La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere è una ricorrenza che non può e non deve passare inosservata , in quanto volta a sensibilizzare tutti noi su un fenomeno che fa parte, purtroppo, del nostro quotidiano e che rappresenta una questione sociale e culturale, prima ancora che di rilevanza giuridica e giudiziaria.
La violenza di genere è un fenomeno che costituisce una quotidiana grave violazione dei diritti umani e della dignità della persona, oltre che motivo di ostacolo al progresso sociale, che assume proporzioni sempre più allarmanti e preoccupanti, come, purtroppo, i dati statistici e le notizie di cronaca confermano.
In questo anno 2023, abbiamo assistito, soprattutto nel corso dell’estate, ad un numero rilevante di femminicidi e di fatti di violenza nei confronti delle donne, alcuni dei quali davvero inquietanti, per le modalità con le quali sono stati commessi.
Inoltre, ogni giorno, moltissime donne subiscono violenza domestica, stalking, molestie sul luogo di lavoro e violenza psicologica, nel silenzio dei media e nell’umiliazione personale.
Lo sviluppo dei fatti, purtroppo, è sempre il medesimo: la fine del rapporto sentimentale tra i due e le parole forti da lei pronunciate nei confronti dell’uomo, avrebbero scatenato la sua ira e la furia omicida. Inutili i soccorsi, la ragazza è morta pressochè sul colpo e l’omicida era una persona che il vicinato conosceva, una persona “normale”, cosicchè nulla lasciava presagire quanto accaduto.
Dunque, allo sgomento per questi gravi episodi si aggiunge il disappunto per la narrazione che, con una ricorrenza, viene fatta da giornali e da altri mezzi di informazione, dei casi di femminicidio e di violenza di genere.
Con riferimento al caso di femminicidio avvenuto a Savona il 31 ottobre 2023, ad esempio, l’assassino è stato descritto dai giornali come un islamico osservante e rigoroso, che ha perso il controllo a seguito di una telefonata della moglie con una persona non ben identificata; inoltre, per diversi giorni, la vittima, è stata indicata con il cognome del marito femminicida, anzichè con il suo (Etleva Bodi, anziché Etleva Kanolja).
Tutto ciò sembra rientrare nel terzo stereotipo divulgativo, descritto dalla Dottoressa Maria Dell’Anno, nel volume “Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio, presentato a Savona nel 2022, dalla locale sezione ONDIF – Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia, in collaborazione con il CAV Artemisia Gentileschi di Albenga, con la libreria UBIK, con la sezione savonese di FIDAPA e la Professoressa Claudia Palone, docente di lettere e molto attiva, come donna e come docente, sui temi della violenza e della parità di genere. Un saggio importante e molto attuale, quello citato che, come precisa l’autrice nel titolo del volume, propone una riflessione sul linguaggio utilizzato dai giornali e dai tribunali italiani nella narrazione del femminicidio.
Il terzo stereotipo indicato dalla Dottoressa Maria Dell’Anno è quello definito“Amore tragico”, che la stampa e i media applicano nei casi in cui si deve descrivere l’uccisore come innamorato della vittima e il femminicidio come una tragedia familiare incomprensibile e inaspettata.
La donna uccisa, dunque, è la colpevole di quanto subito, mentre l’omicida è la vittima di una situazione, da lui non provocata e di un incontrollabile stato emotivo di rabbia, culminato con il gesto criminoso.
La narrazione del femminicidio, così come effettivamente viene effettuata, risente, dunque, di fattori culturali, di stereotipi di genere radicati e consolidati nella nostra società, che i giornali, i mass media e i tribunali continuano, pervicacemente, a riproporre. Per questo motivo, dunque, occorre che il contrasto alla violenza di genere passi, in modo sempre più forte, attraverso l’analisi del linguaggio di genere e dall’uso corretto delle parole, che costituiscono armi potentissime di diffusione di messaggi stereotipati, errati e violenti nei confronti delle vittime di femminicidio.
Dal giorno della presentazione di quel volume, ad oggi, qualcosa è cambiato, anche se in misura ancora insufficiente: la narrazione del femminicidio della signora Etleva Kanolja è stato oggetto di attenzione, a livello giornalistico nazionale ed è stato istituito un osservatorio nazionale tra giornalisti e Università, per verificare eventuali violazioni delle regole di corretta narrazione degli episodi di violenza di genere e femminicidio.
Ancora una volta, quindi, non si può che convenire con la professoressa Raffaella Scarpa, che nel volume “Lo stile dell’abuso – Violenza domestica e linguaggio”(edito da Treccani, 2022) evidenzia come nell’analisi della problematica della violenza domestica, nulla più del linguaggio venga sistematicamente sottovalutato, quando, invece, lo “stile del discorso” costituisce il mezzo fondamentale per ridurre e mantenere la donna in uno stato di soggezione e soccombenza. Il linguaggio è un’arma di potere e di soggezione molto pericolosa, quando non si sa utilizzarlo correttamente, e la violenza di genere si fonda proprio sul potere e sulla prevaricazione.
Inoltre, così si esprime la Dottoressa Dell’Anno, nel volume del quale è autrice, sopra citato: “Il problema è che se soggetti autorevoli come la stampa e i tribunali scelgono di descrivere i femminicidi adottando una serie limitata e preconfezionata di frame narrativi, sarà difficile che l’opinione pubblica, che non ha una formazione propria su quella problematica sociale, riesca ad adottare una visione critica di quel racconto, bensì lo accetterà come corretto, ancor di più perché va a confermare gli stereotipi culturali con cui tutti e tutte siamo cresciuti e con cui quindi la nostra mente si sente a suo agio (…) Allora diventa evidente perché è così importante riflettere sul linguaggio, riflettere non solo su cosa ci viene raccontato ma soprattutto su come ci viene raccontato. Perché l’informazione non solo informa, ma forma le nostre idee sulla realtà in cui viviamo. Il giornale non solo ci dice cosa è successo, ma anche cosa dobbiamo provare nei confronti di ciò che è successo”.
Infine, in tema di corretta narrazione dei casi di femminicidio, ritengo importante riportare le parole della Professoressa Claudia Palone, con riferimento all’uccisione di Etleva Kanolja, della quale si è accennato sopra: “Etleva Kanolja...Kanolja!! È stata uccisa in Italia, a Savona. Almeno ora e qui, restituiamo a questa donna la sua identità, il suo cognome, la sua dignità. È una violenza ulteriore quella di nominarla con il cognome del suo assassino.
Infine, le luci, costituite da tutte le persone e le associazioni, prevalentemente femminili, ma non solo, che, a diverso titolo, contrastano il fenomeno della violenza di genere e domestica, concretamente, nelle scuole, nei Centri Antiviolenza, nei tribunali, in ogni sua forma.
A loro va il mio sincero ringraziamento, a titolo personale e a titolo di avvocato, difensore dei diritti; se c’è ancora un domani, è grazie a loro.