Deboli, svantaggiati  -  Elvira Reale  -  26/09/2023

Minori e crimini: responsabilità, riparazione del danno e difesa della vittime.

Modifiche dell’art. 10 e dell’art. 28 dpr n. 488 del 1988.

Giovanna Cacciapuoti, Fiorella Fabbozzo, Assunta liberti, Elvira Reale

Associazione Salute Donna

La riforma del processo penale minorile nel nostro ordinamento è stata, attuata con il D.P.R. 448 del 1988.

In conformità con la normativa internazionale (Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989), la riforma muove dall’idea che, come ha affermato la Corte Costituzionale: “la giustizia minorile deve essere improntata all’essenziale finalità di recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale” (Corte Cost. sentenza n. 125 del 1992).

Di questa “imputato-centricità” e della correlata e conseguenziale marginalità della figura della vittima del reato che permea l’intero procedimento minorile sono evidente estrinsecazione gli istituti previsti dagli artt. 10 e 28 del DPR n. 488 del 1988.

Ebbene, l’art. 10 al comma 1 così recita “Nel procedimento penale davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie non è ammesso l’esercizio dell’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno cagionato dal reato”, prevista, invece, nel processo ordinario.

Questa norma stride con le esigenze di tutela delle ragioni della vittima, tenuto conto che i profili di dannosità dei reati minorili tipici non sono assolutamente inferiori a quelli delle analoghe condotte poste in essere dagli adulti, come gli ultimi gravissimi fatti di cronaca dimostrano (stupro di Palermo, stupri continuati a Caivano, omicidio del giovane musicista a Napoli), tutti consumatisi per mano di minorenni.

A nostro avviso l’istituto della riparazione del danno causato non pregiudica l’idea di recupero del minore che sottende il processo minorile, anzi, favorendo la consapevolezza della lesione arrecata all’altrui diritto, può avere una sua utilità.

La marginalizzazione della vittima nel processo penale minorile si accresce ulteriormente se si considera l’istituto di cui all’art. 28 del DPR n. 488 del 1988 disciplinante la sospensione del processo e messa alla prova.

La messa alla prova si configura come lo strumento principe destinato a promuovere la riabilitazione dell’adolescente autore di reato, con conseguenze anche sull’esito del processo perché il percorso, se portato a termine, si conclude con la possibilità concreta che il reato venga dichiarato estinto.

La pianificazione di una messa alla prova ha natura intrinsecamente educativa e la personalizzazione dei suoi contenuti è fondamentale, dovendosi essa costruire sul significato speciale ed esclusivo assunto da quel reato per quell’unico, particolare minore e sulla ricerca degli eventi interni ed esterni che hanno reso in quel momento “conveniente” per lui, su di un piano profondo e inconsapevole, la commissione di un reato.

Ma anche in questa prospettiva, il processo penale minorile appare totalmente dimentico delle esigenze di tutela della vittima dal momento che l’istituto della messa alla prova può essere disposto anche quando il reato commesso sia tra i più gravi in assoluto.

Le considerazioni finora svolte fanno seriamente dubitare che le istanze di protezione del minore giustifichino pienamente una disciplina che, per il suo carattere rigido, non consente alcuna considerazione delle aspettative di tutela delle vittime.

Questo regime risulta oggi in controtendenza, essendo sempre più avvertita l’esigenza di evitare alla vittima “la vittimizzazione secondaria”, causata dal contatto frustrante ed insoddisfacente col sistema giudiziario. 

Un modello processuale davvero “garantista” dovrebbe essere in grado di implementare i diritti dell’offeso, senza con questo pregiudicare la posizione del soggetto ritenuto autore del reato, essendo possibile coniugare pienamente il rispetto dei diritti di entrambi, in un’ottica consapevole del fatto che un processo può essere davvero considerato “giusto” solo se si configura come tale agli occhi di tutti i suoi protagonisti e comprimari.

Si impone, dunque, una riforma anche alla luce delle vincolanti indicazioni provenienti dalle Direttive europee, in particolare, la Direttiva 2012/29/UE volta a delineare nuovi parametri normativi in tema di diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato alla luce della puntuale considerazione, espressa al punto 9, che il reato, oltre ad offendere la società nel suo complesso, si traduce in << una violazione dei diritti individuali delle vittime>>. In Italia è stato emanato il D.lgs n. 212 del 2015 proprio per dare attuazione a questa direttiva al fine di rimuovere la “vittima” da quella posizione marginale, in ambito giudiziario, in cui era stata relegata, tuttavia, permangono gravi lacune che il legislatore non può più trascurare nel procedimento penale minorile.

Appare evidente, allora, la necessità di un intervento normativo che sia orientato ad accrescere la tutela della vittima di un reato commesso da un minore attraverso la previsione – come per il processo a carico di maggiorenni - sia del potere della stessa di costituirsi parte civile sia di una preclusione all’applicazione della sospensione del processo con la messa alla prova  in relazione ai reati di acclarata gravità sociale espressione di una criminalità connotata da livelli di pericolosità particolarmente elevati.

In conclusione riteniamo si renda necessaria la modifica dell’art. 10 e dell’art. 28 DPR 488/88 nei seguenti termini: abrogare l’art. 10 che prevede l’inammissibilità dell’azione civile e modificare l’art. 28, escludendo la messa alla prova per determinate fattispecie delittuose - tutte specificamente elencate - con l’inserimento del comma 1 bis.

Art. 28 inserimento comma 1bis: “sono esclusi dall'applicazione del comma 1 (ovvero  messa alla prova con sospensione del procedimento e affidamento ai servizi sociali) i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis(1) e 3-quater (2), i procedimenti per i delitti – consumati o tentati, di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600 quater, secondo comma, 600 quater 1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600 quinquies, nonché 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies, 609 undecies, 612 bis, 612 -ter, 558,  572, 583 quinquies, 575, 628, 629lesioni gravi del codice penale” .


  1. Delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto e settimo comma, 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'art. 12, commi 1, 3 e 3 ter, e 12 bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [v. Testo unico sull'immigrazione], 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416 bis, 416 ter, 452 quaterdecies e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 [190 bis, 295, 371 bis, 406 c.p.p.], e dall'articolo 291 quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, [e dall'art. 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152,] [v. Codice dell'ambiente].
  2. Procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo


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