Sono stata invitata a partecipare. Le relatrici/ relatori sono compagni di lavoro di esperienze innovative ed ormai trascorse. Quelle che mi invitano, insomma, sono persone che ho conosciuto e stimato. Come mai allora non sono lì ad ascoltare? Uno dei Seminari si è tenuto, giovedì 25 novembre poi lunedì 29. Cambio di passo, perché no? Ripenso la citazione di Eliot:
“Il linguaggio delle parole è insomma inefficace, inadatto, troppo vago e ambiguo, per condurre alla vera comunicazione tra le persone
Non vi è altro da fare che tentare. Il resto non è affar nostro. Ecco perché non sono lì. Nonostante il motto pur suggestivo nel suo proposito di voler fare “la felicità degli altri”.
Potrei dire loro:
“e se volessimo farne un affar nostro, nostro almeno in parte, cioè potessimo dire “quello che asserisco lo conosco perché l’ho vissuto e quello che non ho vissuto mi impegno a viverlo così come dico a voi se anche a me toccherà in sorte”?.
Potrei dire ancora:
“Sapete dove i vostri interventi abituali vi hanno portato finora. Non ha alcun senso continuare come prima, per voi o per me, poiché io non ho alcun desiderio di lavorare con voi se voi rimanete come siete. Volete conoscenza, ma ciò che avete avuto fino ad oggi era conoscenza fuori di voi. Non è sufficiente per l’altro, per i tanti altri ai quali vi rivolgete. Non nella direzione di un reale cambiamento.
Perché ci sia questo cambiamento vanno messe in giuoco l'equilibrio e l'unità dell'essere. E' solo abbandonando tutte le tensioni in una certa forma di lasciare andare che ci si apre ad un'altra forza di attrazione.
E si diviene liberi di lasciarsi agire”.
Eppure la mia domanda lo so, lo prevedo, per loro resta non sciolta, quella sul cambio di passo, intendo. Perché no? Fare “la felicità degli altri” attraverso le nostre conoscenze “acquisite fuori di noi”?
Non ci credo più in questa semplicità d’impresa, amici miei.
Per dirla ancora con Eliot
“ogni impresa / è un nuovo inizio, un'incursione nel vago / con strumenti logori che sempre si deteriorano / nella generale confusione di sentimenti imprecisi irrompono / indisciplinate squadre di emozioni.”
Come è vero.
Dal 2004 in poi si è presentata per me una strana occasione, una occasione per il “cambio di passo”, non posso definirla con altro sostantivo.
Ho cercato nella mia casa, nel luogo della mia vita, del mio riposo e della mia quiete ( Eliot) l’inveramento di quello che so e che dico nelle relazioni, nelle pubblicazioni.
Ma cambiar passo comporta uno spogliarsi, come uno svuotarsi. Per essere sufficientemente sensibili (disponibili). Si deve essere in grado di lasciare andare quello stato di tensione che compare ad ogni istante in una forma o in un'altra, sia questa un eccesso di volontà, il desiderio di risultato, o un qualunque tipo di paura. Solo allora si avrà, come in una danza, “il cambio di passo”.
E potrei concludere così il mio intervento, se fossi lì con voi:
“Ho scritto di questo, qui a personedanno. Vi ho inviato in lettura ciò che ho pubblicato ma voi, che prima eravate con me, non avete “raccolto”.
Ma potrei davvero dire questo ai miei amici del passato nel corso di un seminario, un dotto disquisire, lungamente preparato, dal quale si attendono risultati? Chiedere la parola e poi ……Certo che no. Non vesto i panni del profeta ma quelli quotidiani di una normalissima operatrice del diritto.
Posso provare a scriverlo e renderlo pubblico ancora una volta ed ancora, con pazienza, sottoporlo alla riflessione di chi voglia leggerlo.
Userò la forma del discorso quasi diretto perché voglio comunicare non solo asserire. Allora, dirò:
“Il mio tempo vivo (che si colloca, per ora, nell’arco di appena sei anni) é iniziato con una riflessione asciutta sull'uso e sul significato delle parole e ha trovato una prima conclusione nella convinzione della loro inadeguatezza ad esprimere la realtà delle cose.
Vorrei dire ai miei amici, alle antiche compagne/i di lavoro e di tante esperienze, che per comunicare veramente dobbiamo iniziare dalla parte più intima di noi stessi, dalla nostra casa interiore, ma anche dal luogo del nostro riposo e della nostra vita.
Perché – direi ancora- quando mi sono allontanata dal lavoro condiviso con voi mi è parso di uscire da una interminabile partita a scacchi. Scrivevo, anche allora, e parlavo come voi ai Convegni ma:
“bisogna partire con il piede giusto”.
Così dicevano ( e dicono) quelle/i che scrivono e parlano ai Convegni con ambizione. Perché l’attacco apre delle possibilità precluse a chi dovesse muovere inizialmente i pezzi sbagliati: come in una partita a scacchi dove non si possono sbagliare le prime mosse. Ed anch’io la avevo, come voi, una mossa vincente. A proposito delle parole e del loro potere di cambiamento ho ritenuto a lungo fosse possibile che il “logorio da uso” rendesse, alla fine, certe parole introdotte dalle nuove leggi ancora più preziose. Scrivevo sull’onda di questa suggestione, e il mio linguaggio illuminato dall’ attesa era una mossa vincente: vincente per le “docenze” in Univerisità, per le “relazioni” ai Convegni di Studio Nazionali, ed a partecipazione Internazionale pure. Il resto non era “affar nostro”. Ma in tanti anni di lavoro sul linguaggio legislativo dell’uguglianza, della non conflittualità, della personalizzione di ciascuno e di tutti nelle relazioni familiari, della esistenzializzazione del diritto privato almeno in alcuni suoi istituti, mi sono resa conto che, ogni volta, “vincente” non era l’inveramento di tutto ciò. Non saprei certo trovare parole adatte ad un discorso comunicativo e perciò solo “quietamente indignato”, per esprimere ciò che ho provato leggendo, a proposito della genitorialità condivisa, dell’affido condiviso, questo titolone di un seminario leccese recente“ Vinca il minore”!
Dirò soltanto che il persistere di termini come “minore” e “vittoria” nella materia familiare sono la spia della palude nella quale ancora sprofonda la “custodia congiunta” prevista finalmente per legge. Alcune parole restano, dunque, nuove di zecca, non usate dal di dentro. Come le idee, nessun inveramento le rende quotidianamente familiari comode, abituali, logore ed impreziosite. Preziosa resta invece la mossa iniziale che le promette. Mossa illuminata e determinante per l’esito della nostra partita a scacchi, in Tribunale, in Università, nei Convegni:”Complimenti,avvocato”.
Prego il cortese lettore che abbia seguito con attenzione (e spero interesse) questo mio argomentare, di leggere di seguito anche i tre saggi che richiamo e che troverete nel link a fine pezzo:
“NOMEN OMEN GENITORI”
“ADS 2004 2009: ALZHEIMER UNA SCONFINATA DEDIZIONE
ed ancora 30 ottobre 2010 "L.6/2004 EFFETTIVITÀ DEI DIRITTI DEL BENEFICIARIO: POTENZIAMENTO DELLE RISORSE E DELLE RELAZIONI AFFETTIVE FAMILIARI”.
La PAROLA CHIAVE
OCCUPARSI DI i genitori dei figli, i fratelli delle sorelle e le sorelle dei fratelli e tutti insieme di nuovo, nella vecchiaia dei genitori, uniti ad essi come nel corpo a corpo originario ma rovesciato ed “esorcizzato” perché
“nel mio principio è la mia fine / nella mia fine è il mio principio
perché
“c'è un tempo per la sera sotto un cielo stellato, / un tempo per la sera alla luce di una lampada/ la sera passata a sfogliare un album di fotografie.”.
ed infine perché
“l’amore si avvicina di più a sé stesso / quando il luogo e l'ora cessano di avere importanza.”. ”(T.Eliot)
In questo percorso familiare nessuno può sostituirci, non ci sono deleghe tant’è che lo stesso diritto le relazioni familiari le “regola” sì, .ma non le “comprende”, così per le altre scienze che le spiegano, le studiano, le osservano. Ma
“ogni impresa / è un nuovo inizio, un'incursione nel vago / con strumenti logori che sempre si deteriorano / nella generale confusione di sentimenti imprecisi irrompono / indisciplinate squadre di emozioni.”( Eliot)
Ed allora occorre completare le nostre certo preziose conoscenze dal di fuori con la insostituibile conoscenza dal di dentro che ci consente, solo lei, di dire le parole attese
“quello che asserisco lo conosco perché l’ho vissuto e quello che non ho vissuto mi impegno a viverlo così come dico a voi se anche a me toccherà in sorte”
E’ affare anche nostro, dunque, il cambiar passo
( g.t.)
in limine
Il poeta Eliot visitò il villaggio di East Coker nel Sommersetshire negli anni 1936-1937 e le sue ceneri sono sepolte nel cimitero a fianco della chiesa. Dentro la chiesa una targa ricorda che vi fu deposto nel 1965. Su di essa sono scritte le parole che Eliot stesso scelse come epitaffio, il verso di inizio e quello finale di una sua opera assai bella East Coker: in my beginning is my end / in my end is my beginning (nel mio principio è la mia fine / nella mia fine è il mio principio).
link nOMEN OMEN GENITORI
ADS 2004 2009: ALZHEIMER UNA SCONFINATA DEDIZIONE
L.6/2004 EFFETTIVITÀ DEI DIRITTI DEL BENEFICIARIO: POTENZIAMENTO DELLE RISORSE E DELLE RELAZIONI AFFETTIVE FAMILIARI