La direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio definisce la “giustizia riparativa” come: "qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale."
La giustizia riparativa, quindi, pone al centro dell’attenzione del sistema penale la vittima del reato, l’autore e la comunità civile.
Si prevede, quindi, un percorso che, con l’aiuto di un mediatore, giunga alla riconciliazione tra le parti con la finalità non di irrogare una pena ma di rimuovere le conseguenze del reato attraverso la possibilità di riavvicinare il reo e la vittima.
In Italia la legge n. 134/2021 e un decreto attuativo di agosto 2022 hanno tracciato le linee guida che forniscono il quadro di riferimento per intraprendere la strada dell’applicazione del concetto di “giustizia riparativa.”
Nella pratica si dovrebbe, pertanto, giungere ad una riparazione del danno senza passare attraverso un processo e una sentenza, mediante l’ausilio di un terzo estraneo, giungendo ad una soluzione “concordata” dell’originaria violazione del patto sociale.
Il riferimento concreto potrebbe essere in Italia il processo minorile già improntato alla rieducazione e risocializzazione del minore attraverso un percorso che dovrebbe consentire al reo di riconoscere il disvalore penale del proprio comportamento.
Sia pure con le dovute differenze un richiamo a tale concetto può rinvenirsi anche nella d.leg.vo 274/2000 che regolamenta le procedure riconciliative davanti ai Giudici di Pace come strumento di risoluzione dei conflitti tra autori e vittime di un reato.
Il concetto di giustizia riparativa che è entrato nel mondo del diritto ormai da molti anni, nonostante l’apparente fragilità a livello dell’applicazione concreta, è sostenuto da uno spessore tecnico-giuridico di un certo livello.
Il principio della rieducazione del reo, applicato ai sistemi penali moderni, trova così un nuovo modo per superare il conflitto sociale attraverso la presa di coscienza piena dell’autore del reato che non rimane bloccato definitivamente nell’ambito di un giudizio di colpevolezza ma diventa parte attiva nella riparazione del danno provocato, ritrovando fiducia nelle sue possibilità.
Dall’altro lato, la vittima del reato non irrigidisce le proprie emozioni attraverso un dolore muto e senza sfogo ma può esprimerlo attraverso il confronto con il responsabile del reato e ottenere, per così dire, una riparazione personalizzata che riguardi quell’episodio specifico, quegli eventi e quei soggetti.
Il modello di riferimento comprende quindi una marcata considerazione per il reo e la vittima del reato attraverso l’attivazione di dinamiche di ascolto partecipativo, percorsi di incontro e di reciproco riconoscimento tra le parti.
L’utilizzo dei c,d. circles consente, quini, di lavorare sul linguaggio, sulle emozioni e sui bisogni delle persone ricostituendo i legami sociali e mirando alla pacificazione.
Il dolore delle vittime di un reato è talmente intenso da lasciare segni indelebili nel tempo i quali non sono compatibili con forme di riparazione di natura materiale.
Il risarcimento del danno, infatti, non è sufficiente a raggiungere il piano emozionale e i sentimenti di paura, solitudine, sconfitta e rivalsa che sono tipiche delle esperienze di vittimizzazione.
In relazione a tale delicato compito sarebbe, pertanto, sbagliato attribuire alla giustizia riparativa un compito meramente deflattivo nell’ambito di procedure di politica criminale.
Le esperienze già vissute nell’ambito della giustizia riparativa hanno riguardato anche in Italia i reati ambientali e le vittime del terrorismo spaziando a livello internazionale anche nell’ambito del conflitto arabo-israeliano e delle famiglie coinvolte, nel Sudafrica del dopo-apartheid, in Ruanda, Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi.
Avv. Carmela Bruniani