Letteratura  -  Palumbo Valeria  -  31/01/2011

LE MORTI E LE FANCIULLE - Valeria PALUMBO

Il racconto di Zweig, che, nel volumetto dell’Adelphi, è accompagnato da Legittimo sospetto, un piccolo capolavoro, narra la caduta e il suicidio della Marchesa de Prie. Nella realtà si trattava di Giovanna Agnese Berthelot de Pléneuf, influentissima amante del primo ministro di Luigi XV, Luigi-Enrico di Borbone-Condé. Allontanata dalla corte per aver a sua volta tentato di far fuori il vescovo e poi cardinale, André-Hercule de Fleury, morì dopo un anno di “confino” nel castello di Courbépine. Zweig ne fa un’eroina ridicola, una donnetta che è stata potentissima quanto vacua, che fallisce perfino il tentativo di ritornare in gloria mettendo in scena la sua morte. In realtà, però, non credo che in Zweig agisse tanto la misoginia e una certa ignoranza sul reale potere delle favorite di corte. Il grande scrittore ebreo, a sua volta morto suicida con la moglie in Brasile nel 1942, per sottrarsi alla possibile cattura da parte dei nazisti, prende di mira la povera de Prie perché essa incarna due aspetti drammatici della storia: l’arbitrarietà del potere assoluto e il totale non-controllo che perfino gli uomini più potenti hanno sulla memoria dei posteri. Nessuno, sostiene Zweig, può garantirsi l’immortalità. E in effetti, se si pensa, nonostante le aberrazioni che ancora esistono, a come si ricordano oggi i morti della Shoah e di quale fama godano Hitler e i suoi complici, parrebbe che, perfino il povero Zweig si sia preso la sua rivincita.

Nel testo teatrale Der Tod und das Mädchen, che prendeva il titolo dal lavoro di Schubert e che Ariel Dorfman, l’autore, portò in scena dopo la caduta della dittatura cilena (nel 1994 Roman Polanski ne trasse un bel film), si affronta in parte lo stesso problema. La protagonista è stata torturata e stuprata da un medico, un aguzzino del dittatore, che, mentre la massacrava, ascoltava Der Tod und das Mädchen. Lei può ricordare soltanto la sua voce, poiché era bendata. E la sorte vuole che il medico bussi alla sua porta, alla caduta del regime: le parti si invertono. Il tema non è soltanto la giustizia e la vendetta. Ma anche, appunto, il controllo che perfino la più terribile delle dittature non ha sul suo destino e sulla sua memoria. In fondo le attuali rivolte in Maghreb ricordano che la gente non si ribella quasi mai per la mancanza di libertà. Esplode quanto manca il pane. Ma in quell’occasione invoca proprio la libertà, ed è pronta a morire per essa. E che quindi nessun governo può sottovalutarne il peso.

Il suicidio di Zweig e di suo moglie fu un drammatico gesto di libertà. In tutta la sua opera l’autore austriaco aveva sostenuto la “superiorità morale del vinto”. Il brano di Schubert, così adatto al testo di Dorfman (e così ben scelto dalla Verdi: www.laverdi.org, per i prossimi concerti) dimostra due cose: poiché la morte è inevitabile, se non l’accettiamo, molto laicamente, ci trasformiamo tutti in vinti. E al tempo stesso, nel ridistribuire, anche in maniera ingiusta e irrazionale, premi e punizioni, la memoria dei vivi rende alla fine inutile e ridicolo qualsiasi delirio di onnipotenza. Cadono i dittatori e cadono le favorite. E, peggio, spesso vengono presto dimenticati.




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