio: è, infatti, pacifico che il d.lg. 231/2001 ha introdotto un illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. che consegue ad una responsabilità da fatto proprio e non da fatto altrui (art. 2049 c.c.), responsabilità più volte definita nel corpo del decreto come 'dipendente da reato', ma il cui accertamento è autonomo ai sensi dell'art. 8 d.lg. 231/2001 da quello del reato presupposto; i due accertamenti sono concentrati nella giurisdizione penale, alla luce dell'archetipo normativo delineato dall'art. 24 l. 689/81, che rimane indicativo della necessità di concentrazione (pur essendo la responsabilità prevista dalla l. 689/81 di carattere solidale, mentre quella nascente dal d.lg. 231/01 una responsabilità diretta); Inoltre, la concentrazione determina una giurisdizione esclusiva in capo al giudice penale che risponde all'applicazione dei principi costituzionali del diritto di difesa, del giusto processo, dell'unità della giurisdizione:

"gli argomenti sopra indicati non consentono di addivenire ad una declaratoria di inammissibilità dell'azione risarcitoria neppure in caso si voglia riconoscere la natura non esclusiva della giurisdizione penale a conoscere anche dell'illecito amministrativo, a fronte dell'assenza di qualsiasi appiglio normativo di segno contrario e posto che l'unicità della competenza del giudice civile non trova alcun fondamento costituzionale, sistematico e letterale. La lettura del combinato disposto degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p., che in senso strettamente letterale legittimano attivamente il danneggiato da reato e passivamente l'imputato ed il responsabile civile, deve essere fatta alla luce dell'art. 35 d.lg. 231/01 che ritiene applicabili le norme processuali dettate a favore dell'imputato anche all'ente. Inoltre, l'art. 34 d.lg. 231/01 rinvia all'applicabilità delle norme del codice di rito penale e delle disposizioni d'attuazione 'in quanto compatibili'" (GIP Milano 5 febbraio 2008, Fambr, 2008, 2, 219),

Non si può, infatti, certo discorrere di responsabilità da fatto altrui, com'è invece quella disciplinata dall'articolo 2049, stesso codice (cfr. amplius capitolo dodicesimo del volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012 -), anche perché il d.lg. 231/01 ha introdotto una responsabilità da illecito avente natura composita che presuppone un reato ma ha natura amministrativa, in quanto privo delle caratteristiche formali tipiche del reato; l'ente chiamato a rispondere di tale illecito difetta dunque di soggettività penale, invero espressamente definita amministrativa agli art. 1 e 55 d.lg. 231/01 e nella l. 146/06, e risponde per una responsabilità diretta per il fatto proprio (ex art. 2043 c.c. e non ex art. 2049 c.c.) ma di natura amministrativa:

"sol che si pensi al sistema sanzionatorio così particolarmente atteggiato da prevedere la confisca come sanzione principale invece di misura di sicurezza patrimoniale. Indice della natura amministrativa della responsabilità dell'ente ex d.lg. 231/01 è - oltre alla mancanza delle caratteristiche strutturali - il fatto che la definizione di reato riporta a sanzioni tipiche. L'argomentazione secondo cui la natura dell'illecito "de quo" ha natura sostanzialmente penale non può inferire anche l'assimilazione formale in tale senso, attesi i principi di legalità, tipicità, tassatività e del divieto di analogia che governano il sistema penale" (GIP Milano 18 gennaio 2008, Fambr, 2008, 2, 207).

Inutile riferire come le due fattispecie non vadano confuse: la disciplina della responsabilità amministrativa delle società, articolata in parallelo con quella concernente la responsabilità penale dell'autore del reato, si attesta infatti su un piano di autonomia, pertanto, non potendosi ancorare la responsabilità civile dell'ente ad un giudizio di sua colpevolezza in ordine al reato commesso nel suo interesse, ne deriva, per il suddetto precetto normativo, che l'ente potrà essere chiamato a rispondere del danno derivante da tale reato non in via diretta ma in qualità di responsabile civile ex art. 83 e ss. c.p.p., dovendosi configurare in capo allo stesso la responsabilità per fatto altrui prevista dall'art. 2049 c.c., da ciò derivando la dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile esercitata nei confronti delle società indagate:

"per prima cosa, infatti, in evidente deroga al disposto di cui all'art. 316 comma 2 c.p.p. che estende alla parte civile la richiesta di sequestro conservativo a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, l'art. 54 d.lg., nel prevedere e disciplinare il sequestro conservativo dei beni facenti capo all'ente, ne limita l'operatività alle garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, ponendo, di conseguenza, il P.M, quale unico titolare della relativa richiesta. D'altra parte l'art. 45, nel richiamare in chiusura l'art. 316 c.p.p., fa rinvio esclusivamente al comma 4, escludendo pertanto disposizioni di cui al comma 2 e 3 concernenti appunto le facoltà della parte civile. E ancora occorre sottolineare che la disciplina contenuta nell'art. 69 d.lg. concernente la sentenza di condanna pronunciata a carico dell'ente, non fa alcun cenno delle questioni civili. Nè del resto risultano norme parallele a quelle di cui agli art. 539, 540. 541 c.p.p. concernenti la condanna ai danni ed alle spese relative all'azione civile" (Trib. Milano 9 marzo 2004, RDoC, 2004, 907).

Da segnalare, peraltro, come qualche pronuncia, talvolta, sembri invece confondere i due piani, che debbono, invece, restare nettamente distinti:

"l'eventuale commissione di un illecito ai sensi del d.lg. n. 231/2001 può, almeno in astratto, costituire al contempo fattispecie produttiva di illecito extracontrattuale di cui l'ente deve rispondere in sede civile per responsabilità diretta, in base al principio generale della preposizione che dal sistema del codice civile (art. 2049 c.c.) emerge quale criterio di imputazione del fatto illecito. È senz'altro possibile adire direttamente il giudice civile e, dimostrata incidentalmente la sussistenza sia del reato che dell'illecito amministrativo che in base ad esso sarebbe contestabile all'ente, ottenere il risarcimento dei danni subiti, previa naturalmente la doverosa prova circa il nesso di causalità ed il "quantum". Se questo è vero, non si vede perché tale azione non possa essere trasposta nel processo penale" (GIP Napoli 25 gennaio 2008, RDoC, 2008, 4, 762).

 




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