Letteratura  -  Redazione P&D  -  19/12/2010

PER SAIDOU GADIAGA, IMMIGRATO-Giulia TORNESELLO

Per il giovane senegalese Alhdy Saidou Gadiaga, non mi unisco al pietismo (pur spesso commisto alla solidarietà come nel caso degli immigrati sulla gru”, a Brescia), tanto meno intendo trasformarlo ADESSO in un dead man walking.Ho raccolto qui fatti ed elementi di diritto che siano utili a capire non come egli sia morto in quel carcere, non è questo un compito che mi compete, ma cosa lo abbia fatto finire in cella per poi morirvi. Era nel nostro paese da ben 15 anni, lavorava e, come tanti, era attualmente disoccupato, solo un disoccupato di ritorno però ( spiegheremo poi cosa intendiamo dire, ma forse è chiaro già qui). Disoccupato di ritorno, dunque, giovane, ammalato d’asma, lui camminava di sera per le strade della sua Italia con tre amici fidati: lo spray antiasma in una tasca, nell’altra un certificato medico che ne attestava le condizioni di salute, accanto un altro immigrato.
Non era tranquillo forse, si dice avesse subito il giorno prima una “direttissima” per l’espulsione ma gli era stato rilasciato il certificato medico che gli garantiva il diritto di restare nel nostro paese. Per motivi di salute, per le cure necessarie. Ed ecco quindi lo spray ed il certificato in tasca ed una boccata d’aria, un compagno al fianco.
Dobbiamo parlare adesso di questo gelido autunno e della protesta degli immigrati sulla gru, a Brescia, di un autunno che in realtà da tempo è inverno.
Erano saliti sulla gru, i quattro operai senegalesi, diventati improvvisamente “sgraditi ospiti” del nostro Paese, perché “licenziati” e da “espellere” dall’Italia, in forza della Circolare Manganelli.
Allora se lui, Alhdy Saidou Gadiaga, è un dead man walking lo sono pure tutti i licenziati italiani, cassintegrati in odore di licenziamento, ricercatori senza rinnovo del contratto cioè del “permesso di ricerca”, tutti senza permesso di esistere e tutti sulle torri, sulle gru, sui tetti, quanto ci sia di più vicino al cielo. Perché qui giù sulla terra degli eterni “carnasciali” ora è davvero l’inferno come ce lo ha descritto il Padre Dante.
Ma dalla gru a Brescia i quattro operai congelati, stremati, erano scesi infine per UNA PROMESSA. Che si era chiesto dovesse valere non solo per loro ma per tutti gli immigrati nella loro condizione. IL LORO VIAGGIO PER UNA PROMESSA È INIZIATO CON QUELLA DISCESA.
Leggo dai giornali:
“Arun, Jimi, Rachid e Sajad dopo 16 giorni sono finalmente scesi dalla gru” (ARTICOLO 21 Elisabetta Reguitti).
“Sotto una pioggia battente alle 20.45 di ieri sera si è conclusa la vicenda degli immigrati asserragliati da sedici giorni nella cabina della gru di un cantiere della futura metropolitana di Brescia. Dopo una lunga giornata di trattative hanno deciso di interrompere la loro protesta in equilibrio a 35 metri da terra. Loro “incastrati” dalla circolare Manganelli: la norma che prevede l’arresto dell’immigrato che non abbia ottemperato all’ordine di allontanamento del questore ha natura speciale, e che impedisce di ottenere il permesso di soggiorno. Arun, Jimi, Rachid e Sajad, i quattro migranti, alla fine hanno accettato l’accordo per cui gli è stato garantito che non verranno espulsi e neppure verranno rinchiusi in un Cie. Sulla complicata vicenda dei permessi ieri, tra l’altro, si erano espressi anche diversi docenti universitari di Brescia. Costituzionalisti che ritengono la circolare - “atto amministrativo” - tale da “far sorgere dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 3 della Costituzione”, che prevede “pari dignità sociale” per tutti i cittadini che “sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
A questo va anche aggiunto come, sempre “le condanne per inottemperanza all’ordine del questore non siano ostative alla regolarizzazione”. Insomma la vicenda dei quattro uomini saliti, il 30 ottobre, sul braccio meccanico ha il merito di aver aperto una seria discussione sul merito e l’effettiva utilità della circolare….”
Già.
Ed ora un giovane immigrato è morto, la parola ancora ai giornali:
“L'asma ha ucciso il senegalese arrestato”?
Il pm Francesco Piantoni ha disposto per stamattina l'autopsia sul corpo di Saidou Gadiaga, il 36enne senegalese morto per arresto cardiaco domenica mattina all'ospedale Civile, dove era stato trasportato per un malore accusato in una cella della caserma Masotti dei carabinieri.
DAL SENEGAL sono arrivati i famigliari di Gadiaga; il cognato però è subito ripartito per Padova dove vive la sorella della vittima, per farle firmare la nomina di un legale. Frattanto si sta cercando di ricostruire le ultime ore di vita dell'immigrato, fermato durante un controllo in via Solferino venerdì sera. In attesa del responso dell'autopsia, il discorso sulle cause del decesso ruota attorno all'asma di cui Saidou soffriva.
Alla pattuglia dei carabinieri che lo ha fermato, il senegalese aveva mostrato il certificato medico dal quale non si separava mai. Questo lo testimonia Sambeu Diouf, l'amico con il quale si trovava al momento del controllo. I carabinieri erano dunque informati dello stato di salute dell'africano, risultato ai riscontri Afis irregolare sul territorio (ieri sarebbe stato processato per direttissima, essendo già colpito da ordine di espulsione). Come sottolineato dagli esponenti di associazioni senegalesi di Brescia, Saidou era in possesso dello spray broncodilatatore che usava in caso di attacchi. Il dispositivo sarebbe anche rimasto a sua disposizione nella camera di sicurezza della caserma Masotti.
MA È APPUNTO sulla condizione di asmatico, quindi di malato, che i senegalesi di Brescia si concentrano. Si chiedono se una persona in quelle condizioni non dovesse essere meglio assistita, magari evitandogli la cella o comunque - come ipotizza Umberto Gobbi dell'associazione Diritti per tutti - ricoverandolo sotto sorveglianza in ospedale. Gli interrogativi posti dalla comunità senegalese sono se ci sia stato accanimento, o negligenze da parte dei carabinieri e del personale medico. Perchè una cosa è certa: «Di asma - dicono - non si deve morire nel 2010». Ma è stata l'asma? La richiesta che sale dalla comunità immigrata è «verità».
Saidou era clandestino, ma un clandestino cosiddetto di ritorno: in Italia da circa 15 anni, aveva lavorato come operaio prima di perdere il posto. Una condizione, quella di disoccupato, che porta alla perdita del permesso di soggiorno. E che spinge gli esponenti delle associazioni senegalesi a considerare questa vicenda come paradigmatica di una situazione più generale: «È diverso da quando molti di noi sono venuti qui. C'è un clima di caccia allo straniero. In Italia ma soprattutto a Brescia, una città blindata». Secondo Gobbi per gli stranieri «esistere è diventato un reato».
L'associazione senegalese si riserva iniziative quando sarà noto l'esito dell'autopsia e sarà più chiaro quanto successo domenica in piazza Tebaldo Brusato. Qui Saidou si è sentito male - secondo un comunicato dei carabinieri - poco prima delle 8 ed è morto alle 8,41 al Civile. Dopo essere stato con altri tre africani nella «sala fermati» della caserma, intanto che a Roma si compivano gli accertamenti sulla identità, è stato trasferito nella cella. Era infatti risultato il solo non in regola. Durante la notte un paio di volte avrebbe chiesto di andare in bagno, dove è stato accompagnato.
Secondo le associazioni senegalesi, pur in possesso dello spray, avrebbe manifestato problemi di respirazione. È stata l'asma ad uccidere Saidou Gadiaga? Ci sono responsabilità? (Eugenio Barboglio Corriere della Sera, 14 dicembre 2010)

Alcune resposabilità già ci sono, ad avviso di chi scrive.
Dopo il chiasso dei media che hanno affollato la piazza della gru è calato come una cappa di piombo il silenzio di quelli che in quei giorni hanno parlato, che si sono impegnati in qualche modo.
Un esempio?
Ogni parrocchia ha contatti giornalieri con un numero considerevole di cittadini e settimanalmente un sacerdote si reca nelle case per la visita agli ammalati. Ecco dunque un potenziale umano nel quale cercare collaboratori per il mantenimento della promessa. Quale promessa? Quella che (meritoriamente) i sacerdoti mediatori hanno fatto agli immigrati sulla gru: scendete, noi siamo con voi, fratelli. E così si pensa, i fratelli parlano ai fratelli-fedeli-inospitali dei fratelli ospitati, che hanno pagato i soldi della sanatoria, loro che soldi non ne hanno tanti, e poi sono stati beffati. Un sorriso per loro allora, le porte aperte perché sono lì da tanto, una mano stretta per strada. Siamo con voi.
“Non fateli piangere, ora che sono vivi” diceva Don Milani.
Questo può dirlo, la Chiesa. E quando si impegna a dirlo e non lo fa?
Ora che il giovane senegalese è finito in cella senza difendersi senza appellarsi a nessuno ed è morto?
Beh, allora. Lo dica la Chiesa e lo dica senza ipocrisie che il principio dell’autodeterminazione sta bene anche a loro sacerdoti. E che vale questa libertà-dignità di morire anche per tutti gli stremati stranieri beffati, che si buttino pure dalla gru, e che quella libertà anzi vale per tutti gli stremati “stranieri alla normale vita” per malattia invalidante. O per chissà che altro. Ma loro se ne lavano le mani.
Allora che non vadano mai più sotto la gru che a pensarci bene, così nera contro quel cielo grigio piombo è proprio una croce.

E poi?
E poi i professori Costituzionalisti, gli Accademici politicamente corretti che ritengono:
“…che la circolare - “atto amministrativo” - è tale da “far sorgere dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 3 della Costituzione”, che prevede “pari dignità sociale” per tutti i cittadini che “sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
“A questo va anche aggiunto come, sempre “le condanne per inottemperanza all’ordine del questore non siano ostative alla regolarizzazione”. Insomma la vicenda dei quattro uomini saliti, il 30 ottobre, sul braccio meccanico ha il merito di aver aperto una seria discussione sul merito e l’effettiva utilità della circolare….”

Così si scriveva e si diceva nei giorni dell’ira e del pianto e poi …loro sono scesi con una “PROMESSA” per tutti gli immigrati nelle loro stesse condizioni.
È passato un bel po’ di tempo ma avete qualche traccia di questo dibattito?
Avete sentito una qualche parola in Chiesa? Per strada? Nei bar? Al sindacato? Nelle sedi dei partiti? Dagli Accademici? Negli ambienti che si occupano di diritti dei deboli? Ogni informazione è preziosa.
Personalmente posso dare testimonianza di questo. Alcune insegnanti di lingua italiana agli immigrati (milanesi, scuola montessoriana, molto brave e sensibili) si sono domandate se fosse di qualche utilità fare una delle loro belle e vive lezioni lì sotto la torre dove a Milano manifestavano dei licenziati proprio negli stessi giorni di Brescia. In realtà, si è arrivati alla conclusione che ognuna di queste situazioni necessita prima di tutto di un supporto legale sia di carattere generale ( ved. supra le osservazioni sulla “circolare “) sia poi caso per caso. Per capire. Che se non è scontata la vittoria non lo è neppure la sconfitta. Un esempio?
Come sempre la giurisprudenza. Giudici in carne ed ossa. Hanno deciso.
“Permesso di soggiorno per lavoro subordinato - Non può essere rifiutato se è imputabile al datore di lavoro la mancata stipula del contratto di lavoro e se sussistono rapporti di lavoro con soggetti diversi. Tar Campania Sez. Sesta Sent. del 03.12.2010, n. 26793 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)”
Mi è tornato in mente il furbo Spagnolo di manzoniana memoria che, osannato dal popolo milanese durante la rivolta contro il tiranno, dice a loro in italiano che sì, “che la pagherà”, e si dice fra i denti nella sua lingua “Si es culpable…”
Ecco. Se è colpevole
Questa doveva essere la parola chiave di questi mesi “se è colpevole”. DETTO in tutte le lingue del mondo.
Non la solitudine degli IMMIGRATI. Non è questa la parola chiave.
Quando Alhdy Saidou Gadiaga è stato fermato non era solo, aveva con sé quattro compagni: il suo amico immigrato, lo spray antiasma, il certificato medico che attestava la malattia e la PROMESSA di una “seria discussione sul merito e l’effettiva utilità della circolare Manganelli….”.
(g.t.)






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