Come noto, si ha condominio negli edifici allorquando coesistano nel medesimo fabbricato una pluralità di unità immobiliari di proprietà esclusiva e una o più parti comuni volte a rendere possibile e maggiormente agevole l’uso o il godimento delle singole proprietà individuali.
Come sottolineato dalla dottrina (Santise), proprio in virtù di tale peculiare natura, caratteristica fondamentale e intrinseca del condominio è la continua tensione fra il principio di libertà e il principio di autorità, giacché tutta la disciplina di cui agli artt. 1117 e segg. c.c. è volta a contemperare le esigenze e i poteri esercitabili dal singolo con le necessità e gli interessi della collettività dei condomini.
Allo scopo di attuare il predetto contemperamento, la legge detta alcune regole volte a disciplinare numerosi aspetti relativi alle parti comuni dell’edificio, quali: l’uso, il godimento, le spese per la manutenzione, ecc.
Tuttavia, lo stesso Codice, all’art. 1138, dà la possibilità (qualora i condomini siano inferiori a otto) ovvero prescrive (qualora siano superiori a dieci) di adottare un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni, l’amministrazione, la ripartizione delle spese e, più in generale, tutti gli aspetti elencati al comma primo del medesimo articolo; pertanto, in tale situazione le fonti regolatrici dei diritti e obblighi dei condomini saranno due, e cioè la legge e il regolamento condominiale.
Ciò premesso, occorre chiedersi se ed entro quali limiti i condomini, nell’esercizio della loro potestà regolamentare, possano derogare a singole disposizioni di legge.
A tal fine pare opportuno illustrare brevemente le varie tipologie di regolamento condominiale delineate dalla dottrina tradizionale (Torrente-Schlesinger), secondo la quale sarebbe possibile distinguere fra:
Orbene, la classificazione così proposta dalla dottrina tradizionale è stata, tuttavia, criticata dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, le quali, ai fini dell’individuazione delle possibili deroghe regolamentari o convenzionali alla disciplina legale, paiono maggiormente orientate a considerare rilevante la singola clausola regolamentare contemplante la specifica deroga, a prescindere dal fatto che essa sia inserita in un regolamento assembleare, contrattuale o predisposto dall’originario unico proprietario.
In altri termini, per le clausole contenenti semplici regolamentazioni circa l’uso, la ripartizione delle spese, il decoro architettonico, ecc. delle parti comuni sarà sufficiente l’approvazione assembleare con le maggioranze di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; invece, per le clausole contenenti una menomazione dei diritti dei singoli condomini nelle parti comuni ovvero l’imposizione di ulteriori pesi od obblighi sulle singole proprietà individuali sarà necessaria l’accettazione di tutti: ciò, tuttavia, si badi, a prescindere dal fatto che la specifica clausola sia contenuta nelle diverse tipologie di regolamento individuate dalla dottrina classica. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza più recente, sarà ben possibile che una clausola disciplinante unicamente profili attinenti all’uso, al godimento, al decoro delle parti comuni senza derogare in alcun modo alla disciplina legale dei diritti e degli obblighi spettanti a ciascun condomino, seppur inizialmente approvata all’unanimità, possa essere successivamente modificata con la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 2 c.c., in quanto, appunto, occorrerà analizzare la singola clausola e non il più generale contesto regolamentare nel quale essa è stata inserita.
Orbene, ciò premesso in via generale, il quadro delle deroghe convenzionali e regolamentari alla disciplina legale del condominio può così riassumersi:
Come illustrato, le deroghe sono, dunque, numerose e di varia natura; ciononostante, non saranno comunque ammissibili - neppure con un’approvazione all’unanimità - deroghe alle norme disciplinanti aspetti nevralgici e imprescindibili nella gestione e nell’organizzazione funzionale della cosa comune, elencate, specificamente, dall’art. 1138 comma 4 c.c., il quale dispone che “in nessun caso” le norme del regolamento possono derogare agli artt. 1118 comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c.
La ratio della disposizione è evidente e coerente con il sistema: se, infatti, all’autonomia privata è dato incidere in qualsiasi modo sui diritti e sugli obblighi spettanti ai singoli, altrettanto non può dirsi in relazione ai profili riguardanti l’organizzazione del gruppo, in quanto emanazione di un interesse superiore e ultraindividuale, insuscettibile di essere modulato dalla volontà -seppure unanime- dei condomini.
Maggiori problemi sono sorti, invece, in relazione alle disposizioni di cui al quinto comma dell’art. 1138 c.c., posto che una parte della dottrina, sulla scorta del dato letterale, ha ritenuto di attribuire alla medesima lo stesso carattere di inderogabilità di quelle di cui all’art. 1138 comma 4 c.c.; altra parte della dottrina, invece, valorizzando la collocazione sistematica della norma, non menzionata tra quelle ritenute assolutamente indefettibili dall’art. 1138 comma 4 c.c., ha preferito qualificare la medesima come derogabile, seppur solo in presenza di un consenso unanime dei condomini.
Ebbene, le questioni sollevate dall’esegesi di tale norma costituiscono un valido esempio delle difficoltà che assai spesso gli interpreti incontrano nell’individuazione delle disposizioni suscettibili di essere derogate a livello convenzionale o regolamentare dall’autonomia privata dei condomini.
Invero, come precedentemente illustrato, seppur in astratto il codice abbia individuato all’art. 1138 i criteri e i limiti ai fini della perimetrazione delle norme passibili di deroga, purtuttavia, permangono notevoli difficoltà, specialmente in relazione a numerose norme caratterizzate da una formulazione poco chiara o, comunque, assai poco coerente con il dato sistematico del codice: si pensi, a titolo di esempio, ai dibattiti giurisprudenziali insorti a seguito delle modifiche dell’art. 67 disp.att. c.c. in merito alla validità delle clausole regolamentari che escludono il singolo condomino dalla partecipazione alle assemblee del c.d. “supercondominio”.
Ebbene, a fronte di tali persistenti incertezze sarà compito della futura elaborazione dottrinale e giurisprudenziale tracciare i confini dei poteri riconosciuti all’autonomia privata condominiale in relazione alla derogabilità delle norme più problematiche della disciplina del condominio negli edifici.