Danni  -  Redazione P&D  -  27/09/2021

Quale danno risarcibile per le vittime di reati violenti - Giuseppe Piccardo

Ho letto con grande attenzione l’articolo del Prof. Cendon, pubblicato sulla presente pagina in data 23 agosto 2021, dal titolo “Responsabilità per la morte di qualcuno, dello Stato per concorso colposo in femminicidio”, che ipotizza una possibile responsabilità dello Stato in relazione alla mancata, adeguata, tutela delle donne vittime di questo odioso e sempre più diffuso reato.

Il collegamento con una sentenza non molto divulgata, ma di non scarsa rilevanza, e precisamente Cass. 24.11.2020 n. 26757, è stato pressochè immediato, in quanto la suddetta pronuncia riguarda specificamente la questione del risarcimento del danno alle vittime di violenza, in particolare di violenza sessuale, nel proprio Paese di residenza (c.d.“non transfrontaliere”), anche in assenza dell’instaurazione di un giudizio civile  di responsablità nei confronti dell’autore o degli autori del fatto criminoso.

La sentenza, inoltre, si occupa della questione della misura del ristoro liquidato e al riguardo, statuisce che esso non può essere meramente simbolico e che, anche se  stabilito in misura “forfettaria”, deve risultare “equo e adeguato”, vale a dire parametrato alle conseguenze reali  ed effettive del fatto di reato.

Se da un lato, la sentenza fa riferimento ad un percorso evolutivo, in ambito comunitario, di contrasto alla violenza di genere, realizzato, tra l’altro, con la Direttiva 2004/80/CE (recepita dall’Italia con il D.Lgs. 9.11.2007 n. 204), che all’art. 12, par. 2 ha imposto l’obbligo per gli Stati membri di prevedere un meccanismo in forza del quale siano gli Stati stessi a farsi carico di un ristoro equo ed adeguato alle vittime, nei casi di impossibilità di poterlo richiedere all’autore del reato, da altro angolo visuale non si può tacere lo stupore nell’assistere all’uscita di Paesi, quali la Turchia, dalla Convenzione di Istanbul, il primo e unico atto  internazionale vincolante contro la violenza di genere.

Quanto sopra, proprio quando nel mondo si assiste alla ripresa dell’avanzare di regimi, quali quello dei talebani in Afghanistan, che fanno della discriminazione, per non dire dell’odio verso le donne, una bandiera;  un vessillo, che paradossalmente è di colore bianco.

A quanto sopra, si deve aggiungere che l’Italia, sebbene abbia recepito la Direttiva sopra citata, con il Decreto Legislativo 204 /2007, tuttavia non ha adempiuto all’articolo 12, par. 2 della Direttiva medesima, come statuito dalla sentenza della Suprema Corte alla quale si è fatto riferimento, in quanto l’estensione applicativa della normativa comunitaria è stata interpretata, da diversi Tribunali (come rilevato dalla Corte di Giustizia europea), in modo restrittivo,  nel senso di non ritenere applicabile la Direttiva e, quindi, non risarcibile, il pregiudizio subito dalla vittima a seguito di un reato commesso nello Stato di residenza, in quanto la disciplina UE  farebbe riferimento esclusivamente alla fattispecie di “transfrontalierità”.

La Cassazione, ribaltando la precedente decisione della Corte d’Appello di Torino, non solo ha riconosciuto infondata la suddetta interpretazione, anche a seguito dei rilievi della Corte di Giustizia Europea, come sopra precisato, ma ha statuito, in modo chiaro ed inequivocabile la sussistenza di una responsabilità dello Stato italiano da non attuazione della normativa comunitaria, riconoscendo un ristoro alla vittima di violenza sessuale, anche in caso di reato non “transfrontaliero”, nell’accezione sopra precisata.

Circa l’adeguatezza della somma liquidata a titolo di risarcimento, la Suprema Corte ha evidenziato come la somma di complessivi euro 4800,00, per un reato grave quale è la violenza sessuale, non potesse essere ritenuto equo, e come tale, in contrasto con i parametri stabiliti dalla Direttiva.

Nel caso specifico, il giudice di legittimità ha dovuto considerare l’entrata in vigore, nelle more del giudizio, del D.M 22 novembre 2019,  rubricato “Determinazione degli importi dell’indennizzo  alle vittime dei reati intenzionali violenti”, con conseguente applicazione della “compensatio lucri cum damno” e, quindi, con detrazione di quanto già ricevuto, dagli indennizzi stabiliti dal Decreto Ministeriale citato (euro 25000).

Da quanto sopra mi sembra emerga come il sistema dei ristori a favore delle vittime di reati violenti sia ancora molto precario e poco efficace, anche, purtroppo, a causa degli esigui  importi liquidati. Sul sito internet del Ministero dell’Interno, è ampiamente documentato  l’esiguo numero di richieste di indennizzo presentate.

Dunque, ancora una volta si ripropone una problematica che, ad avviso dello scrivente, è di fondamentale importanza: una volta che la vittima di reato violento ha denunciato, si trova non solo a dover provvedere a se stessa e, spesso, ai propri figli che rimangono a vivere con la vittima medesima, ma anche a ricevere un indennizzo poco adeguato a quanto subito ed a patire, spesso,  una situazione di isolamento e solitudine ancora più traumatica della situazione economica post reato. Denunciare non basta, bisogna sostenere, anche successivamente, le vittime di violenza di genere e, in generale, di reati violenti, con un percorso mirato e supportato da diverse professionalità, affinché  le vittime di violenza di genere non siano costrette a subire, nel silenzio, la perdita della loro dignità , magari dovendo alzare bandiera bianca: ma non quella del califfato che discrimina e odia le donne, bensì quelle di chi si è arreso, e non ha più voce per combattere.

Un “patto di rifioritura”, nell’accezione che ne ha dato il Prof. Cendon, anche in queste situazioni, potrebbe essere davvero significativo.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati