Famiglia, relazioni affettive  -  Manuel Capretti  -  02/08/2023

Nota a Cassazione Civile, Sez. I, n. 23133 del 31.07.2023 - Manuel Capretti

L'ordinanza in commento si inserisce nel solco dell'ormai costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, chiarificato, una volta per tutte, dall'ordinanza, sempre della Prima Sezione, di cui al numero 17183 del 14 Agosto 2020.

I principi fatti proprio dal citato arresto “maestro” sono stati declinati, nel caso di specie, al fine di verificare la perdurante sussistenza del diritto al contributo al mantenimento a beneficio del figlio maggiorenne affetto da “ingravescenti condizioni psicopatologiche”, decisive, ad avviso del Collegio della Corte di merito, così da accertarne la debenza in accoglimento del gravame avverso il decreto di primo grado che aveva revocato, nel giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, l'emolumento.

Pur non effettuando espressi rimandi, devono intendersi recepiti gli insegnamenti della Suprema Corte in tema di “menomazione fisica o psichica” (cfr. Cass. 17183/2020 cit.) quali circostanze che, a determinate condizioni, possono giustificare la perduranza della contribuzione economica nell'interesse della prole maggiorenne.

Va, preliminarmente, rammentato come il descritto nocumento alla salute, pur non dovendosi risolvere in un accertamento della competente commissione medica ricognitivo di una riduzione, in punti percentuali, della capacità lavorativa, tale da determinare la sussistenza di handicap dell'individuo del quale si disquisisce il diritto al mantenimento, debba incidere, in termini pregiudizievoli, sull'attitudine del maggiorenne di intraprendere, proseguire o concludere il suo percorso formativo scolastico o professionale, nonché, nell'eventuale avvenuta acquisizione di titolo in tal senso, sulla proficuità del contegno nel reperimento e nel conseguimento di un'occupazione idonea all'inserimento nel mondo del lavoro quale strumento di raggiungimento dell'autosufficienza economica, quest'ultima da doversi perseguire, da parte del minore, anche, se del caso, ridimensionando le proprie aspirazioni con un impiego non confacente con la professionalità acquisita nel precedente periodo di formazione.

Deve, allora, giustificarsi, per le suesposte ragioni, un vaglio improntato ad attualità e concretezza, da operarsi “caso per caso” (cfr. Cass. 17183/2020 cit.), non già potendosi desumere, in via generale ed astratta, l'incolpevole recisione di ogni attitudine lavorativa del figlio maggiorenne, dovendosi, per converso, constatare il predetto stato dei fatti sulla scorta, a titolo esemplificativo, di effettive rinunce occupazionali, riconducibili al compromesso stato di salute, ovvero dell'insoddisfacente utilizzo del titolo di studio o professionale – come, quale possibile ipotesi, la mancata assunzione all'esito di specifico colloquio di lavoro o dopo l'invio di curriculum – che dimostri la condotta fattiva, la quale nonostante la connotazione di diligenza, trovi ostacoli di realizzazione proprio ricollegati alla menomazione.

Nella fattispecie La Suprema Corte non ha ritenuto bastevoli dei “certificati medici redatti da specialisti del servizio sanitario nazionale” poiché quanto appena affermato “non soffre eccezioni ove il figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia (nel caso di specie depressiva)”.

Il consesso di legittimità ha, inoltre, debitamente tenuto conto dell'età del figlio, proprio definita ultramaggiorenne, quale importante elemento di maggior rigore nella valutazione dei presupposti per il riconoscimento del mantenimento, da ispirarsi a maggior rigore in maniera crescente, intesa quale rapporto di diretta proporzionalità con l'età, in considerazione del principio di autoresponsabilità (cfr. Cass. 17183/2020 cit.), talché, una volta raggiunto un determinato limite anagrafico, da individuarsi nell'età adulta, l'indipendenza economica deve ritenersi, in via presuntiva, raggiunta, a meno che si consideri, altrimenti, il contributo al mantenimento quale “vero e proprio parassitarismo di ex giovani nei confronti di genitori sempre più anziani” (cfr. Cass. 17183/2020 cit.).

E' allora, condivisibile, alla luce di quanto esposto, il principio di diritto affermato, così parafrasato: "Il figlio di genitori divorziati che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso".


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