MUORE UNA DONNA PER SHOCK SETTICO
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La denuncia dei parenti di Dorota raccolta da Gazeta Wyborcza. Non è il primo caso di mancata azione da parte dei sanitari frenati dalla rigida normativa
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Il bambino le è morto in grembo ma a causa delle abominevoli leggi che regolano l’interruzione di gravidanza in Polonia, i medici non sono intervenuti. E Dorota è morta in circostanze atroci, per “shock settico” e collasso degli organi, come hanno rivelato i suoi famigliari. Nel cuore dell’Europa, nel ventunesimo secolo, si può ancora morire di aborto.
Dorota è morta nella notte del 23 maggio, al quinto mese di gravidanza, in un ospedale di Podhalansky. Era stata ricoverata d’urgenza per una perdita del liquido amniotico, ma da lì in poi, come hanno denunciato i parenti in una lettera alla Gazeta Wyborcza, è buio pesto. Non si sa quando il cuore del feto abbia smesso di battere, per quanto tempo il cadavere abbia avvelenato il sangue della madre provocandole enormi sofferenze. Si può solo immaginare perché i medici non siano intervenuti in tempo: abortire, in Polonia, è un reato.
L’ospedale si è limitato a dichiarare, attraverso il direttore Marek Wierba, che la donna sarebbe stata “monitorata”, che la sua sarebbe stata “una gravidanza difficile”, e che il capo del reparto avrebbe osservato un “rapido peggioramento delle condizioni della paziente, per qualche motivo”.
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Queste tragedie accadono, ha obiettato S.a.f.e., l’ong che aiuta le donne ad abortire, perché “il bando dell’aborto e i medici danno la priorità al feto e non alla madre incinta”. Nonostante le restrizioni introdotte dalla legge del 2019 che rende l’aborto quasi impossibile, “è legale” per i medici abortire se la vita della paziente è in pericolo, ricorda l’ong. Il mistero è perché non lo facciano.
I parenti di Dorota hanno denunciato l’ospedale e i medici per negligenza e hanno chiesto il rispetto della privacy: non vogliono parlare. Ma per loro parla una statistica aberrante: nell’autunno del 2022 aveva suscitato un’ondata di indignazione internazionale il caso di Izabela Sajbor, morta in circostanze identiche: perché i medici non avevano voluto rischiare una denuncia per aiutarla a sopravvivere. Da allora, secondo le ong, sono almeno sette le vittime delle medievali leggi polacche contro l’interruzione di gravidanza. Oggi sono previste nuove proteste contro quest’ennesima tragedia che si poteva evitare.