Nell’ultimo Consiglio del 28 novembre scorso, il Corso di laurea magistrale a Ciclo unico in Giurisprudenza ha approvato l’attivazione di un nuovo insegnamento: Diritto privato degli animali. Si tratta di un corso avanzato (da 40 ore) che andrà ad arricchire la rosa degli insegnamenti di indirizzo, tra cui le matricole potranno scegliere quando giungeranno al IV e V anno.
Ma perché un insegnamento sugli animali a Giurisprudenza? E perché un insegnamento di diritto “privato”?
Il testo qui pubblicato prova a rispondere a queste domande: esso riprende e sviluppa la relazione del prof. Olivero che ha accompagnato la proposta di istituzione del nuovo insegnamento.
Perché un insegnamento sugli animali a Giurisprudenza. E perché, in particolare, un insegnamento di diritto privato?
Com’è noto, il codice civile si occupa da sempre di animali, ma lo fa con poche norme sparse e spesso datate. Esse vedono nell’animale o una fonte di danni (non così diversi da quelli prodotti da altre cose in custodia, anche inanimate) o un mero oggetto di proprietà, le cui regole di appartenenza e circolazione non divergono granché da quelle valevoli per le altre res, se non per la necessità, talvolta, di considerare la particolare natura di questa cosa viva e animata, che può fuggire o migrare verso altri fondi e quindi essere inseguita o acquisita per occupazione: e così si disciplinano gli sciami d’api che volano sul terreno altrui, i colombi che passano a un’altra colombaia e i conigli che si spostano in un’altra conigliera…
Queste norme, in larga parte legate a una società contadina che non ci appartiene più, trascurano del tutto quanto gli animali sono diventati al giorno d’oggi, soprattutto quelli da compagnia: un ricchissimo affare, che muove miliardi di euro e occupa una fetta di mercato in continua espansione.
Consideriamo alcuni dati: in Italia gli animali da compagnia sono oltre 60 milioni, più degli stessi abitanti. Questo significa che ogni famiglia, in media, ne possiede più di due. Ognuna di esse, per mantenere e curare tali animali, spende mensilmente cifre che oscillano da 30 a oltre 300 euro e che sono andate negli anni progressivamente aumentando. Tra il 2007 e il 2021, in effetti, le spese per il cd. “pet food” sono più che raddoppiate; e una crescita imponente si è registrata anche in materia di spese per cure veterinarie e per l’acquisto di accessori e prodotti per l’intrattenimento e l’igiene dell’animale. Solo le lettiere per gatto – per fare un esempio emblematico – sviluppano un giro d’affari di quasi 80 milioni di euro.
Queste cifre bastano, da sole, ad attirare l’attenzione del giurista. Ma ancora non giustificano l’attivazione di insegnamenti dedicati, perché esistono altri settori del mercato in perenne florida espansione e nessuno pensa, ad esempio, di attivare un insegnamento sul diritto dei carburanti o dei diamanti.
Ciò che rende del tutto speciale la “questione animale” – per riprendere il titolo di uno dei volumi del trattato di biodiritto diretto da Rodotà e Zatti – è però la ragione che spiega i dati economici di cui si è detto. Essi sono l’effetto misurabile di un movimento culturale ben più ampio ed eterogeneo, che si traduce – semplificando molto – in una maggiore sensibilità verso il mondo animale e i temi ambientali.
Tale sensibilità ha già avuto modo di tradursi in principi normativi di primaria importanza: il riferimento alla tutela degli animali come “esseri senzienti” nell’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e la recente riforma italiana che ha introdotto nell’art. 9 della Costituzione la difesa degli ecosistemi e degli animali rappresentano infatti due momenti di spiccata emersione di questa nuova tendenza. La quale si correla circolarmente a fenomeni che attraversano le società occidentali, come la denatalità delle giovani coppie e l’invecchiamento della popolazione, che per ragioni diverse concorrono a riversare sugli animali domestici un’affettività che non si vuole o non si può indirizzare altrimenti.
Ora, molti dei più spinosi problemi che si affacciano sul terreno della pratica e che originano dalla valorizzazione del ruolo degli animali toccano proprio il diritto privato e, in assenza di regole puntuali, hanno sollecitato la creatività degli interpreti. Così, per evidenziare – in termini non esaustivi – alcuni punti problematici:
1) nella disciplina della crisi familiare e degli istituti collegati (come lo scioglimento della comunione dei beni) gli animali d’affezione rappresentano entità che non è possibile dividere e neppure trattare secondo una logica rigidamente proprietaria. Ciò ha indotto i giudici ad adottare schemi operativi che mimano quelli della disciplina dell’affidamento dei figli, ma l’impiego di tale strumentario concettuale non ha mancato di sollevare contrasti e discussioni, che restano aperte;
2) analogamente, nel caso di successione a causa di morte, gli animali d’affezione rappresentano tipologie di beni il cui passaggio intergenerazionale appare ingestibile secondo la disciplina ordinaria. In tale contesto, la possibilità per il de cuius di programmare per il tempo successivo alla propria scomparsa – con oneri testamentari o mandati post mortem o altre disposizioni – la cura del proprio animale rappresenta una sfida per la pratica notarile e per i giudici;
3) nella disciplina della vendita, la presenza di vizi dell’animale è regolata dal codice civile rinviando alle leggi speciali e agli usi locali, ma le une e gli altri non sempre risolvono il problema dei rimedi attribuibili al compratore. Tali rimedi richiedono di essere coordinati con la disciplina del codice di consumo (anche gli animali, in effetti, possono rientrare nel suo campo di applicazione se venduti da un professionista ad un consumatore) e, soprattutto, richiedono di essere rimodulati alla luce della specificità del bene acquistato, soprattutto quando si tratti di animali da compagnia;
4) ancora: l’animale – qualunque animale – può cagionare danni; e questo fatto naturale, come già detto all’inizio, non è mai sfuggito all’attenzione del legislatore. Ma l’animale, se ferito o ucciso, può essere vittima di un’azione illecita che provoca un danno al suo padrone. Ovvio rilevare, allora, che tanto più il valore affettivo dell’animale cresce, tanto più sarà insoddisfacente limitare la tutela risarcitoria alla sola componente patrimoniale (molti animali d’affezione non sono animali di pregio); il che apre la porta all’annoso problema della risarcibilità del danno non patrimoniale alla luce dei dati normativi e dell’evoluzione giurisprudenziale;
5) più in generale, si pone poi un problema di qualificazione dell’animale dinanzi alle categorie ereditate dalla tradizione. In effetti, se la dicotomia tra res e personae appare sempre più una coperta corta, che lascia irrisolte troppe questioni, non è ancora chiaro come si possa uscire da tale sistema binario. Lo dimostrano gli ordinamenti stranieri, come il tedesco e lo svizzero, i cui codici civili si sono spinti a dichiarare che “gli animali non sono cose”, ma senza chiarire, in positivo, cosa essi siano per il diritto; e senza sottrarli davvero alla disciplina dei beni mobili, che resta loro applicabile tutte le volte in cui manchino regole ad hoc per gli animali. E così ha fatto anche il nuovo libro III del codice civile belga, il quale, nondimeno, si è spinto un passo oltre; e dopo aver distinto gli animali dalle cose, ha poi distinto le cose e gli animali dalle persone;
6) sospesi tra cose e persone, gli animali reclamano dunque uno statuto giuridico che appare tuttora assai problematico; e dal modo in cui tale dilemma verrà risolto, dipende l'ultimissima questione, che tutte le riassume: e cioè se sia tecnicamente impossibile ascrivere agli animali dei diritti, vista l’assenza di capacità giuridica; ovvero se anch'essi possano essere dotati di una sorta di soggettività e di capacità giuridiche, idonee a sorreggere vere e proprie pretese – a partire dalla vita e dal diritto a non soffrire inutilmente – azionabili all’occorrenza da terzi soggetti (umani) nel loro interesse.
Questi sono alcuni dei problemi che gli animali oggi pongono nella prospettiva del diritto e del diritto privato in particolare. Essi sono apparsi meritevoli di essere approfonditi nell’insegnamento di Diritto privato degli animali, che il Corso di laurea magistrale in giurisprudenza dell’Università di Torino ha deciso di attivare nel suo ultimo consiglio, lo scorso novembre.
Torino, 16 dicembre 2022
Luciano Olivero